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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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620. Pavel Friedman, La farfalla di CHIARA PASSARELLA
Pavel Friedman, La farfalla.
La farfalla
L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso,
così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole
quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo
mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima
settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di
ruta
e il bianco candeliere di
castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna
farfalla.
Quella dell’altra volta fu
l’ultima:
le farfalle non vivono nel
ghetto.
Pavel Friedman
Pavel Friedman nato a Praga nel 1921 fu deportato nel campo di concentramento di
Theresienstadt nella città fortezza di Terezín (nome tedesco Theresienstadt),
situato nell'attuale Repubblica Ceca. Poco si sa della sua vita prima dell’ingresso
nel campo di concentramento dove il suo arrivo fu registrato il 26 aprile 1942.
Nel giugno dello stesso anno scrisse il
poema "La farfalla" su di un pezzo di carta sottile che fu scoperto
dopo la liberazione e successivamente donato al Museo ebraico di Praga. Il 29
settembre 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove morì. Il testo di “The Butterfly” è stato incluso in molte raccolte di
letteratura per bambini sul tema dell'Olocausto, in particolare nell'antologia
“I Never Saw Another Butterfly”, pubblicata per la prima volta da Hana
Volavková e Jiří Weil nel 1959, sebbene Friedman avesse già 21 anni quando compose
il poema. Il poema ispirò anche il Butterfly Project dell'Olocausto Museum di
Houston , una mostra in cui furono create un milione e mezzo di farfalle di carta per simboleggiare lo stesso
numero di bambini morti nell'Olocausto. Un
ritmo mesto e sconsolato domina questa breve poesia in cui la disperazione
dell'animo si risolve in una coraggiosa e composta visione lirica. Lo squallore
del campo e l'immagine del castagno, che come un gigantesco e freddo candelabro
pare proiettare nel cortile una gelida ombra di morte, acuiscono il dramma
della terribile realtà di un futuro senza speranza. Corre nella commossa
compostezza dei versi finali un brivido di profonda poesia: la dolorosa sensazione
individuale del Friedman allarga i suoi orizzonti fino a comprendere l'immane
tragedia di tutto un popolo. In questo senso la breve composizione, pur nella
sua sostanza lirica, s'inserisce nella moderna epopea della Resistenza.
Friedman ci ha lasciato in questi pochi versi una pietosa testimonianza dell'immane
tragedia di migliaia di giovani ebrei: …Siamo abituati a piantarci su lunghe
file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle sette di sera, con la gavetta
in pugno, per un po’ di acqua tiepida dal sapore di sale o di caffè o, se va
bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare
ogni uniforme scendendo dal marciapiede e risalendo poi sul marciapiede. Ci
siamo abituati agli schiaffi senza motivo, alle botte e alle impiccagioni. Ci
siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi, a vedere salire
in alto la montagna delle casse da morto, a vedere i malati giacere nella loro
sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo abituati all’arrivo periodico di un
migliaio d’infelici e alla corrispondente partenza di un altro migliaio di
esseri ancora più infelici …
CHIARA PASSARELLA
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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
1 commento:
Toccante L abitudine al martirio ed all impotenza nel reagire
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