Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
Giuseppe Ungaretti - Bosco di Courton luglio 1918 –
Avevo iniziato a scrivere il pezzo
del mese di novembre il giorno prima che arrivasse la forte scossa di terremoto
di magnitudo 6.5 con epicentro tra Perugia e Macerata. Sentendo l’esigenza di
esprimere attraverso la poesia, mezzo che a me congeniale per comunicare i miei
sentimenti, ho cambiato poeta, scegliendo questo brevissimo e celebre
componimento di Giuseppe Ungaretti incluso nella raccolta Allegria di
naufragi. Questa poesia è formata da un'unica e pregnante similitudine
che equipara i soldati alle foglie autunnali, simboleggiando la precarietà
dell’esistenza umana durante la guerra. L’estrema brevità del testo, che
sembra quasi una ulminante scoperta della condizione assurda in cui
versano i “soldati”, a cui si può facilmente sostituire il termine “uomini” può
essere letta come una riflessione, breve ma assai incisiva, sull'assurdità
dell'intera condizione umana e sulla sua intrinseca finitudine, che non può in
alcun modo sfuggire al dolore e alla morte. I soldati, paragonati a rade foglie
autunnali appese a fatica agli alberi, cadranno inevitabilmente, vittime di una
legge universale spietata ed implacabile. Mi ha condotto verso Giuseppe
Ungaretti la riflessione, letta sul web ieri sera, dello scrittore Erri De Luca
in seguito al terremoto, definito dall’autore stesso, “un naufragio in terra”. Si abita una terra
precaria, ogni generazione cresce ascoltando storie di terremoti Ecco
l’intervento dello scrittore napoletano. Parole che fanno riflettere. “Il
terremoto è un naufragio in terra. Le case diventano imbarcazioni scosse tra le
onde e sbattute sugli scogli. Si perde tutto, si conserva la vita, lacera,
attonita che conta gli scomparsi sul fondo delle macerie. Si abita un suolo
chiamato per errore terraferma. È terra scossa da singhiozzi abissali. Questi
di stanotte sono partiti da oltre quattromila metri di profondità. Qualche
giorno fa stavo agli antipodi, oltre quattromila metri sopra il mare. Quel
monte delle Alpi non è un meteorite piovuto dal cielo, ma il risultato di
spinte e sollevamenti scatenati dal fondo del Mediterraneo. Forze gigantesche
hanno modellato il nostro suolo con sconvolgimenti. Si abita una terra
precaria, ogni generazione cresce ascoltando storie di terremoti. Così, con le
narrazioni, i vivi smaltiscono le perdite. Le macerie si spostano, si abita di
nuovo lentamente, ma al loro posto restano le voci, le parole degli
scaraventati all’aperto, a tetti scoperchiati. Ricordano, ammoniscono a non
insuperbirsi di nessun possesso. Arriva cieco di notte il terremoto e sconvolge
i piccoli paesi. Ma i mezzi di soccorso sono di stanza nei grandi centri. Fosse
un’invasione, quale generale accentrerebbe le sue forze lontano dai confini?
Per il protettor civile questo ragionamento non vale. Ogni volta deve spostare
le sue truppe con lento riflesso di reazione. Ai naufraghi nelle prime ore
serve il conforto al cuore di un qualunque segnale di pubblica prontezza.
Invece arriva prima un parente, un volontario, un giornalista. Il terremoto è
anche un’invasione, contro la quale avere riserve piccole e pronte sparpagliate
ovunque. “Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”. La frase di guerra
di cent’anni fa del soldato Ungaretti Giuseppe racconta il sentimento di stare
attaccati all’ albero della vita con un solo piccolo punto di congiunzione”.
CHIARA PASSARELLA
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