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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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236. “ENSLAVED” Soulfly (dal Brasile e non solo) - 2012 di Sky Robertace Latini
Le sonorità
di questa band, all’ottavo album, non sono certo leggere come il loro moniker
farebbe ritenere. Riff, groove e linea melodica sono cattivissimi. Tutto il
lavoro gronda di sanguigna ferocia. “INTERVENTION”
rotola veloce come una valanga di sassi e pietre taglienti. Poi il suono si
incupisce in un ritmo più lento ma dall’atmosfera calda rovente. La parte
finale diventa un macigno doom che àlita la sua greve nube polverosa. “GLADIATOR”
è un bel pezzo ruvido ma ben dinamico nella sua immediatezza. Alterna ritmi
differenti ad altrettante linee vocali diverse. “TREACHERY” parte ossessivamente a razzo e
poi il 4/4 diventa cadenzato ma la ferocia rimane inalterata. I momenti veloci
tornano ma è la costruzione globale che vive di variazioni. La parte
dell’assolo è più di atmosfera che giocato sul groove o sul solismo
ipertecnico; in esso si respira un certo alleggerimento e raffinatezza. Forse
il pezzo più bello del disco proprio per non essere monolitico. “PLATA O POMO”
è cantato in portoghese e parla del traffico di droga e del narcotrafficante
Pablo Escobar. Si infila in mezzo ai riff la chitarra acustica spagnoleggiante
alla sudamericana, ma essa ha anche un suo momento da sola nel finale, che
stranamente non stona affatto. Una composizione che vira verso il metal-core.
E’ dura ma anche divertente (per un metallaro). “CHAINS” cola giù lenta. Non
sceglie la velocità come elemento principale, ma l’afa pesante. La verve è
asfittica ma niente affatto noiosa. Un cambio di ritmo leggermente più
accelerato contiene un assolo e una diversa linea vocale, poi arriva l’azione
veloce col suo bel blasting, prima di tornare al ruvido lento avanzare. Nel
finale il suono di catene. “REVENGEANCE” è forse la traccia più originale. Una
cadenza ossessiva con incroci vocali e chitarre ribassate a dare un ridondante
senso del pieno. E’ suonata con i figli. Qui il sound è thrash anche se Max
Cavalera riferisce di ispirarsi anche al Death, ma si opta spesso per caratteristiche
metal-core piuttosto spinte. Mi rendo conto che le singole tracce sono
costruite tutte sullo stesso modello. Le situazioni veloci lasciano spazio
spesso a momenti di grassa e corposa lentezza, ma non come pause, è invece un
modello compositivo che vuole separare nettamente la prima parte di una canzone
dalla seconda, e tale modello viene ripetuto più o meno in ogni song. Altra caratteristica di questa opera è la
distorsione della chitarra, che è piuttosto ripulita e liquida; concentrando la
distorsione e vari effetti tecnici sulle voci. Infatti la cattiveria non viene
data tanto dalle chitarre quanto dall’uso carico della vocalità, molto
furentemente espressiva. L’album è un concept incentrato sulla schiavitù. E’
l’arte del grande Max Cavalera, uno dei fratelli che fondò i mitici Sepultura.
Sarebbe quindi una band brasiliana, solo che invece vede all’interno membri di
altre band non brasiliane (tipo il batterista ex-Borknagar, quindi un
Norvegese). Solo che il leader è appunto Max Cavalera che è brasiliano. Ma se
egli è il leader, non è il solo conosciuto: anche gli altri componenti vengono
da esperienze note, per cui parliamo di un supergruppo. Tiri-tere a parte, il
disco è bello, forse meno personale e particolare del secondo album dei
Cavalera Conspiracy (scritto da Max col fratello), ma comunque di livello. sky Robertace Latini
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