scorr
...in altre lingue...
...in altre lingue...
LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
Questo blog non ha finalità commerciali. I video, le immagini e i contenuti sono in alcuni casi tratti dalla Rete e pertanto sono presuntivamente ritenuti pubblici, pur restando di proprietà del rispettivo autore. In ogni caso, se qualcuno ritenesse violato un proprio diritto, è pregato di segnalarlo a questo indirizzo : rapacro@virgilio.it Si provvederà all’immediata rimozione del contenuto in questione. RR
634. E così mi ha lasciata, Dio straniero - Lea Goldberg di Chiara Passarella
E
così mi ha lasciata, Dio straniero
E così mi ha lasciata, Dio straniero
in una città di cui nulla conosco
fra i canali, la camera d'albergo (cella
monastica)
finestra spalancata, luce del
mezzogiorno
Cocci sparsi sul tetto qui di fronte
e un frammento di rima: Dio, riportami
dov'ero ieri!
Nel putrido dell'acqua verdastra
striscia una gondola silente
Una grassa colomba trionfa lenta
polvere ancestrale nel cielo bianco
Aumenta la calura e s'appisolano i leoni
appostati davanti al canale
(Che afa a Venezia) Lea Goldberg
1938
Lea Goldberg è
considerata la madre della moderna
poesia ebraica, ma è stata anche traduttrice prolifica e attenta (dal russo,
tedesco, italiano, greco, inglese e francese), originale scrittrice di testi
per l’infanzia (più di un centinaio fra poesia e prosa), mentre il suo unico
romanzo Ed è la luce del 1946 è subito entrato nel canone della narrativa
ebraica. È forse una delle ultime figure di intellettuale, fra le due guerre,
che si pone al crocevia fra diverse tradizioni culturali, e non rifiuta, anzi
approfondisce in senso personale l’esperienza della diaspora e il
multiculturalismo. Nata in una famiglia ebrea lituana a Königsberg, all’epoca
in Prussia Orientale, oggi in Russia nel 1911, Lea Goldberg trascorre
l’infanzia a Kovno (Kaunas), in Lituania e a Saratov in Russia. Ritornata in
Lituania dopo gli anni della Prima guerra mondiale, si diploma al Ginnasio
ebraico di Kovno (1928) e prosegue gli studi all’università lituana
(Semitistica e tedesco), poi a Berlino e infine a Bonn, dove consegue il
dottorato in studi semitici sul Targum Samaritano del Pentateuco (1933).
Diventa allora professoressa di letteratura a Raseiniai, ma nel 1935 decide di
emigrare nella Palestina del Mandato britannico; l’anno seguente, la raggiunge
la madre (le due vivono a Tel Aviv, al 15 di via Arnon), Lea lavora come
consulente letterario del teatro nazionale Habima e come redattrice per Hapoalim Sifriat
(«Biblioteca dei lavoratori»). A Tel Aviv aderisce al gruppo Yachdav, insieme
ai poeti Nathan Altermann (1910-1970) e Avraham Shlonski (1900-1973) – la
scuola modernista, di cui Shlonski era capofila e a cui tuttavia Lea partecipa
in modo originale e personale: il ‘moderno’ per lei infatti non si pone in
contrapposizione al ‘tradizionale’ o al ‘classico’ e il passato è sempre
costantemente ‘presente’, non in semplice qualità di risorsa tematica,
culturale, o come memoria, ma come fonte inesauribile di vita, di fecondità e
di ricchezza. È a Tel Aviv che pubblica la sua prima raccolta di poesie, in
ebraico, Anelli di fumo. Dal 1927 Lea Goldberg aveva abbandonato il russo come
lingua della poesia (in cui aveva scritto i primi versi) e adottato l’ebraico,
che tuttavia non considerava come la lingua ‘sacra’ della rivelazione divina,
ma come lingua ‘moderna’, viva, al pari delle altre, capace di esprimere tutta
la gamma dei sentimenti, anche di contraddizione, dolore e nostalgia, personali
e collettivi e la sua visione del mondo. La sua poesia – come la lingua – è
infatti permeata dalla poesia europea classica e moderna: i simbolisti russi,
prima di tutto, Aleksandr Blok e Osip Madel’štam, i drammi di Ibsen (che
traduce) e poi la poesia italiana, che conosce bene e traduce, come Petrarca e
Dante, fondendosi a un registro biblico che non fornisce semplici immagini di
repertorio, ma originali connessioni alla contemporaneità (come per esempio il
corvo della poesia Tel Aviv 1935 che ricorda l’altro, inviato da Noè ad
avvistare le terre asciutte: «I pali sui terrazzi delle case erano allora/ come
i pali della nave di Colombo/ e ogni corvo che si appollaiava sul pinnacolo,
annunciava una terra asciutta differente»: Francesco Bianchi, Fra il mare e il
cielo: Tel Aviv e Gerusalemme nella poesia di Lea Goldberg, in «Orientalia
Parthenopea», 14, 2014, p. 4). La profonda e lucida coscienza della
‘molteplicità’ delle tradizioni, delle culture cui sente di appartenere, è
certo un tema chiave della sua produzione e della sua attività intellettuale,
così come il dialogo costante fra il passato – e la memoria – e il presente,
così come espresso nella poesia conclusiva del breve ciclo dedicato a Tel Aviv
pubblicato nel 1962. Nel 1954 si trasferisce a Gerusalemme e inizia a tenere
corsi di letteratura all’Università Ebraica, diventa una delle promotrici della
letteratura comparata come disciplina accademica in Israele e contribuisce alla
costituzione del Dipartimento di Letteratura Comparata di cui è direttrice dal
1963 alla morte (1970). Ha pubblicato, fra le altre, le raccolte di versi:
Spiga dall’occhio verde (1940), Poesia nei villaggi (1942) Della mia vecchia
casa (1944) Sulla fioritura (1948; premio «Ruppin» 1949 e «Israele» 1970),
Fulmine al mattino (1955), Questa notte (1964) e il volume postumo I resti di
una vita (1978, a cura di Tuvia Reubner). Molte delle sue poesie sono state
musicate da Alex Wasserman, Yonatan Niv, Noa (Achinoam Nini), Galia Shargal.
Fra tutte si può ricordare la bellissima poesia Davvero (At Telchi Basade)
cantata da Chava Alberstein (melodia di Chim Barkani). Nella lirica di questo
mese, la poetessa, abbandonata da un uomo che viene elevato - o abbassato? - al
rango di Dio straniero, dichiara la sua doppiezza: sua serva, ovvero monaca
nella cella monastica e contemporaneamente prostituta lasciata in una camera
d'albergo. Dio non compare nella prospettiva della salvezza di un popolo, ma
risulta essere presenza quotidiana, compagno che scaccia la «pigra abitudine» e
che insegna a «sapere desiderare e fallire». La sua lingua è ricercata e pure
accessibile, raffinata e dalle immagini semplici, prese dalla vita di ogni
giorno, dalla natura che aveva lasciato nell'amata Lituania. La sua figura
tragica e ricercata, esile e inaccessibile attira molti lettori perché la sua
voce si concentra su quello che in molti non riescono ad esprimere: la
nostalgia per un amore non vissuto, la passione generosa per un sentimento
rigettato, la caparbia dell'anima di farsi strada nella vita con immagini di un
passato lontano. Incomincia a studiare l'italiano dopo un viaggio in Italia nel
1938, per Roma, Firenze, Venezia, dove ha ammirato ciò che prima aveva solo
studiato sui libri. Scrive articoli di critica letteraria, insegna letteratura
in un ginnasio, pubblica poesie. Il suo primo romanzo "Lettere da un
viaggio immaginario" è bocciato dalla critica come pretenzioso. La sua
attrazione per l'Europa non è comune, è malvista. Le sue opere non celebrano la
nascita del nuovo Stato ma sono una traduzione ebraica del meglio che l'Europa
aveva da offrire. Ed è forse per questo che oggi è rivalutata e amata. CHIARA PASSARELLA
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
* * *
IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI
(Michael Ende)
* * *
HOME PAGE DEL BLOG (clikka qui)
***
ELENCO DEI POST(clikka qui)
ULTIMA NEWSLETTER(clikka qui)
***
IL FILM, IL LIBRO, IL BRANO, LA POESIA DEL MESE (clikka qui)
***
WEBMASTER: Roberto RAPACCINI
A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
Nessun commento:
Posta un commento