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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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617. CHANDRA LIVIA CANDIANI DA “LA BAMBINA PUGILE OVVERO LA PRECISIONE DELL’AMORE “ANNO 2014 di Chiara Passarella
C’è un male
che non aggiunge male
sgombera spazio
lo vara tagliando
la corrente del superfluo,
l’automa dell’anima.
C’è un male
che fa guarigione:
dare la ferita
bilancia il polso
luccica semplice la lama
e lo spazio sgombro
addestra il cuore spogliato.
È difficile
a qualsiasi età
diventare adulti,
lasciar fare al macellaio
o all’autunno,
un’arte caritatevole.
Chandra
Livia Candiani da “La bambina pugile
ovvero la precisione dell’amore “anno 2014
Livia Candiani, nata a Milano nel 1952 da famiglia di
origini russe, si è convertita al buddhismo, ha passato lunghi periodi di tempo
in India e vive nel capoluogo lombardo traducendo dall’inglese testi buddhisti:
ma non appena può si ritira in un monastero sulle colline del Northumberland,
ai confini con la Scozia. Il suo nome elettivo, “Chandra”, significa “Luna”, e
del suo interesse per la meditazione e la spiritualità sono pervasi tutti i
suoi testi. La poesia di Chandra Livia Candiani coglie il rischio della contemporaneità,
che oggi è quello estremo: l'entrata in crisi del rapporto dell'uomo con il
mondo e con l'altro (“Vedi, tutto può crollare / qui. Le facce come le case, /
sono cinema, sono cenere.”; “l'universo non ha un centro”). E non solo: è in
questione l'estinzione della specie e del pianeta che l'accoglie, il mondo come
l'insieme delle vite e delle relazioni. In seguito alla riduzione dello spirito
a tecnica e del valore a profitto, l'uomo è entrato in guerra con la terra che
lo porta e l'aria che respira. Ha paura della tristezza e del dolore,
dell'impermanenza e della morte, pago di produrre “polvere d'informazione”. La
poesia di Livia Candiani rifiuta le soluzioni metafisiche entrate in crisi con
la modernità (“Non serve schiodare il cielo / a caccia di segreti”) come pure
un'antiteticità appiattita sull'esistente. Essa si pone in un punto zero
sostanziato da uno sguardo critico sul presente e da apertura a ciò che salva:
farsi da parte dal centro che l'uomo nel corso della sua storia ha indegnamente
occupato (“Qualche volta io / non ci sono e sono / tutta l'aria, sono /
pulviscolo atmosferico”; “Adesso che non so più niente /… che non sei più al
centro / e quello che conta non è più / al centro”); ritrovare il senso del
proprio essere nel mondo (“E mi lascio / a quel non so / di cui faccio
frammento”); riconoscere “che ogni acqua è santa / e ogni luogo sacro / se
assente di noi”; accogliere il dolore e la gioia del mondo, abbracciarli e
cantarli (“si svanisce / insieme, / nello spazio di carità / tra te / e
l'altro”), testimoniarli nel linguaggio e così offrirli agli uomini (“Ti copro
il mondo di parole”). La parola poetica così si conferma modalità privilegiata
del nostro familiarizzare con il mondo. Così la poesia supera una dimensione
solo estetica per fare tutt'uno con la vita e diventare etica e forma di
resistenza. Perché “Poesia è conoscenza e passione”. Le poesie di Chandra Livia Candiani si rivolgono spesso a un tu variabile, che
di volta in volta si riferisce a persone presenti o assenti, prossime o lontane
nello spazio e nel tempo, o ancora: comunità in potenziale
ascolto, entità non
individuabili, la morte, parti dell'io poetante («Io ti converto in fame | mio
silenzio»). Ma questo tu assomiglia molto a un noi creaturale che accomuna dèi,
uomini e cose in una sorta di fratellanza universale in cui l'insistenza
pronominale funge piú da invocazione che da individuazione. O da «istruzioni per
l'uso», come nella splendida Mappa per l'ascolto («Dunque, per ascoltare |
avvicina all'orecchio | la conchiglia della mano») o la corrispondente Mappa
per pregare. Chi parla, in questi casi, è una voce sapiente ma non saccente, un
soffio leggero con la forza di un vento impetuoso: il risultato di una
efficacissima miscela di linguaggio quotidiano e metafore evocative,
colloquialità e schemi anaforici sacrali. Nel libro ci sono anche poesie sulla
parte infantile di sé (secondo lo schema io-tu-noi-tutti) da coltivare o
recuperare, poesie sul silenzio, sul desiderio; bellissime quelle sul lutto,
declinate in varie fasi della raccolta, che sembrano contenere il massimo di
precisione proprio quando i rapporti tra presenze e assenze sembrerebbero
entrare nelle zone della vaghezza e dell'oscurità. Le tre sezioni della
raccolta sono come abbracciate fra loro, con poesie che sembrano uscire da una
sezione per abitarne un'altra: un segno nel libro che ben rappresenta quel
rapporto fra distinzione e unità che la poetessa indica anche fuori dal libro. In
questa Spoon River milanese, dagli esotici accenti orientaleggianti, Chandra
Livia Candiani riflette la sua sensibilità ricettiva e premurosa, con una voce
che si riconosce assolutamente femminile e lontana da paludate tradizioni
letterarie del nostro novecento: più vicina semmai alla delicatezza delle
liriche cinesi, a una storia millenaria di ascolto e aconfessionale preghiera. La
stessa discrezione partecipe che la tiene lontana dai circuiti editoriali e
mediatici di produzione poetica tanto in voga oggi, e invece attiva conduttrice
di seminari di poesia nelle scuole elementari. Forse proprio in uno di questi
appuntamenti con i più piccoli, Chandra ha incontrato la ragazzina cui dedica i
versi finali dell’antologia einaudiana: “Fatema, la bambina rom, ha scritto:/ è
bello/ vedere l’aria felice”. Ecco, questa sembra essere l’ambizione più
assoluta della sua poesia: una condivisione gioiosa di purezza, di verità. CHIARA PASSARELLA
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