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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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634. E così mi ha lasciata, Dio straniero - Lea Goldberg di Chiara Passarella


E così mi ha lasciata, Dio straniero

E così mi ha lasciata, Dio straniero
in una città di cui nulla conosco
fra i canali, la camera d'albergo (cella monastica)
finestra spalancata, luce del mezzogiorno

Cocci sparsi sul tetto qui di fronte
e un frammento di rima: Dio, riportami dov'ero ieri!
Nel putrido dell'acqua verdastra
striscia una gondola silente
Una grassa colomba trionfa lenta
polvere ancestrale nel cielo bianco
Aumenta la calura e s'appisolano i leoni
appostati davanti al canale
(Che afa a Venezia)                                  Lea Goldberg 1938

Lea Goldberg è considerata  la madre della moderna poesia ebraica, ma è stata anche traduttrice prolifica e attenta (dal russo, tedesco, italiano, greco, inglese e francese), originale scrittrice di testi per l’infanzia (più di un centinaio fra poesia e prosa), mentre il suo unico romanzo Ed è la luce del 1946 è subito entrato nel canone della narrativa ebraica. È forse una delle ultime figure di intellettuale, fra le due guerre, che si pone al crocevia fra diverse tradizioni culturali, e non rifiuta, anzi approfondisce in senso personale l’esperienza della diaspora e il multiculturalismo. Nata in una famiglia ebrea lituana a Königsberg, all’epoca in Prussia Orientale, oggi in Russia nel 1911, Lea Goldberg trascorre l’infanzia a Kovno (Kaunas), in Lituania e a Saratov in Russia. Ritornata in Lituania dopo gli anni della Prima guerra mondiale, si diploma al Ginnasio ebraico di Kovno (1928) e prosegue gli studi all’università lituana (Semitistica e tedesco), poi a Berlino e infine a Bonn, dove consegue il dottorato in studi semitici sul Targum Samaritano del Pentateuco (1933). Diventa allora professoressa di letteratura a Raseiniai, ma nel 1935 decide di emigrare nella Palestina del Mandato britannico; l’anno seguente, la raggiunge la madre (le due vivono a Tel Aviv, al 15 di via Arnon), Lea lavora come consulente letterario del teatro nazionale Habima  e come redattrice per Hapoalim Sifriat («Biblioteca dei lavoratori»). A Tel Aviv aderisce al gruppo Yachdav, insieme ai poeti Nathan Altermann (1910-1970) e Avraham Shlonski (1900-1973) – la scuola modernista, di cui Shlonski era capofila e a cui tuttavia Lea partecipa in modo originale e personale: il ‘moderno’ per lei infatti non si pone in contrapposizione al ‘tradizionale’ o al ‘classico’ e il passato è sempre costantemente ‘presente’, non in semplice qualità di risorsa tematica, culturale, o come memoria, ma come fonte inesauribile di vita, di fecondità e di ricchezza. È a Tel Aviv che pubblica la sua prima raccolta di poesie, in ebraico, Anelli di fumo. Dal 1927 Lea Goldberg aveva abbandonato il russo come lingua della poesia (in cui aveva scritto i primi versi) e adottato l’ebraico, che tuttavia non considerava come la lingua ‘sacra’ della rivelazione divina, ma come lingua ‘moderna’, viva, al pari delle altre, capace di esprimere tutta la gamma dei sentimenti, anche di contraddizione, dolore e nostalgia, personali e collettivi e la sua visione del mondo. La sua poesia – come la lingua – è infatti permeata dalla poesia europea classica e moderna: i simbolisti russi, prima di tutto, Aleksandr Blok e Osip Madel’štam, i drammi di Ibsen (che traduce) e poi la poesia italiana, che conosce bene e traduce, come Petrarca e Dante, fondendosi a un registro biblico che non fornisce semplici immagini di repertorio, ma originali connessioni alla contemporaneità (come per esempio il corvo della poesia Tel Aviv 1935 che ricorda l’altro, inviato da Noè ad avvistare le terre asciutte: «I pali sui terrazzi delle case erano allora/ come i pali della nave di Colombo/ e ogni corvo che si appollaiava sul pinnacolo, annunciava una terra asciutta differente»: Francesco Bianchi, Fra il mare e il cielo: Tel Aviv e Gerusalemme nella poesia di Lea Goldberg, in «Orientalia Parthenopea», 14, 2014, p. 4). La profonda e lucida coscienza della ‘molteplicità’ delle tradizioni, delle culture cui sente di appartenere, è certo un tema chiave della sua produzione e della sua attività intellettuale, così come il dialogo costante fra il passato – e la memoria – e il presente, così come espresso nella poesia conclusiva del breve ciclo dedicato a Tel Aviv pubblicato nel 1962. Nel 1954 si trasferisce a Gerusalemme e inizia a tenere corsi di letteratura all’Università Ebraica, diventa una delle promotrici della letteratura comparata come disciplina accademica in Israele e contribuisce alla costituzione del Dipartimento di Letteratura Comparata di cui è direttrice dal 1963 alla morte (1970). Ha pubblicato, fra le altre, le raccolte di versi: Spiga dall’occhio verde (1940), Poesia nei villaggi (1942) Della mia vecchia casa (1944) Sulla fioritura (1948; premio «Ruppin» 1949 e «Israele» 1970), Fulmine al mattino (1955), Questa notte (1964) e il volume postumo I resti di una vita (1978, a cura di Tuvia Reubner). Molte delle sue poesie sono state musicate da Alex Wasserman, Yonatan Niv, Noa (Achinoam Nini), Galia Shargal. Fra tutte si può ricordare la bellissima poesia Davvero (At Telchi Basade) cantata da Chava Alberstein (melodia di Chim Barkani). Nella lirica di questo mese, la poetessa, abbandonata da un uomo che viene elevato - o abbassato? - al rango di Dio straniero, dichiara la sua doppiezza: sua serva, ovvero monaca nella cella monastica e contemporaneamente prostituta lasciata in una camera d'albergo. Dio non compare nella prospettiva della salvezza di un popolo, ma risulta essere presenza quotidiana, compagno che scaccia la «pigra abitudine» e che insegna a «sapere desiderare e fallire». La sua lingua è ricercata e pure accessibile, raffinata e dalle immagini semplici, prese dalla vita di ogni giorno, dalla natura che aveva lasciato nell'amata Lituania. La sua figura tragica e ricercata, esile e inaccessibile attira molti lettori perché la sua voce si concentra su quello che in molti non riescono ad esprimere: la nostalgia per un amore non vissuto, la passione generosa per un sentimento rigettato, la caparbia dell'anima di farsi strada nella vita con immagini di un passato lontano. Incomincia a studiare l'italiano dopo un viaggio in Italia nel 1938, per Roma, Firenze, Venezia, dove ha ammirato ciò che prima aveva solo studiato sui libri. Scrive articoli di critica letteraria, insegna letteratura in un ginnasio, pubblica poesie. Il suo primo romanzo "Lettere da un viaggio immaginario" è bocciato dalla critica come pretenzioso. La sua attrazione per l'Europa non è comune, è malvista. Le sue opere non celebrano la nascita del nuovo Stato ma sono una traduzione ebraica del meglio che l'Europa aveva da offrire. Ed è forse per questo che oggi è rivalutata e amata. CHIARA PASSARELLA

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)