“SUBVERSUM”
(2015) album dei Ram(Svezia) Metal Blade
Records
Heavy
Metal classico, ma con un alone di oscurità. Gruppo 525. RECENSIONI 2015 di Sky Robertace Latini
svedese attivo dal 2003 che
ha esordito con un ep (“Sudden
Impact”). Ora, nel 2015, è al quarto disco con
questo mattone di pietra pesante. E quando dico “pesante” non è un modo di
dire, che dall’inizio alla fine è sempre la stessa tonica potenza. “RETURN OF
THE IRON TYRANT” e “ENSLAVER” sono i brani migliori, pieni di furore e di
velocità, e anche dal songwriting più elaborato e dalle linee vocali più ricche.
Il livello di cattiveria raggiunge il suo culmine con “EYES OF THE NIGHT”,
anche se le doppie chitarre hanno una certa attitudine alla melodia, pur con un
assolo tagliente e acuto. Tempo medio per “The Usurper” che appare meno
personale ma che mantiene la pesantezza di base, riuscendo però ad evocare
parti solistiche ariose. Particolare è
“Holy Death” che si appoggia su di un ritmo in cadenzato levare quasi
ballabile, con una linearità che predilige la linea cantata, attenendosi
comunque all’asprezza che gronda da tutte le tracce. Il lato più elegante va
trovato in pezzi come “THE OMEGA DEVICE”, non perché complesso, ma perché nella
semplicità esprime una dimensione evocativa del proprio incedere, nella riffica
azzeccata che si intreccia benissimo con la trama vocale; è forse il pezzo che
ricorda meglio i Judas Priest. Altro momento raffinato è “Forbidden Zone”,
questa davvero
molto Savatage. A chiudere un vorace album, preceduta da una
violenta e disturbante strumentale, sta la maestosa “SUBVERSUM”, la quale
dinamicamente attacca con inaudita ferocia: si tratta di una specie di tempesta
che trionfa in un canto graffiante del singer a cui si associa una voce come
proveniente dall’oltretomba. Le parti parlate non mi piacciono, e in questa
traccia se ne presenta una; ma il fatto che segua una certa metrica le dà una austera
dignità, e poi è utile come momento calmo per accentuare l’assolo micidialmente
pungente che scatena pura elettricità subito dopo. E quando l’album è finito non puoi non
domandarti se sei tutto intero. Il suono è quello del metal americano che si
posiziona stilisticamente tra i Savatage e i Metal Church, prendendo dai primi
soprattutto il senso epico e dai secondi il buio atmosferico. La durezza si
coniuga con un intenso tocco sulfureo che estremizza le sensazioni, e la voce
contribuisce in maniera essenziale a questo feeling. A volte sembra che ci
siano piccole incertezze o che alcune composizioni avrebbero bisogno di essere
meno lineari, ma l’insieme è così fluido che i difetti diventano semplici
curiosità. Sono gruppi come questi a raccontare quanto il metal detto HEAVY non
sia solo in mano ai vecchi leoni come Saxon o Virgin Steele, ma sia sorretto e
ricostituito da giovani metallers (“giovani” anche se in giro da ben 12 anni, e
una volta tale lasso di tempo faceva dei gruppi maturi), i quali forse non
passeranno alla storia, data la dispersività della rete, ma che realizzano
lavori di grande impatto, altamente ispirati, mantenendone viva la scena. La
musica conserva la sua bellezza e la passa di padre in figlio, senza rimpianti.
1.
Return of the
Iron Tyrant
2.
Eyes of the
Night
3.
The Usurper
4.
Enslaver
5.
Holy Death
6.
Terminus
7.
The Omega Device
8.
Forbidden Zone
9.
Temples of Void
10.
Subversum
Oscar Carlquist – vocals
Harry Granroth – guitars
Martin Jonsson – guitars
Tobias Petterson – bass
“TO YOUR DEATH” (2015) album
dei ChristianMistress (USA)
Relapse Records
Tre anni fa questi americani avevano dato
alla stampa un bel lavoro di NWOBHM piuttosto interessante; “Possession” aveva molto
in comune con i britannici Diamond Head, a volte in modo molto spiccato e
sfacciato. Adesso, in questo terzo full-lenght, i Diamond si sentono molto di
meno ma comunque rimangono il maggior modello ispirativo. La cosa migliore e
davvero entusiasmante è il tessuto chitarristico, intenso, ricco e strutturato
con grande ariosità, tra riff netti e atmosfere melodiche. Lei invece canta
come Patti Smith, in una modalità molto
pacata e declamatoria. Questa sua voce non delimita con chiarezza la
linea
melodica, ma la frammenta in frasi incerte, facendo perdere incisività al
brano, ma forse guadagnandoci in atmosfera. “NEON” è una delle migliori tracce
con la sua classicità anni ’80. Altro pezzo di livello è “STRONGER THAN BLOOD”
che, tra tutti, è l’episodio più vicino ai già citati D.Head, e in cui è
elettrizzante la battaglia fra le due asce a sei corde. Cavalcata mutuata dallo
stile Thin Lizzy, è “Eclipse”; ma i Thin si sentono spesso nell’espressività
della doppia chitarra. La velocità media è sostenuta anche se mai velocissima,
sebbene la classicissima bella “OPEN ROAD” e la maggiormente dura “Tyd” vanno
piuttosto spedite. Un sound che spesso mantiene una certa scura anima, con
qualche riff alla Black Sabbath, ma che se vuole, come in “Walkin’ Around”, sa
viaggiare su una verve orecchiabile e più leggera. La voce di solito appare
poco incline a legarsi bene con l’andamento riffico, così sembra che la
velocità cadenzata non sempre sia il miglior luogo per il cantato di Christine;
invece si ha l’idea che l’ambientazione soft o i ritmi medi siano a lei più
confacenti, infatti nell’inizio bluesato di “ULTIMATE FREEDOM” si riesce a
vivere una piena interazione fra
chitarre e ugola; e anche nel proseguo indurito
a middle-time, la cosa continua a funzionare. Lo stesso in “Lone Wild”, il
brano con l’essenza doom, che ha una parte iniziale molto eterea,
dall’andamento cupo sacerdotale e che rimane fino alla fine evocativa, anche
con un bel ponte acustico. La strumentale “III” non è un riempitivo. Il
penultimo lavoro pareva meglio cantato, la voce mostra qui più chiaramente i
suoi limiti tecnici ma anche interpretativi. Ciò non va a discapito però di una
certa magia e un accattivante fascino straniante. In effetti le caratteristiche
vocali, una volta abituati all’ascolto, riescono a catturare l’attenzione. La
forza vintage del disco è presente sia nel genere suonato, sia nello spirito, e
anche nella tecnica espressa. Non c’è alcun tentativo di allontanarsi dalla formula
antica degli anni ’80; ma è ottenuta senza fastidiosi ricopiaticci e con una
capacità strumentale veramente intrigante. Non ci sono molti gruppi che si
gettano in questa forma estetica, quindi nel panorama attuale sono una delle
migliori realtà disponibili. Ma chitarristicamente superano moltissimi gruppi
in circolazione anche di diversa cifra stilistica, riuscendo a creare intrecci
suggestivi e tonici. Gustoso ascolto.
1.
Neon
2.
Stronger Than Blood
3.
Eclipse
4.
Walkin' Around
5.
Open Road
6.
Ultimate Freedom
7.
Lone Wild
8.
III
9.
Tyd
Christine Davis - Vocals
Oscar Sparbel -
Guitars
Tim Diedrich - Guitars
Jonny Wulf - Bass
Reuben W. Storey -
Drums
Sky RobertAce Latini
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