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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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235. “FIRE MAKE THUNDER” OSI (dagli U.S.A.) - 2012 di Sky Robertace Latini
“FIRE MAKE THUNDER”
OSI (dagli U.S.A.) - 2012
Essere un supergruppo non vuol dire fare sempre il
“botto”. Questa band è un duo formato da un ex-Dream Theater (Kevin Moore) e un
Fates Warning (Jim Matheos), e il loro prodotto non contiene molto di ciò che
li ha contraddistinti singolarmente in passato; infatti non viene suonato metal
esplosivo, si tratta invece di effetti ondeggianti e sinuosi, molto attutiti.
Si tratta della loro quarta collaborazione sotto il monoker OSI dal 2003. La
musica sperimentale può essere considerata una serie di prove sonore per vedere
se si possa ottenere un risultato valido su strade mai percorse. Nella scienza,
un esperimento può risultare positivo e dare la possibilità di creare un nuovo
dispositivo da utilizzare nella vita comune; per esempio, una volta scoperto
come creare il telefono in modo soddisfacente, esso è divenuto progressivamente
… di tutti. Ecco, gli OSI sono un prodotto commerciale nel senso di
decodificato e quindi ben fruibile, dopo anni di sperimentazione fatta da
altri. Si percepisce lo spirito dei King
Crimson (soprattutto nei brani soft) e la forma di Alan Parsons’ Project; ma il
risultato a volte può essere associato alla musica ambient o a certa New Wave
anni ‘80. “INDIAN CURSE” è una traccia
molto eterea, dove i suoni soft sostengono una voce molto morbida. Può
ricordare cose dei King Crimson. “WEW WON’T HOWL” è un altro pezzo soffuso,
dove i suoni e la voce vogliono rimanere pacati e dolci. “FOR NOTHING” è ancora una volta una song
intimista. Legata ad una soffice algida atmosfera. “INVISIBLE MEN” è invece una composizione che
dà l’idea di cosa sarebbero gli OSI se sviluppassero le loro idee in modo
efficace. Questa è una traccia forte e raffinata in cui è racchiuso insieme
tutto ciò che è caratteristico degli OSI nelle altre song. Troviamo la
refazione e i suoni sintetizzati; troviamo la voce soft riverberata e tenue;
troviamo l’aumento dei toni in affreschi sonori più forti, usando la
distorsione. Nella parte finale troviamo pure un assolo alla Pink Floyd. Il
tutto in una variabilità ben congegnata.
Purtroppo gli OSI sembrano sprecare spesso delle buone intuizioni, non
riuscendo ad approfondirle e a svilupparle. La energica “Big Chief II” rientra
in questa tipologia di canzoni non concluse a dovere, rimanendo piuttosto in
embrione. Parlare di questo lavoro come
di un lavoro metal è eccessivo. Quando appare la chitarra distorta o un po’ di
durezza, non è mai abbastanza hard, anche se si intravede della potenza.
Possiamo parlare di un Progressive Rock che sa variare e che preferisce
l’introspezione all’attacco frontale. Se cerchiamo virtuosismi, qua non ce ne
sono visto che essi prediligono generare emozioni attraverso una visione
ambientale generale. Sky Robertace Latini
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