d'una tormentosa ricerca, attraverso il linguaggio, di un più elevato grado di coscienza e conoscenza. Centrale nella produzione letteraria di Hermann Hesse è “Siddharta”. Non è un fatto riduttivo concentrarsi su quest’opera per quanto riguarda la personalità dello scrittore tedesco. Non lo è perché l’opera appare di una sincerità per così dire conclusiva. “Siddharta” racchiude l’universo di Hesse. Si tratta di un universo preciso, dove la spiritualità va ad occuparne la parte centrale, nevralgica. Hesse vive in una realtà difficile e composita, caratterizzata dalla sbrigatività e dalla spietatezza. Due guerre mondiali ci stanno nel mezzo. Le dittature di Mussolini, ma soprattutto di Hitler e di Stalin hanno fatto del materialismo una vera e propria aberrazione. Poche e poco significative le reazioni perché è soprattutto lo stupore, per tanto disastro, a dominare la scena. Gli intellettuali sono increduli. Tanto più lo sono coloro che coltivano interessi più alti. Hesse entra in contatto con diverse esperienze speculative, diventa un amante della cultura indiana, si fa buddhista, di Buddha rivive e vive l’intera dottrina. E’ come un andare fuori del mondo, fuori della realtà. E’ come rifugiarsi in qualcosa di superiore. Lo scrittore non odia il materialismo, semplicemente lo vuole ignorare, come non esistesse. Il successo (soprattutto con “Siddharta”, “Narciso e Boccadoro”, “Il gioco delle perle di vetro”) viene da lui vissuto come il segno di un ravvedimento e di un consenso da parte della versione pura e sensibile dell’umanità. Non è un cadere nel sistema borghese e mercantile imperante. Hesse raccomanda la scelta dell’opzione spirituale. Nel suo libro più famoso, “Siddharta”, appunto, egli percorre ad occhi sbarrati l’esperienza del Buddha, ne evidenzia la discesa nell’intimo della questione vitale applicata all’esistenza. Lo scrittore tedesco è un esistenzialista nel senso che va verso il tentativo di comunicare con l’esistere. La vita ha senso se si muove con questo scopo. L’esistenza è il mondo, la vita è semplicemente l’uomo, ma può diventare mondo se si esce da se stessi. Per uscire da se stessi occorre una ricognizione attenta e profonda del proprio animo: se si vuole, esso entra in comunicazione con le cose e con i loro segreti sino a rivelare la grandezza del tutto e della logica che lo guida. Questa logica, nel caso di Buddha, può essere ridotta ai minimi termini attraverso l’apparente annullamento della propria personalità. L’annullamento buddhista è uno sciogliere il proprio animo nel flusso della realtà. Lo scioglimento è tuttavia attivo, in quanto esiste la consapevolezza del processo. Esistendo questa consapevolezza, il processo diventa ragionevole: c’è, insomma, il consenso e una certa compartecipazione al tutto. Dire che Hesse sia persuaso di tutto ciò probabilmente non è vero, ma sicuramente egli persegue il raggiungimento della bontà della tesi con tutta la sensibilità di cui è in possesso. La sua ricognizione spirituale non è sottomessa a pregiudizi. Il suo Buddha è un insieme di possibilità espressive aperte e chiuse su una ricchezza di speranze, in qualche modo legate al protagonismo, che ha molto di consolatorio (ma non in senso svenevole) e molto di ascetico, pur senza fanatismi di sorta. E’ la mancanza di fanatismo che attrae lo scrittore tedesco e che lo porta a ritenere la dottrina buddhista la più corretta per la personalità umana. Il suo intervento manca tuttavia di un’adesione totale alla spiritualità del Buddha intesa come risolutiva di ogni tribolazione dell’uomo. Forse è più risolutivo lo stoicismo che tuttavia Hesse rifiuta in quanto atteggiamento umano poco tenero nei confronti del concetto ideale dell’esistenza. Buddha coinvolge di più ed esige un impegno costruttivo, non tutto o anche solo parzialmente distruttivo come è nel caso degli stoici. La presa di posizione stoica è poi fatta di superbia perché pone l’uomo davanti ad ogni cosa, mentre Buddha lo mescola con l’insieme maggiore, immaginando, con intensità particolare, un’armonia generale e sostanziale. Da buon figlio di un ambiente protestante, Hesse indugia ad esprimere una propria, ferma, opinione: preferisce rifugiarsi in un certo esoterismo e lasciarsi prendere da stimoli e provocazioni di natura metafisica che vorrebbe però più comprensibili. Non è la ragione convenzionale a pretendere tutto questo, ma è la ragione del sentimento, alla fine determinata a farsi valere: c’è in gioco, del resto, il superamento del mondo vero, che è troppo limitato. Un gioco difficile che richiede un impegno insolito. Hesse ritiene di trovare questo impegno nella venerazione discreta, ma fortemente argomentata, di un Buddha al quale crede non certo come personaggio mitico, bensì come portatore di una regola di vita che va a braccetto con l’esistenza. E’ ancora qualcosa di esterno, intendiamoci, ma che può diventare interiore leggendo attentamente l’avventura del pensiero buddhista scritta da un Hesse particolarmente ispirato ed umile. Un Hesse al servizio totale della spiritualità, convinto dell’efficacia della stessa sino alla commozione (ad occhi asciutti) per questa eccezionale scoperta, penetrata nel suo animo sino in fondo. Un’ancora di salvezza per sé e per l’umanità intera. Per concludere posso dire che Hermann Hesse, romanziere, poeta e pittore, nelle sue opere ha affrontato temi inerenti all’amicizia, al viaggio, all’amore, alla morte, alla psicoanalisi e al vagabondaggio. La sua opera è un ponte tra pietismo e buddismo, tra estremo Occidente ed estremo Oriente. Tutti i suoi romanzi fanno perno sulla sua vita e in ciascuno ci dice qualcosa di sé. La sua Stimmung (nel linguaggio della critica letteraria e dell’estetica significa disposizione psicologica, stato d’animo, atmosfera) - per quel mix di tolleranza e pacifismo (idee e sentimenti veri, non di facciata e per i quali pagò qualche prezzo), intensa spiritualità e dilettantismo delle sensazioni -, incontrò il favore sia del severo e intenso Thomas Mann che dei "figli dei fiori" che fecero di Siddharta il libro d'elezione di una generazione. CHIARA PASSARELLA
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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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635. Tiepidi sere estive – Hermann Hesse di Chiara Passarella
Tiepide sere estive
Adesso i tigli sono rifioriti davvero e
la sera, quando
comincia a far buio ed è finito il
faticoso lavoro,
giungono le donne e le fanciulle,
salgono in cima alle scale
appoggiate ai rami e riempiono un
cestino di fiori di tiglio.
Dai vecchi alberi, attraverso le tiepide
sere estive,
giunge sempre un profumo dolce come il
miele…
I bambini cantano giù sulla spiaggia e
giocano con le
girandole di carta rossa e gialla… Nella
polvere rosso-
-dorata della strada, api e bombi
ronzano in cerchi
diffondendo una dorata risonanza.
Hermann Hesse da Späte Prosa, 1951
(raccolta di brevi prose e iriche)
Hermann Hesse
(1877 – 1962) è considerato uno dei più significativi autori della prima metà
del secolo scorso. Noto per la sua vena narrativa, fu anche autore di saggi,
memorie e poesie: 32 romanzi, 15 raccolte di racconti, 15 di poesie. In
“Tiepide sere estive” il poeta culla il lettore con il profumo dei tigli in
fiore, coi bimbi che giocano sereni sulla spiaggia, con le api e i bombi che
ronzano alacri alla ricerca di miele. Una poesia breve ma dolce, che riassume
davvero il meglio della stagione estiva. Più in generale si può dire che nella
poesia di Hermann Hesse si ripresentano, in sintesi, molti dei temi e degli
interrogativi tipici di tutta la sua opera: lo scarto tra materialità e
aspirazioni interiori, l'ansia costante di rinnovamento spirituale, la
concezione del dolore come mezzo per raggiungere ciò che lega intimamente e
misteriosamente la sostanza individuale alle ragioni universali dell'essere.
Come emerge da tutta la sua produzione poetica, la poesia è momento etico prima
ancora che estetico e letterario; nella composta, essenziale eleganza dello
stile, nella sua raffinata, musicale nitidezza, si esprime la necessità
d'una tormentosa ricerca, attraverso il linguaggio, di un più elevato grado di coscienza e conoscenza. Centrale nella produzione letteraria di Hermann Hesse è “Siddharta”. Non è un fatto riduttivo concentrarsi su quest’opera per quanto riguarda la personalità dello scrittore tedesco. Non lo è perché l’opera appare di una sincerità per così dire conclusiva. “Siddharta” racchiude l’universo di Hesse. Si tratta di un universo preciso, dove la spiritualità va ad occuparne la parte centrale, nevralgica. Hesse vive in una realtà difficile e composita, caratterizzata dalla sbrigatività e dalla spietatezza. Due guerre mondiali ci stanno nel mezzo. Le dittature di Mussolini, ma soprattutto di Hitler e di Stalin hanno fatto del materialismo una vera e propria aberrazione. Poche e poco significative le reazioni perché è soprattutto lo stupore, per tanto disastro, a dominare la scena. Gli intellettuali sono increduli. Tanto più lo sono coloro che coltivano interessi più alti. Hesse entra in contatto con diverse esperienze speculative, diventa un amante della cultura indiana, si fa buddhista, di Buddha rivive e vive l’intera dottrina. E’ come un andare fuori del mondo, fuori della realtà. E’ come rifugiarsi in qualcosa di superiore. Lo scrittore non odia il materialismo, semplicemente lo vuole ignorare, come non esistesse. Il successo (soprattutto con “Siddharta”, “Narciso e Boccadoro”, “Il gioco delle perle di vetro”) viene da lui vissuto come il segno di un ravvedimento e di un consenso da parte della versione pura e sensibile dell’umanità. Non è un cadere nel sistema borghese e mercantile imperante. Hesse raccomanda la scelta dell’opzione spirituale. Nel suo libro più famoso, “Siddharta”, appunto, egli percorre ad occhi sbarrati l’esperienza del Buddha, ne evidenzia la discesa nell’intimo della questione vitale applicata all’esistenza. Lo scrittore tedesco è un esistenzialista nel senso che va verso il tentativo di comunicare con l’esistere. La vita ha senso se si muove con questo scopo. L’esistenza è il mondo, la vita è semplicemente l’uomo, ma può diventare mondo se si esce da se stessi. Per uscire da se stessi occorre una ricognizione attenta e profonda del proprio animo: se si vuole, esso entra in comunicazione con le cose e con i loro segreti sino a rivelare la grandezza del tutto e della logica che lo guida. Questa logica, nel caso di Buddha, può essere ridotta ai minimi termini attraverso l’apparente annullamento della propria personalità. L’annullamento buddhista è uno sciogliere il proprio animo nel flusso della realtà. Lo scioglimento è tuttavia attivo, in quanto esiste la consapevolezza del processo. Esistendo questa consapevolezza, il processo diventa ragionevole: c’è, insomma, il consenso e una certa compartecipazione al tutto. Dire che Hesse sia persuaso di tutto ciò probabilmente non è vero, ma sicuramente egli persegue il raggiungimento della bontà della tesi con tutta la sensibilità di cui è in possesso. La sua ricognizione spirituale non è sottomessa a pregiudizi. Il suo Buddha è un insieme di possibilità espressive aperte e chiuse su una ricchezza di speranze, in qualche modo legate al protagonismo, che ha molto di consolatorio (ma non in senso svenevole) e molto di ascetico, pur senza fanatismi di sorta. E’ la mancanza di fanatismo che attrae lo scrittore tedesco e che lo porta a ritenere la dottrina buddhista la più corretta per la personalità umana. Il suo intervento manca tuttavia di un’adesione totale alla spiritualità del Buddha intesa come risolutiva di ogni tribolazione dell’uomo. Forse è più risolutivo lo stoicismo che tuttavia Hesse rifiuta in quanto atteggiamento umano poco tenero nei confronti del concetto ideale dell’esistenza. Buddha coinvolge di più ed esige un impegno costruttivo, non tutto o anche solo parzialmente distruttivo come è nel caso degli stoici. La presa di posizione stoica è poi fatta di superbia perché pone l’uomo davanti ad ogni cosa, mentre Buddha lo mescola con l’insieme maggiore, immaginando, con intensità particolare, un’armonia generale e sostanziale. Da buon figlio di un ambiente protestante, Hesse indugia ad esprimere una propria, ferma, opinione: preferisce rifugiarsi in un certo esoterismo e lasciarsi prendere da stimoli e provocazioni di natura metafisica che vorrebbe però più comprensibili. Non è la ragione convenzionale a pretendere tutto questo, ma è la ragione del sentimento, alla fine determinata a farsi valere: c’è in gioco, del resto, il superamento del mondo vero, che è troppo limitato. Un gioco difficile che richiede un impegno insolito. Hesse ritiene di trovare questo impegno nella venerazione discreta, ma fortemente argomentata, di un Buddha al quale crede non certo come personaggio mitico, bensì come portatore di una regola di vita che va a braccetto con l’esistenza. E’ ancora qualcosa di esterno, intendiamoci, ma che può diventare interiore leggendo attentamente l’avventura del pensiero buddhista scritta da un Hesse particolarmente ispirato ed umile. Un Hesse al servizio totale della spiritualità, convinto dell’efficacia della stessa sino alla commozione (ad occhi asciutti) per questa eccezionale scoperta, penetrata nel suo animo sino in fondo. Un’ancora di salvezza per sé e per l’umanità intera. Per concludere posso dire che Hermann Hesse, romanziere, poeta e pittore, nelle sue opere ha affrontato temi inerenti all’amicizia, al viaggio, all’amore, alla morte, alla psicoanalisi e al vagabondaggio. La sua opera è un ponte tra pietismo e buddismo, tra estremo Occidente ed estremo Oriente. Tutti i suoi romanzi fanno perno sulla sua vita e in ciascuno ci dice qualcosa di sé. La sua Stimmung (nel linguaggio della critica letteraria e dell’estetica significa disposizione psicologica, stato d’animo, atmosfera) - per quel mix di tolleranza e pacifismo (idee e sentimenti veri, non di facciata e per i quali pagò qualche prezzo), intensa spiritualità e dilettantismo delle sensazioni -, incontrò il favore sia del severo e intenso Thomas Mann che dei "figli dei fiori" che fecero di Siddharta il libro d'elezione di una generazione. CHIARA PASSARELLA
d'una tormentosa ricerca, attraverso il linguaggio, di un più elevato grado di coscienza e conoscenza. Centrale nella produzione letteraria di Hermann Hesse è “Siddharta”. Non è un fatto riduttivo concentrarsi su quest’opera per quanto riguarda la personalità dello scrittore tedesco. Non lo è perché l’opera appare di una sincerità per così dire conclusiva. “Siddharta” racchiude l’universo di Hesse. Si tratta di un universo preciso, dove la spiritualità va ad occuparne la parte centrale, nevralgica. Hesse vive in una realtà difficile e composita, caratterizzata dalla sbrigatività e dalla spietatezza. Due guerre mondiali ci stanno nel mezzo. Le dittature di Mussolini, ma soprattutto di Hitler e di Stalin hanno fatto del materialismo una vera e propria aberrazione. Poche e poco significative le reazioni perché è soprattutto lo stupore, per tanto disastro, a dominare la scena. Gli intellettuali sono increduli. Tanto più lo sono coloro che coltivano interessi più alti. Hesse entra in contatto con diverse esperienze speculative, diventa un amante della cultura indiana, si fa buddhista, di Buddha rivive e vive l’intera dottrina. E’ come un andare fuori del mondo, fuori della realtà. E’ come rifugiarsi in qualcosa di superiore. Lo scrittore non odia il materialismo, semplicemente lo vuole ignorare, come non esistesse. Il successo (soprattutto con “Siddharta”, “Narciso e Boccadoro”, “Il gioco delle perle di vetro”) viene da lui vissuto come il segno di un ravvedimento e di un consenso da parte della versione pura e sensibile dell’umanità. Non è un cadere nel sistema borghese e mercantile imperante. Hesse raccomanda la scelta dell’opzione spirituale. Nel suo libro più famoso, “Siddharta”, appunto, egli percorre ad occhi sbarrati l’esperienza del Buddha, ne evidenzia la discesa nell’intimo della questione vitale applicata all’esistenza. Lo scrittore tedesco è un esistenzialista nel senso che va verso il tentativo di comunicare con l’esistere. La vita ha senso se si muove con questo scopo. L’esistenza è il mondo, la vita è semplicemente l’uomo, ma può diventare mondo se si esce da se stessi. Per uscire da se stessi occorre una ricognizione attenta e profonda del proprio animo: se si vuole, esso entra in comunicazione con le cose e con i loro segreti sino a rivelare la grandezza del tutto e della logica che lo guida. Questa logica, nel caso di Buddha, può essere ridotta ai minimi termini attraverso l’apparente annullamento della propria personalità. L’annullamento buddhista è uno sciogliere il proprio animo nel flusso della realtà. Lo scioglimento è tuttavia attivo, in quanto esiste la consapevolezza del processo. Esistendo questa consapevolezza, il processo diventa ragionevole: c’è, insomma, il consenso e una certa compartecipazione al tutto. Dire che Hesse sia persuaso di tutto ciò probabilmente non è vero, ma sicuramente egli persegue il raggiungimento della bontà della tesi con tutta la sensibilità di cui è in possesso. La sua ricognizione spirituale non è sottomessa a pregiudizi. Il suo Buddha è un insieme di possibilità espressive aperte e chiuse su una ricchezza di speranze, in qualche modo legate al protagonismo, che ha molto di consolatorio (ma non in senso svenevole) e molto di ascetico, pur senza fanatismi di sorta. E’ la mancanza di fanatismo che attrae lo scrittore tedesco e che lo porta a ritenere la dottrina buddhista la più corretta per la personalità umana. Il suo intervento manca tuttavia di un’adesione totale alla spiritualità del Buddha intesa come risolutiva di ogni tribolazione dell’uomo. Forse è più risolutivo lo stoicismo che tuttavia Hesse rifiuta in quanto atteggiamento umano poco tenero nei confronti del concetto ideale dell’esistenza. Buddha coinvolge di più ed esige un impegno costruttivo, non tutto o anche solo parzialmente distruttivo come è nel caso degli stoici. La presa di posizione stoica è poi fatta di superbia perché pone l’uomo davanti ad ogni cosa, mentre Buddha lo mescola con l’insieme maggiore, immaginando, con intensità particolare, un’armonia generale e sostanziale. Da buon figlio di un ambiente protestante, Hesse indugia ad esprimere una propria, ferma, opinione: preferisce rifugiarsi in un certo esoterismo e lasciarsi prendere da stimoli e provocazioni di natura metafisica che vorrebbe però più comprensibili. Non è la ragione convenzionale a pretendere tutto questo, ma è la ragione del sentimento, alla fine determinata a farsi valere: c’è in gioco, del resto, il superamento del mondo vero, che è troppo limitato. Un gioco difficile che richiede un impegno insolito. Hesse ritiene di trovare questo impegno nella venerazione discreta, ma fortemente argomentata, di un Buddha al quale crede non certo come personaggio mitico, bensì come portatore di una regola di vita che va a braccetto con l’esistenza. E’ ancora qualcosa di esterno, intendiamoci, ma che può diventare interiore leggendo attentamente l’avventura del pensiero buddhista scritta da un Hesse particolarmente ispirato ed umile. Un Hesse al servizio totale della spiritualità, convinto dell’efficacia della stessa sino alla commozione (ad occhi asciutti) per questa eccezionale scoperta, penetrata nel suo animo sino in fondo. Un’ancora di salvezza per sé e per l’umanità intera. Per concludere posso dire che Hermann Hesse, romanziere, poeta e pittore, nelle sue opere ha affrontato temi inerenti all’amicizia, al viaggio, all’amore, alla morte, alla psicoanalisi e al vagabondaggio. La sua opera è un ponte tra pietismo e buddismo, tra estremo Occidente ed estremo Oriente. Tutti i suoi romanzi fanno perno sulla sua vita e in ciascuno ci dice qualcosa di sé. La sua Stimmung (nel linguaggio della critica letteraria e dell’estetica significa disposizione psicologica, stato d’animo, atmosfera) - per quel mix di tolleranza e pacifismo (idee e sentimenti veri, non di facciata e per i quali pagò qualche prezzo), intensa spiritualità e dilettantismo delle sensazioni -, incontrò il favore sia del severo e intenso Thomas Mann che dei "figli dei fiori" che fecero di Siddharta il libro d'elezione di una generazione. CHIARA PASSARELLA
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