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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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112. RECENSIONI (2011) ED ALTRO di Roberto Latini

JAZZFRIENDS  (2011 - raccolta)

 A parte pochi brani leggerini e noiosi (“Let me to dream” è un mortorio da piano bar), questa raccolta è piacevole e variegata. Diffido sempre delle raccolte perché si cerca di accattivarsi un pubblico vasto, e quindi si preferisce talvolta l’orecchiabile e il commerciale al pezzo migliore. “TWO 4 YOU” (Paolo Pavan Quartet) è un brano molto tradizionale, sassofono-pianoforte dalla calma soffusa. Tutto un assolo dall’inizio alla fine (e ciò mi piace) senza molte varianti melodiche con una ritmica soft, piuttosto ricca. “MEDITERRANEAN TANGO” (Pasqualino Ubaldini), guidato dal basso e dal pianoforte, presenta una chitarra che crea una linea melodica lieve ma virtuosa. Si dà un minimo tocco orientaleggiante e l’atmosfera non diviene mai banale. Un pezzo centrale dinamico, ma breve, fornisce un inserto originale alla composizione.  “L’ATTESA” (Marco Preti/Tito Macchiarella) è un progressive jazz. Anche qui è la chitarra si fa centrale e la chitarra rimane il mio strumento preferito anche nel jazz. Presente in modo importante anche la tastiera. Il tutto su una ritmica inquieta, piena di controtempi e movimento, anche se ad un certo punto smette affinchè il brano termini un po’ irrealmente.  In “KISS ME ON 7” (Alien) il giro iniziale di basso mi ricorda la band hard rock degli Iron Butterfly. In realtà il pezzo è ben altro, con la sua spolverata di psichedelia ed un sassofono intenso sopra una batteria iperattiva a cui si aggiungono tastiere giocose. Il basso rimane fondamentale in quanto sostegno esplicito della costruzione. Forse il pezzo più bello di tutto il disco. “WINTER BLAST” (Mag Mokrane Akim Gilles) inizia etereo; quando entra in gioco la batteria, prima s’inserisce leggera poi diventa più incisiva in una ritmica lineare non eclettica. Pause e movimenti variano il pezzo dove è la chitarra lo strumento principale, con un suono caldo. Tutto il pezzo possiede una anima ariosa ma pare non concludere adeguatamente, perché non si sviluppa, sembra un aborto di qualcosa che ci si aspettava. Ottimo spunto non portato a termine. “AZULEJOS” (Jac) non è affatto Jazz, anzi sembra un pezzo acustico delle ballate tipo Scorpions, band Heavy Metal. La parte acustica della chitarra diventa persino elettrica alla fine, così come è nello stile della band tedesca. E’ comunque una bella canzone, basata sulla struttura e poco sul virtuosismo; qui non si può parlare di assolo ma di linea prettamente melodica portata avanti proprio dalla chitarra. Una linea melodica ricca e funzionale al pathos che regala. Devo dire che nel disco 2011 degli Yes, la strumentale chitarristica di Howe è meno bella di questa. “A CAT IN LOVE JAM” (PeereGynt Lobogris Friends) non è tra le migliori, ma il continuo cambiamento e alcune atmosfere, insieme all’allegria e alla spensieratezza, ne fanno una composizione fresca e intelligente. Chitarra; tastiere; batteria; basso…ogni strumento ha il suo breve momento di gloria, soprattutto mi è piaciuto il basso. Il finale è l’apice energetico, che conclude anche il disco. Non siamo di fronte a situazioni di altissimo livello, eccetto per alcune song, e non si tratta qui di puro jazz (a volte si sente dell’altro…pop compreso), però ho l’impressione che il jazz mi stia piacendo troppo….colpa di chi mi presta i dischi (chi ha orecchie per intendere intenda).  Sky Robertace Latini


DUST BOWL - Joe Bonamassa  (2011)

Questo bluesman ha nel sangue la carica giusta per unire la verve rock alla sensibilità blues. Lo scorso anno ha fatto un disco con il bassista-cantante Glenn Hughes (che suonò coi Deep Puple) nel gruppo Black Country Communion, riuscendo a svolgere perfettamente il ruolo di chitarrista rocker. Dalla sua sei-corde, in tal lavoro, sono usciti rif e assoli degni dell’Hard Rock più pregiato, nei suoi dischi solisti invece egli compone blues, ma lo fa portando chiaramente con sé una energia che viene dalla sua anima più elettrica. “SLOW TRAIN” non è solo un brano ben suonato ma anche una composizione piuttosto originale sia per arrangiamento che per linea melodica, parte cantata compresa. Joe cerca soluzioni non scontate, e riuscirci nel blues significa doversi davvero impegnare. Il brano inizia proprio come una imitazione strumentale del suono della locomotiva. La chitarra poi continua a farne il verso sia durante lo sviluppo strutturale del pezzo che nell’assolo. Atmosfera calda….ottima riuscita. “TENNESSEE PLATES” è un frizzante country-rock’n’roll cantato con John Hiatt. Pianoforte e chitarra accendono il feeling ritmico, gli assoli s’infilano qua e là. Non si esce dai canoni tradizionali, ma l’energia è notevole e non si può non seguire col corpo. Non so quale sia il significato del blues che il titolo annuncia, ma “THE MEANING OF THE BLUES” entra nel blues vero e proprio con forte personalità. Il suono racconta bene cosa sia questa corposa musica dell’anima. La verve è scura ma soffice e fluida e il pathos è assicurato. Bello l’assolo che velocizza ed elettrizza una canzone giocata altrimenti tutta sulla lenta morbidezza. “BLACK LUNG HEARTACHE” vive tutta su suoni country folk blues americani di antica data. Chitarra acustica e voce tremolante (a volte simile a quella di degli Aerosmith) senza batteria in una suggestiva interpretazione della tradizione, per poi scaldarsi con riff quasi hard settantiani di forte impatto, senza velocizzare il ritmo battuto dalla batteria, la quale, entrata in gioco, suona in middle-time. Qui Joe non ha voluto inserire assoli di chitarra anche se penso che ci sarebbero stati bene. “YOU BETTER WATCH YOURSELF” si butta in un altro ritmo cadenzato che è d’obbligo ballare con l’ancheggiamento rock’n’roll blues. Sul ritmo si inserisce un assolo ruvido di quelli che salgono e scendono e che vorresti non finissero mai. “NO LOVE ON THE STREET” è un altro classico blues, di quelli d’alta classe. Una traccia soft scandita da continui rivoli chitarristici. Troviamo anche un accenno di coro femminile che poteva essere sfruttato meglio. Ma la parte solistica principale (divisa in due assoli) è la vera leader sonora della canzone, assoli più belli di quello concepito in “The meaning of the blues”. Quest’anno ho recensito un altro album blues, quello di Warren Haynes, ma se quello possedeva connotati sul versante più soul-blues, Bonamassa predilige appunto il rock-blues, producendosi in un suono chitarristico maggiormente aggressivo pur riuscendo con altrettanta classe in brani molto soft e delicati. Devo confessare che preferisco questo tipo di blues (già di Gary Moore). Haynes mi è sembrato piuttosto plastificato, qui, senza perdita di raffinatezza, c’è più vitalità. Lunga vita al blues.   Sky Robertace Latini


SUMMER JAZZ  (raccolta - 2011)

Continuo a recensire i dischi di Jazz che ascolto e non so se faccio bene. Infatti non riesco a districarmi tra Acid-jazz; Cool-jazz; Free-jazz; Fusion; eccetera. O meglio, percepisco queste variabili senza poterne recepire perfettamente il contesto tecnico-storico-culturale, e quindi non riuscendo a collocarle in uno schema. Ma in fondo rimane musica da vivere, un arte da gustare senza sovrastrutture mentali. Se volete recensioni di gente super esperta cercate gli addetti ai lavori. Io racconto del jazz con la mia sensibilità da rocker, perché in fondo trovo nel jazz cose che mi attirano e che mi ispirano godimento. “PEBBLES & WEED” (Ergo - Aggo Mix) è una suadente e fosca atmosfera lenta, che freme grazie anche alla voce femminile che canta calda e densa. I fiati fanno da contorno rendendo la canzone piena di suspance. Brano molto bello. “UN SOIR A VENISE” (Tom La Meche) possiede un sound classicissimo. Ritmo non veloce, sudamericano (non proprio il mio preferito), e tastiera che ridonda con suoni riverberati prima di dare accesso alla chitarra, momento più bello del pezzo profondendosi in un assolo interessante. Tutto con molta calma nonostante la sei corde abbia un carattere forte. “I’M GRATEFUL” (Walter Mazzacano) suona divertente anche se non ridanciano. Chitarra supportata dalla tastiera in un frizzante andante, alternandosi a brevi momenti più intimisti. E’ una allegria cheta e rilassante. “JAZZEANDO EN COLORES” (Dave Imbe.) debutta con un giro di basso che mi ricorda “Ma chi se ne importa” di Gianni Morandi. Il basso rimane sempre nella struttura portante del pezzo che non perde mai il ritmo e prosegue incalzante fino a fornire un altro giro che stavolta ricorda “Gioca Juè” di Cecchetto. Non so se sono citazioni o l’autore non ci abbia fatto caso, resta però un ottimo pezzo dove il pianoforte solista si associa a fiati in una atmosfera molto originale ed eclettica, con animo molto “fun”. Anche “MOTHIA” (Starlaband) mi appare “sui generis” col suo ritmo e i fiati soul blues e con la chitarra distorta piuttosto rock. Sound che s’impone energicamente, e all’interno anche il basso vuole proporre un suo assolo, per quanto piccolo, poi ecco pure il pianoforte solista. Ritroviamo Ubaldini, già presente nella raccolta “Jazzfriends”, con un brano differente: “ALGARVE” (Pasqualino Ubaldini). Percussioni, e sopra si pone una chitarra acustica molto gentile che lascia spazio anche ad un pianoforte dalle stesse connotazioni dolci ma leggermente più dinamiche. Alla fine la sezione ritmica inserisce i piatti che accompagnano i solisti verso la fine con una atmosfera di malinconia, lasciando finire alla chitarra che riprende il tema principale. Begli assoli e buone tematiche. Certo, brani che non mi dicono nulla ci sono, ma il livello medio è relativamente alto (tra i brani minori non male nemmeno “Acoustic Lounge Guitar” e “Homerdose”).       Sky Robertace Latini


BLUES and JAZZ


BLUES

Il BLUES è la musica degli schiavi che, mischiandosi alle tradizioni bianche americane, ha fatto nascere Jazz e Rock’n’Roll. In essa vivono le “note blu”, cioè intervalli di quinta diminuita che rendono dissonante il rapporto tra armonizzazione e melodia. Il termine blues però vuole spiegare tristezza e sofferenza; avere il “diavolo blu” vuol dire “sentirsi giù”. I brani sono molto schematizzati, basandosi su tre accordi di base che ne staticizzano la struttura.

JAZZ


Il JAZZ è un genere musicale americano. Sulla base swingata si animano ritmi diversi e improvvisazione. Si trovano anche le note blu del blues che suonano malinconiche. Nel tempo si è sviluppato mescolandosi a tutti i generi possibili e immaginabili fino alla musica latino-americana, al funky, al rock, persino all’hip-hop. Esistono vari tipi di jazz e per la maggior parte cercano il virtuosismo nelle interpretazioni strumentali. L’improvvisazione è la vera peculiarità di questa musica, con la quale si esprimono variazioni sul tema fino talvolta alla scomparsa del tema stesso.  Una strada che non è a senso unico. Si, il blues viene prima, ma dal blues si parte e al blues si ritorna. Con sempre nuova energia e con rinnovato carattere.  Il jazz che ho ascoltato nelle tre raccolte di quest’anno è un susseguirsi di tipologie diverse raggruppate tutte insieme. Non c’è il Jazz antico ma quello colto dei nostri tempi mescolato a sonorità di tutti i generi (rock compreso). Ma il jazz e il blues sovente si incontrano come spesso fa col blues anche il rock. Più difficile l’unione del jazz con il rock sebbene ve ne siano molteplici esempi. I bluesmen solitamente si trovano ad infilare assoli o ritmiche jazz dentro l’anima dei loro pezzi, esprimendo soprattutto dal vivo l’attitudine propria del jazz ad improvvisare (cosa che però hanno anche i musicisti rock soprattutto quelli della psichedelia). Così anche trovo molti jazzisti fare assoli blues o rockeggianti, oltre che di altre musiche, perdendo forse talvolta il jazz come tipologia a sé stante e acquistando come jazz solo il gusto dell’improvvisazione.  Trovo che il blues sia molto più uguale a se stesso di quanto sia il Jazz che invece diviene spesso estremamente diverso da un tipo ad un altro. I rivoli in cui si agita il jazz si disperdono verso tutte le tipologie sonore. Il Blues invece non si allontana mai troppo dalla sua essenza specifica, rendendo difficile l’ottenimento della novità. Il blues può legarsi al country; al rock’n’roll , al rock, al jazz, ma varia poco. Il jazz invece riesce a fluidificarsi mutando aspetto e caratteristiche. Non è la struttura compositiva la forza preponderante del jazz, come può avvenire per il blues e il rock, ma è l’improvvisazione che si ottiene con gli assoli. Nel blues però l’assolo di chitarra o di armonica o di tastiere è sempre necessario, e può divenire anch’esso improvvisazione.  Joe Bonamassa e Warren Haynes quest’anno hanno tirato fuori dischi blues di eccellenza. Il primo andando maggiormente sul versante Rock, il secondo su quello Soul. Se Warren infila anche inserti jazz, Joe ha un impeto più elettrico. Io preferisco lo stile di Bonamassa, dove il pathos si lega all’irruenza, l’eleganza di Haynes talvolta si perde nella plastificazione spegnendo così (ma solo parzialmente) l’emozione. Ma il jazz riesce a dare forza bluessante o rockeggiante? Nelle due raccolte a volte si sentono tali influssi, anche se il rock-jazz tende lasciare il lato sporco del rock ammorbidendo e raffinando, perdendo così istinto e potenza, e la parentela col blues può benissimo essere percepita in alcuni pezzi. Il Jazz qualche volta mi sembra non esistere come genere, pare tutto e niente, scorrendo nell’inseguire le note…e io ascolto, vado dove mi porta il cuore, non sono io a scegliere, ma sono i suoni a tirarmi per le orecchie.  Sky Robertace Latini



1 commento:

ROBERTO R. ha detto...

roby, continua a recensire il jazz! lo fai da persona competente! roberto

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)