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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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317. BREVI RIFLESSIONI SUL NICHILISMO DI FRANCIS BACON E LA SPIRITUALITA’ DI WILLIAM CONGDON di Roberto Rapaccini
Ho una particolare predilezione per
il pittore Francis Bacon, che ho sempre considerato il più grande maestro del Novecento.
Mi sembra che Bacon ben rappresenti la crisi dell’uomo moderno che, orfano di
certezze, vive una condizione nella quale anche la tessera più preziosa si
perde in un mosaico di una fatuità multicolore, a tratti bestiale (Two
figures with a monkey, 1973). I suoi soggetti, ridotti a brandelli (Studies
from the Human Body, 1975) o ad un involucro che delimita esclusivamente la
vacuità (Seated Figure, 1974), sono
collocati in uno spazio instabile, marcato quasi sempre da linee curve, segnato dall’assenza di tratti rettilinei e
dalla mancanza di riferimenti ad un lucido ordine euclideo o ad una solida collocazione
cartesiana (Triptych, 1970). Le comparse umane sono simulacri informi di
informi presenze (Three Studies of Herietta Moraes, 1966), sedute su
improbabili sgabelli sorretti da una sola gamba (Three Studies of the Male
Back, 1970). Si è smarrita la cognizione della superiorità ontologica del
bene sul male; il bene e il male infatti sfumano i loro contorni all’interno di
un embrione che li contiene entrambi (Two Studies of a Portrait of George
Dyer, 1968). In questo status, che è archetipo di contingenze
continuamente in bilico, è sempre più lontano il ripudio del male radicale
kantiano. L’insoddisfazione, che tracima non di rado in un silenzioso
urlo disperato (Study for a Portrait, 1949), esprime un drastico desiderio di infinito,
che è anche prova del fallimento di una
materialità che non è in grado di
coronare la ricerca di una dimensione compiuta (Lying Figure No. 1, 1959).
Le opere di William Congdon mi sembrano invece simmetricamente agli antipodi di
quelle di Bacon, soprattutto dal punto di vista formale. Nell’un caso (Bacon)
e nell’altro (Congdon) la forma è
protagonista: integra significativamente dei contenuti (Congdon) o ne decreta la loro
assenza (Bacon). William Congdon, da un punto di vista sistematico (per quanto possano
valere queste collocazioni) è considerato un importante ed originale artista
appartenente al movimento dell’action painting, ovvero è plenipotenziario
di una corrente particolarmente ampia e multiforme. Personalmente preferisco
considerarlo un esponente dell’espressionismo astratto, anche se molti convenzionalmente
ritengono che questa tendenza coincida esattamente con l’action painting, la
pittura gestuale. Paradossalmente l’astrattismo di Congdon è molto più concreto,
e, nella sua consistenza, più oggettivo dell’eloquente impalpabilità del
figurativismo di Bacon. I cromatismi delle superfici dei quadri di Congdon sono
ordinati e uniformi senza soluzione di continuità, e sembrano arginare serenamente
misteriosi e complessi contenuti (Africa 5, 1970); è lontana la vacuità inquietante
di Bacon. L’umanità del pittore inglese (Bacon) è ripiegata su se
stessa; al contrario, i soggetti dell’artista americano (Congdon),
soprattutto quelli di natura religiosa, diffondono un positivo messaggio di
luce (Ego sum 4, 1960), mentre altre volte dominano lo spazio,
tagliandolo con una irriducibile spinta verso l’alto (Ecce homo 1, 1960).
I temi della pittura di Congdon si riassumono nel Crocefisso 2 (1960):
nella figura del Cristo in croce coesiste la leggerezza della sua
ascensionalità con la compatezza delle superfici cromatiche che delimitano i
suoi tratti somatici. Le curvature del segno gestuale pittorico che definiscono in termini tridimensionali il corpo del
Redentore, inducono un senso di pienezza. Ascensionalità e pienezza sono il correlato formale della
compiuta perfezione spirituale del Cristo, nel quale la dimensione
di perfetto uomo si integra con quella di perfetto Dio. Le linee, nei quadri di Congdon sempre
rettilinee e pertanto metafore di certezza, sono spesso nei quadri di Bacon ridondanti e interrotte: l’incertezza formale ben sottolinea l’assenza
di riferimenti che possano indicare all’uomo sicuri approdi esistenziali. Con uno sforzo
figurativo William Congdon in Getsemani (1960) rappresenta, nel mezzo di una nuvola argentea,
il Cristo prostrato in dolorosa preghiera. La figura è dignitosamente composta,
anche se la postura sottolinea la drammaticità del momento. Questo Cristo è
agli antipodi delle figure bestiali e criptomorfe che popolano i quadri
di Bacon. In conclusione, anche se ho sempre ritenuto che un’opera d’arte viva
di una vita autonoma e distinta rispetto a quella del suo artista creatore (con la conseguenza che il pensiero di
quest’ultimo assume una scarsa valenza esegetica), mi sembrano significative queste
frasi pronunciate dai due artisti. William Congdon, profondo cattolico, affermò: ‘…dipingo sempre quello
che sono, non quel che vedo’, mentre Francis Bacon ebbe a precisare: "..cosa
pretendevate? Che dipingessi rose rosse nel secolo degli orrori?". ROBERTO
RAPACCINI
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(Carl Gustav Jung)
2 commenti:
Bel post, l'ho mandato su facebook al gruppo di appassionati e collezionisti del pittore William Congdon.
A presto,
Edoardo
Una bella riflessione che condivido in pieno
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