1968). In questo status, che è archetipo di contingenze
continuamente in bilico, è sempre più lontano il ripudio del male radicale
kantiano. L’insoddisfazione, che tracima non di rado in un silenzioso
urlo disperato (Study for a Portrait, 1949), esprime un drastico desiderio di infinito,
che è anche prova del fallimento di una
superfici dei quadri di Congdon sono
ordinati e uniformi senza soluzione di continuità, e sembrano arginare serenamente
misteriosi e complessi contenuti (Africa 5, 1970); è lontana la vacuità inquietante
di Bacon. L’umanità del pittore inglese (Bacon) è ripiegata su se
stessa; al contrario, i soggetti dell’artista americano (Congdon),
soprattutto quelli di natura religiosa, diffondono un positivo messaggio di
luce (Ego sum 4, 1960), mentre altre volte dominano lo spazio,
tagliandolo con una irriducibile spinta verso l’alto (Ecce homo 1, 1960).
I temi della pittura di Congdon si riassumono nel Crocefisso 2 (1960):
nella figura del Cristo in croce coesiste la leggerezza della sua
ascensionalità
con la compatezza delle superfici cromatiche che delimitano i
suoi tratti somatici. Le curvature del segno gestuale pittorico che definiscono in termini tridimensionali il corpo del
Redentore, inducono un senso di pienezza. Ascensionalità e pienezza sono il correlato formale della
compiuta perfezione spirituale del Cristo, nel quale la dimensione
di perfetto uomo si integra con quella di perfetto Dio. Le linee, nei quadri di Congdon sempre
rettilinee e pertanto metafore di certezza, sono spesso nei quadri di Bacon ridondanti e interrotte: l’incertezza formale ben sottolinea l’assenza
di riferimenti che possano indicare all’uomo sicuri approdi esistenziali. Con uno sforzo
figurativo William Congdon in Getsemani (1960) rappresenta, nel mezzo di una nuvola argentea,
il Cristo prostrato in dolorosa preghiera. La figura è dignitosamente
composta,
anche se la postura sottolinea la drammaticità del momento. Questo Cristo è
agli antipodi delle figure bestiali e criptomorfe che popolano i quadri
di Bacon. In conclusione, anche se ho sempre ritenuto che un’opera d’arte viva
di una vita autonoma e distinta rispetto a quella del suo artista creatore (con la conseguenza che il pensiero di
quest’ultimo assume una scarsa valenza esegetica), mi sembrano significative queste
frasi pronunciate dai due artisti. William Congdon, profondo cattolico, affermò: ‘…dipingo sempre quello
che sono, non quel che vedo’, mentre Francis Bacon ebbe a precisare: "..cosa
pretendevate? Che dipingessi rose rosse nel secolo degli orrori?". ROBERTO
RAPACCINI
2 commenti:
Bel post, l'ho mandato su facebook al gruppo di appassionati e collezionisti del pittore William Congdon.
A presto,
Edoardo
Una bella riflessione che condivido in pieno
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