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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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552. RECENSIONI 2016 di Sky RobertAce Latini
ITALIA IN MUSICA
La musica del
passato glorioso, quello della musica classica , non è masi stata seconda a
nessuno. Ma con il Rock di massa siamo stati spodestati dalla cultura musicale
mondiale, anche se la musica leggera tricolore è stata osannata in America e in
molti stati dell’est, almeno fino a trent’anni fa. Oggi però gli italiani hanno
imparato bene a fare rock, e Metal in particolare. Due le grandi band
famosissime all’estero e che, tra i gruppi italiani, vendono più degli altri fuori dallo stivale:
LACUNA COIL (milanesi) e RHAPSODY OF FIRE (di Trieste, divisi oggi in due combo
diversi). Lo strano è che fanno generi che in qualche modo hanno a che fare con
caratteristiche classiche in quanto i generi sono, per i primi il Gothic e per
i secondi il Symphonic; generi appunto molto tradizionali in considerazione
dell’ispirazione. Una specie di rivincita del suono prettamente europeo e non anglosassone,
pur mescolandosi col rock. In realtà i Lacuna sono alquanto americaneggianti,
ma le melodie hanno comunque a che fare con l’italianità, specie per la
vocalità di Cristina Scabbia. D’altro canto il mondo italico continua a
sfornare musica di vario genere, l’arte non s’è mai allontanata dal popolo
nostrano. Avviene nel Jazz come nel blues, nelle colonne sonore, ma anche nella
musica pianistica pop con differenti approcci. LUDOVICO EINAUDI, molto
essenziale nelle sue melodie cantabili, e GIOVANNI ALLEVI più frizzante. A
Perugia abbiamo il compositore ALBERTO CALOI, il quale invece ha un approccio
meglio accostabile alla musica classica, sebbene vada inteso in senso moderno.
La bellezza dell’arte è quella di rigenerarsi sempre, è vero che tanto s’è già
sentito, ma ciò che rimane è la voglia di esprimersi, e nell’espressione
artistica la musica ha un chiaramente un posto privilegiato. Questa voglia in
Italia continua a donare livelli artistici di qualità. Venendo alle due realtà
qui recensite entrambi fanno dei loro lavori quasi un concept, anche se sono i
brani ad avere qualcosa in comune e non una sola storia. Per i Lacuna l’argomento riguarda la malattia mentale e
dei luoghi dove questa sofferenza veniva emarginata, cioè i manicomi; tema
forte e pregnante. Per Caloi l’ispirazione si è imbevuta di vita quotidiana e
di descrizioni che partendo dalla realtà diventano romanticismo ed emozione,
suonando come se si stesse dipingendo (il padre era pittore quotato). Due
viaggi di materia che corrono verso lo spirito astratto.
***
Il pianista Caloi, nato a Bergamo
ma perugino d’adozione, cerca di portare l’essenza della musica classica nella
frizzantezza di un dinamismo più attuale. Compone in maniera melodica ma
eccitata, senza troppa indulgenza verso le linee strutturali, divagando con
arresti improvvisi e scatti di ripartenza. L’impianto è a volte nervoso, a
volte placido, ma mai con una definizione netta, l’intercalare infatti tende a
proporsi in brevi momenti o a rigurgitare scintille quando ormai si pensa che
lo schema sia acquisito. “DIALOGO TRA VENTO E NUVOLE” esprime un lato soft
molto ben delineato, ma dentro si spruzzano aliti dialoganti con la parte
morbida. Breve finale troppo canonico. “MARE IN TEMPESTA”, dopo un intro scuro
e morbido che pare descrivere un incupirsi del cielo di nubi, è fortemente
vivace, e sfila inizialmente in maniera fluida. Forse un po’ troppe scale, che
danno si l’idea dell’onda che si alza, ma che determinano un calo di
originalità. Un brano che potrebbe essere adatto anche ad accompagnare un film
di cinema muto. “TERRA” continua a gestire atmosfere scure, in un divenire che
usa note dolci solo in alcuni punti accennati. “GIORNATA DI 24 H” è forse il
pezzo meno classicheggiante, dove vige una parziale sperimentazione jazzista
che dal vivo si aprirebbe a improvvisazioni. Un andamento schizzato, un
dripping violento a immaginare una giornata frenetica. La dolcezza di Caloi
viene fuori con “SUONO DI PIOGGERELLA SULLE FOGLIE” che dona al fruitore
un momento di calma rilassante e che fa vedere un pianista anche capace di
lasciarsi cullare dalle idee compositive e non volersi affermare solo con
l’impeto. Questo non significa che dentro non vi siano punteggiature dinamiche,
sia nella prima parte che poi chiaramente nella centrale dal minuto 2 e 37 dove
la pioggerella si fa più intensa, per tornare alla soavità finale. Stranamente
l’episodio più sognante (e anche più bello) inserito in un contesto d’opera
globalmente sempre saltellante. “RINASCITA” si allaccia alla dolcezza del brano
precedente, ma con taglio meno soave, descrivendo un passaggio interlocutorio
che prende forma con piccole note tese, in un crescendo che anche qui porta a
scale non del tutto efficaci, fino ad un momento che appare invece molto più
intrigante in un andamento tirato e relativamente jazzato con note basse che
scorrono come cercassero una forma senza trovarla fino al minuto 4 e 34. La
netta separazione delle due parti è chiara e da qui si evolve verso una
espressività meno ribelle che trova appunto la forma e la forza. Si
tratta sempre di espressività di ricerca che come in Malher non trova
conclusione definitiva, ma lascia all’ascoltatore la domanda di quale rinascita
e futuro possa trattarsi. Il pezzo è dedicato al padre Sandro, artista pittore;
deceduto durante la stesura. “L’UOMO AL DI LA’ DELLE COLONNE D’ERCOLE” ha un
andamento esitante, indefinito, come se l’autore volesse descrivere un qualcosa
che deve decidersi a prendere il via. Poi dal minuto 3.39 il tema cambia e c’è
uno scatto di netta decisione che dal minuto 4.22 prende il via quasi come una
marcetta. Qui troviamo altre scale sviluppate in modo variabile, le quali non
mi convincono tutte appieno, ma riescono a lasciare invariato il valore di
questo brano. E devo dire che i due “tun tun” terminali potevano essere
evitati lasciando alle note acute un finale per l’immaginario di chi ascolta.
Il titolo, forse non originalissimo, è quello che meglio spiega la linea
concettuale dell’opera. Si tratta davvero di visioni descrittive, che in
qualche modo possono essere pensate come pezzi da colonna sonora in una
estetica visiva che risponde al termine “quadro”. Dentro c’è un feeling verso
Chopin ma non solo e il brano d’apertura che è un omaggio ai grandi compositori
di ‘800 e ‘900 lo vuole raccontare. E’ comunque, tutto l’album, una scelta
compositiva che ama il passato senza rimanerne prigioniero, con un minimo di
attitudine jazz seppure mediata da un concetto musicale che jazz non è. La
valenza iperdinamica di alcuni momenti, io, come recensore rock, la definirei
metallica, quindi quasi estrema, ma in realtà tradizionale per accostamento
alla musica classica. Un bel disco che fa della bellezza estetica, ma anche del
sentimento romantico, una vicissitudine di tipo contingente e concreto, una
esaltazione del valore della vita che se ne sta tra la quotidianità e la
fantasia astratta. Non una musica troppo eterea per gli angeli, ma carnale per
gli uomini.
1.Ricordo di Alberto
Gori
2.Dialogo tra vento e
nuvole 3.Mare
in tempesta
4.Terra
5.Giornata di 24h
6.Suono di pioggerella sulle
foglie
7.Rinascita
8.L’uomo al di là delle Colonne D’Ercole
Compositore ed esecutore: A.CALOI
***
Etichetta: Century Media Records
Questa band italiana non può
comporre un disco di basso livello, questo è ormai assodato. Dopo 7 album anche
questo ottavo è pregnatamente significativo, sia per sound che per tematiche
liriche (manicomi e malattie mentali). Qui siamo di fronte ad un indurimento
del feeling con chitarre molto groovy e ribassate. Anche il cantato maschile
cerca un impatto violento e quando inizia l’album con l’intensa “THE HOUSE OF
SHAME”, sembra quasi di trovarsi di fronte ai Five Fingers Death Punch invece
che ai Lacuna, dato il groove compatto e la ferocia della voce maschile,
discostadosi da questa asprezza solo con la voce femminile che fa soavemente da
contraltare. Se la prevalenza caratteriale rimane quella gotica tipica
del loro stampo compositivo, c’è molto più Metalcore che in passato. In
effetti, nonostante la maggior pesantezza, le song sono più facili da assimilare
rispetto agli ultimi capitoli discografici. In pezzi come la atmosferica
“BROKEN THINGS”, la melodia, tra un urlo e l’altro, è piuttosto suadente.
Insieme a questi due episodi, l’alto livello artistico si esprime anche con
l’evocativa “CLAUSTROPHOBIA” (forse la più bella del lotto) e la seriosa
“ULTIMA RATIO” che si spendono in due fluidi assoli chitarristici. “Delirium”
appare molto intrigante nelle sue vocalizzazioni di ritornello, ma semplifica
troppo la propria struttura per poter diventare brano migliore; certo Cristina
qua dentro esprime una voce ammaliante. Meglio brani come la calma “Dawnfall”,
e la quasi Death “Blood, Tears, Dust” (ospite Myles Kennedy degli Alter Bridge)
che equilibria benissimo la rocciosità con la morbidezza, in una tonalità
vocale che arriva sorprendentemente ad acuti di ugola vicini a quelli di Sharon
Den Adel dei Within Temptation. Prendo atto inoltre che gli statunitensi “In
This Moment” hanno fatto presa sui Lacuna, dove il goticismo di tipo decadente
ma efficace sforna “You love me ‘cause I hate you”. Due soli i brani non
propriamente di valore: una è “Ghost in the Mist” che però regge bene la
tensione pur essendo scontata; l’altra è “My Demons” che si fa eccessivamente
Nu Metal senza apparire interessante, preferendo spiattellarsi in modo commerciale.
Via il chitarrista Maus sostituito da Diego Cavallotti che è presente nelle
registrazioni di “My Demons” e “Ultima Ratio”, la formazione originale
mantiene solo tre figure, i cantanti e Zelati. Le corde vocali di Cristina
stavolta si sono impegnate in un ascesso di maggior virtuosismo; oltre alla
bella presenza rock, ha dalla sua sempre avuto una ottima presenza artistica
per carattere ed espressività, qui non si è voluta cullare sugli allori, ma ha
dato di più, senza apparire nemmeno prima donna (pur essendo l’unica nella
band). La maggior durezza non ha snaturato l’essenza della band, ma forse ha
semplificato leggermente il songwriting, rendendo meno vario l’intero impianto.
Propendo verso l’idea che questo disco sia meno ricco e interessante dei tre
dal 2009 al 2014. Più fruibile? Non so, la cattiveria lo rende comunque lontano
dalla vera commercialità, e ne mantiene il tono in qualche modo provocatorio.
Come ho detto all’inizio, i Lacuna sanno solo realizzare buoni lavori. Di certo
vi è la sicurezza e la maturità di gente che sa stare in un alveo di tipo
internazionale, e ciò è riconosciuto dal pubblico straniero, in quanto sembra
che questi nostri siano la metalband italica più venduta all’estero. Nonostante
essi abbiano un carisma ormai di successo, hanno tentato in questa opera di non
appiattirsi su schemi passati.
1. The House Of
Shame
2. Broken Things 3.
Delirium 4. Blood, Tears,
Dust 5.
Downfall
6. Take Me Home
7. You Love Me ‘Cause I Hate
You 8.
Ghost In The
Mist
9. My
Demons
10.
Claustrophobia
11. Ultima Ratio
Cristina Scabbia – vocals / Andrea
Ferro – vocals / Marco Coti Zelati – bass; keyboards / Ryan Blake Folden -
drums
***
Sky RobertAce Latini
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