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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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119. RECENSIONI (2011) di Roberto Latini


A DRAMATIC TURN OF TURN OF EVENTS - Dream Theater  (2011)

Parlare male e deludersi con i Dream Theater sembra essere diventato di moda tra i metallari. Io, quando sorsero, pensai che non avessero inventato nulla, essendo bravi a mischiare tutto ciò che nella musica esisteva già, senza offrire valore aggiunto, cioè senza creare nuovi stili. Adesso, a molti anni di distanza, ammetto che il valore aggiunto stava proprio nell’unire tutte le tendenze sonore in modo compatibile. Ogni gruppo di Prog-metal ha dentro i Dream Theater, chi poco, chi molto, ma questo significa che i Dream sono riconoscibili, quindi sono personali rappresentando solo se stessi. Se per il disco di due anni fa mi sono associato alle critiche comuni, nonostante fosse un bel disco, stavolta, per il disco di quest’anno, mi dissocio. Si tratta della loro undicesima fatica da studio, e per essa trovo  solo (quasi) belle parole. E’ una opera meno dispersiva, con brani che abbracciano di più il formato canzone, e per questo forse più incisiva. La pecca più grossa che trovo sta in due brani “Outcry” e “Far from heaven”, ed entrambi per lo stesso motivo: il cantato è pop, al limite dell’accettabile, a volte mi ricorda le “boy band” nel loro lato più soft. “Far from heaven” è proprio banale e andrebbe cestinata, ma è invece un grandissimo peccato per “Outcry” perché la parte solistica è stupenda, e anche la più tecnica e complessa di tutto l’album. “ON THE BACKS OF ANGEL inizia l’album e lo fa con eleganza strumentale, con verve quasi sinfonica. I riff duri danno potenza ma le tastiere ammorbidiscono senza far perdere energia, anzi donando frizzante freschezza. La linea cantata non risulta particolarmente incisiva, in realtà sono proprio le linee strumentali a dare corposità al brano, compreso il pianoforte centrale. Oltre 8 minuti per un ottimo biglietto da visita.  “LOST NOT FORGOTTEN” entra malinconicamente col pianoforte. Poi evolve in rivoli virtuosistici che si presentano tra sonorità dure, cercando anche inserti lievemente maestosi, dove però è la linea vocale stavolta a sollevare il livello complessivo. Assoli in linea con la migliore tradizione progressive anni ’70/’80, e in tale tradizione anche la lunghezza della traccia che supera i 10 minuti.  “THIS IS THE LIFE” è una bella soft song, fa piacere poiché non sempre le canzoni calme dei Dream sono all’altezza del resto. Dolce e soave, si esprime tramite una voce soffusa e una atmosfera alla Genesis che ammalia.  “BRIDGES IN THE SKY” parte con atmosfera rarefatta e poi entra la chitarra ruvida contornata da un ritmo ossessivo. Sembra pesante e oscura, e lo è fino almeno al ritornello che stempera con grande pathos l’anima cupa del tutto. Parte solistica tra la musica classica e l’orientaleggiante. Qui i minuti superano il numero 11. “BREAKING ALL ILLUSIONS” non vuole essere solo hard e si cimenta fluidamente col progressive più classico, donando brividi alla pelle. Il ritornello è orecchiabile e arioso. Assolo chitarristico d’altri tempi. Stavolta quasi 12 e mezzo la lunghezza.  “BENEATH THE SURFACE” canta pop-country, ma qui la linea vocale non è banale ed è soavemente cullante. Altro brano soft di classe.  Il lavoro torna alle atmosfere dei primi tempi, quelli di “Images and words”, tralasciando alcuni lati cupi di “Train of thought”. Naturalmente questo non arriva al livello compositivo di quei due, però si respira arte e suggestione. Come al solito altissima tecnica e parti strumentali raffinate. Il cambio di batterista non si nota (Mike Mangini ha preso il posto del dimissionario Mike Portnoy, il quale però non era solo strumentista ma anche compositore). Jamies LaBrie non ha scelto l’aggressività vocale, preferendo il suo lato luminoso per quasi tutto l’album. Questo ascolto non annoia mai e nonostante la lunga durata (anche “Outcry supera gli 11 minuti) il tempo passa veloce, e quando la voce perde un poco tensione, ci pensa il lato strumentale a compattarla. Per me i Dream Theater sono gli Yes del metal. Se questo non è un disco di valore, allora non so dove mi trovo.


“HERITAGE”       Opeth  (2011)

Dovrebbe essere prog-metal ma non lo è…..è più o meno solo progressive, rock. Tra i King Crimson e i Genesis si respira una sonorità di quegli anni ’70, ammaliatori e rarefatti. “HERITAGE” è il pezzo che inizia l’album, ed è uno strumentale pianistico senz’altri strumenti. Sembra jazz ed è molto soft.  “THE DEVIL’S ORCHARD” possiede un ottimo ed intrigante giro di chitarra che, con la batteria, sprigiona energia e vivacità. La seconda parte della song è invece più intimista e soffice, in una cornice ipnotica e sospesa. Sei minuti e mezzo molto belli.  “I FEEL THE DARK” è un brano parecchio d’atmosfera, surreale e cupo che ricorda una verve alla King Crimson. Momenti delicatamente scuri con altri più distorti.  “SLITHER” si avvicina di più ai soliti Opeth, nel senso che si torna al Metal, ma io parlerei più di Hard Rock alla Deep Purple o alla Uriah Heep, lo afferma fortemente anche l’assolo di chitarra.. Breve brano efficace e potente che termina però con una coda acustica.L’album è come diviso in due. Nella prima si costruisce una serie di canzoni strutturate e complete; nella seconda sembra invece che ci si diverta a gustare i suoni, anche molto delicati e in sordina, senza voler costruire un discorso definito, perdendosi nelle percezioni più che in una idea. Pezzi bellissimi e poi svolazzi un po’ troppo dispersivi. Siamo al….album da studio per la band, buona prova ma il passato ha fatto vedere degli Opeth più originali.


“DEDICATED TO CHAOS”     Queensryche      (2011)

Se posso azzardare una sensazione, è che in questo lavoro Geoff Tate imiti lo stile di David Bowie, e le similitudini stilistiche non sembrano fermarsi qui, quando la band tenta il pop. Detto questo, è per ora più interessante discutere l’accoglienza che questa uscita discografica ha suscitato. Si tratta dell’evento musicale dell’anno più bistrattato. Invece io non me la sento di attaccarlo. I voti che il disco ha ricevuto dai giornalisti di “Rock Hard” sono 5,5; 4; 3. Con aggettivi tipo “confusionario”; “autentica schifezza”; “spazzatura” e “scarti”. In rete, anche alcuni blog sono sulla stessa lunghezza d’onda: “Spazio Rock”ha dato 5,5 conferendogli l’appellativo di “debole”; “Onda Rock” l’ha chiamato “indecifrabile”, nel senso di “Dove vogliono andare a parare?” Trovo tutte questa atmosfera umorale molto surreale. Non è tanto il fatto che non sia piaciuto, quanto l’assoluta mancanza di percezione “oltremetal”. I Queensryche infatti sono un gruppo di Progressive Metal (lo hanno creato loro) e a qualcuno sembrebbe che adesso non lo siano, infatti in internet ho letto una recensione su “Metallus” che li etichettava ironicamente come “Regressive” trattandosi di “melassa insulsa”. Quando parlo di “Oltremetal” voglio intendere la capacità di ascoltare, capire ed apprezzare anche, non voglio dire tutto il resto della musica, ma almeno tutto il resto del rock. Io, che ho gusti molto vari (non esageriamo….niente leggera, disco, house, hip hop, liscio, e certe icone shitpop del cavolo), anche se amo il rock duro più di tutto, non riesco a vedere questo come un album fallito, anzi riesco a vederlo piuttosto riuscito. E su internet ho trovato chi la pensa come me; si tratta del blog “Rockrebel Magazine” che considera “Dedicate to chaos” un “disco vigoroso…coraggioso, pronto a sfidare le critiche di una certa corrente di fan un po’ “talebana”, e aggiunge di sgombrare “la testa da pregiudizi: vi piacerà”, conferendogli poi voto quattro/quinti. “GET STARTED” non sarà uno dei brani migliori sfornati dalla band nella sua lunga storia, ma non è niente male. Già in passato abbiamo sentito nei dischi dei Queensryche tale sonorità metallica ma leggera. La grinta c’è ed anche la personalità. Canzone frizzante, perfetta per la partenza di un album, con un ritornello azzeccato, che potrebbe stare in vecchi album della band.  “HOT SPON JUNKIE” è un metal rock adatto anche a dischi non metal. Ritmato e ballabile, possiede una buona carica ed è coinvolgente mantenendo comunque un’anima scura. Non c’è un ritornello considerabile tale, ma non è una pecca. Assolo di chitarra molto semplice e lineare.  “RETAIL THERAPY” vive di una sonorità pseudo-Industrial Metal. La cosa migliore è la voce con una linea cantata varia e intensa, che qualche volta sembra quella di Bowie. Originale.  “AT THE EDGE” inizia in sordina con un suono soffuso, a sottolineare che non sarà una atmosfera allegra, poi, a conferma, entra un riff Led Zeppeliniano che scivola su di un middle-time. Brano corposo anche grazie alla voce dalla densa interpretazione. Al centro torna la sordina, e un che di psichedelico, prima dell’assolo di sassofono carino ma troppo corto. Il brano migliore dell’album.  “THE LIE” è una sonorità sempre Led Zeppeliniana (“Physical graffiti” - 1975). Nella voce tipica di Tate si sprigiona il meglio della song, ma anche i cori sono incisivi. Qui 2er mejo” assolo di chitarra, l’unico personale.  “BIG NOIZE” è una canzone soft che appare legata alla New Wave degli anni ’80. Qui la modalità canora copia parecchio Bowie. Non è una composizione immediata, possiede successioni di suono e di vocalizzo che ne spezzano la compattezza in una consistenza elastica e melmosa, che alla fine ne fanno un intrigante brano non commerciale.  Assoli chitarristici piuttosto ridotti all’essenziale, la realtà meno originale dell’album. La voce è l’elemento centrale della musica di questo lavoro, e anche se non sempre si esprime al meglio, rimane solitamente interessante nella costruzione delle linee vocali, anche se la ricerca dell’originalità a tutti i costi a volte fa perdere pathos al pezzo. La sezione ritmica è abile, ma anche se Geoff Tate in una intervista a Rock Hard la considera più dinamica del solito (“Si tratta di un disco molto ritmico, nato principalmente da idee ritmiche”), io non vi vedo una così evidente esuberanza; pur risultando eclettica, rientra in canoni già sperimentati.  Se per tanti detrattori l’insieme è frammentario e disomogeneo, lo potrebbe essere per le varie ispirazioni che ivi sono contenute, ma esse a me paiono ben amalgamate. Se invece qualcuno trova che siano altro dai Queensryche, che già ci avevano abituato a innovazioni molto criticate e poi cadute, io invece sento che alcune cose della band in embrione già esistessero e qui trovino maturata realizzazione; e poi c’è la voce che lega bene il nuovo col vecchio.  Si, il pop c’è, ma il disco non è pop, è un rock spesso legato al metal, altre volte colorato di Pink Floyd o Cure, che alla fine torna ad essere complessivamente Progressive.  Il problema è che spesso il metal kid è un pubblico settoriale anche proprio all’interno dello stesso Metal, contrastando un genere metallico rispetto ad un altro (W il Death Metal; M il Symphonic Metal e così via). Noto che questo lavoro è difficilmente classificabile se si cerca di avvicinarlo al progressive metal solitamente inteso, o ai dischi più famosi degli stessi Queensryche. In conclusione “Dedicated to chaos” è un album di Progressive Metal situato fuori dal contesto condiviso.


“ICONOCLAST”    Symphony X   (2011)

Allen ha una voce heavy, mentre la chitarra, dura anch’essa, suona un po’ meno Malmsteen che in passato. La tipologia del disco invece va più sul classico Heavy Metal che ha il suo maggior rappresentante in Ronnie James Dio, complici non solo il timbro dell’ugola di Allen, ma anche alcuni passaggi vocali apparentemente copiati (rari). In più ci imbattiamo in momenti thrasheggianti. Circa undici minuti dura la title-track “ICONOCLAST” in pura tradizione progressive. Il brano però contiene anche caratteristiche Power e Symphonic Metal. Cori epici degni dei migliori Manowar e atmosfere metalliche veloci e melodiche al tempo stesso. Voce roca e densa. La composizione abita un vestito largo con variazioni sul tema, senza però mai cedere in tensione né mutando stile; anche le ritmiche cambiano, diventando però, insieme alla chitarra, il sostegno di tutta la struttura.  “ELECTRIC MESSIAH” parte subito sostenuta. E’ una canzone con un bel riff e una vocalizzazione intensa; nel ritornello il ritmo rallenta. Ma il modo di cantare è molto classico, tipico degli inizi anni ’80 (si può percepire un che di Rainbow). Prima dell’assolo c’è un bel fraseggio ritmico chitarra e batteria, lungo e dignitoso in se stesso; l’assolo chitarra/tastiere poi torna a velocizzare la trama.  “THE END OF INNOCENCE” dall’atmosfera pesante, vive di una voce alla R.J.Dio. Ritornello fresco e accattivante, che esce dalla grevità del brano, che nel complesso è lineare ma efficace. Ottima la presenza, pur discreta, delle tastiere. Presente anche un ponte pseudo-soft. “PROMETHEUS (I AM ALIVE)” presenta un inizio strumentale tonico. E’ un pezzo un po’ progressive dove la velocità non è elemento caratterizzante, anche se vi sono accelerazioni della sezione ritmica e dell’assolo. Qui Allen talvolta sembra Zakk Wylde dei Black Label Society, interpretando una anima più cupa come è del resto tutto il brano. Uno dei brani più personali del disco. “LIGHT UP THE NIGHT”, ritmica e fluida, è una canzone Power Metal che predilige sonorità aperte, rotonde, seppure aggressive. Al centro si ammorbidisce un po’, ma per il resto vola in modo tirato ed elettrico. L’assolo non è molto originale, ma fa il suo tecnicissimo dovere, anche a lungo.  “BASTARDS OF THE MACHINE” si agita e si infervora con un inizio energico, poi rallenta per far posto alla voce fortemente alla Ronnie. Un brano adatto a far scatenare e a far alzare il pugno dal vivo; riff, voce, assoli, e inserti vari (anche corali) tutto concorre a renderlo duro ed esuberante.  “HERETIC” torna parzialmente al progressive, per il resto è un metal legato al power, cedendo anche per un po’ al Thrash. Risulta cupo ma pieno di energia. Si sente chiaramente il tappeto sonoro delle tastiere, ma la chitarra la fa strutturalmente da padrone. L’assolo è veloce ed esprime bellezza.  “REIGN IN MADNESS” si tinge di epicità e forza thrash, anche se il ritornello pieno di pathos si colora un po’ in chiaro. Ma l’atmosfera si amplia anche per la pausa soft acustica e pianistica, lasciando un po’ di aria dark, e spostando il tutto sul progressive (assolo compreso), ma sempre permettendo all’animo duro di affacciarsi.  Quando nel metal ci imbatte in una ballata, si rischia di trovare composizioni poco personali o banali, oggi più che una volta; non è il caso di “WHEN ALL IS LOST”, davvero bella e variegata. Anche nei riff in distorsione mantiene la caratteristica di canzone calma. Il pianoforte gli regala più dolcezza e la voce sa interpretarla. Poi il lato strumentale s’inalbera verso un picco progressive poco metal ma di forte pathos. C’è poi l’impatto dell’assolo, unico momento hard, prima del finale dove ritorna il cantato.  Globalmente il genere Progressive Metal che gli statunitensi Symphony X rappresentano è meno evidente che in altri dischi (vedi per esempio “Electric Messiah” e “The end of innocence”). Direi anzi che ci troviamo di fronte ad un lavoro che vuole essere prettamente Heavy Metal classico dove il progressive non è preponderante. Il livello è alto, molto alto. La cura sia tecnica che compositiva è ineccepibile e appassionante. I brani minori sono solo tre, e chiamarli minori non è neanche facile. Insomma, un bellissimo album, in cui il passato storico di tipo progressive fa si, che quando decidono di suonare un metal più linearmente Heavy, ci riescano con ampiezza compositiva e grande personalità interpretativa, per una creatività originale.  Sky Robertace Latini

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