l'interruzione della comunicazione, ma un mezzo di espressione di pensieri ed emozioni è convinzione che risale ai primi retori. Da Cicerone a Quintiliano, a Seneca si sostiene che un bravo oratore non solo deve saper parlare (persuasivamente), ma anche tacere (efficacemente). Il silenzio è messaggio. La scelta di non dire è un atto linguistico. Oggi viviamo aggrediti dalle parole; siamo abituati a una vita vissuta all’insegna dell’inquinamento acustico. Il silenzio sembra essere quasi un vuoto da colmare, la cui presenza mette ansia. Così il silenzio viene colmato di parole inutili. Il silenzio però è erroneamente compreso come vuoto. Al contrario, il silenzio costruisce relazioni come fanno le parole. L’ascolto è atteggiamento sempre più raro. E il silenzio, che all’ascolto è indispensabile, ci inquieta perché è percepito come una forma di passività, una patologia, una zona della nostra esistenza spiacevole ed estranea. Al contrario il silenzio è una forma di comunicazione superiore, capace di dire molto perché parla il linguaggio delle emozioni, dei pensieri, delle sensazioni che nessuna forma di comunicazione verbale saprebbe mai tradurre in modo tanto pieno, intenso e profondo. Nel silenzio di questi giorni ho ascoltato me stessa e ho compreso con maggior chiarezza come desideravo esprimermi. Il silenzio mi è stato essenziale per discernere ciò che era importante da ciò che era inutile o accessorio. Il silenzio mi è stato prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che ricevevo, per riconoscere e focalizzare ciò che per me, in questo momento, è veramente importante. E con umiltà e rispetto, tra i tanti stimoli ricevuti, ho scelto di focalizzare l’attenzione su poesie che ho letto su Voci Globali – diritto umani e giornalismo partecipativo.
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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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491 . IN UNA PAROLA di Chiara Passarella
Quello
che è successo in questi giorni nel Mediterraneo come mi ha colpito? Presidi per ricordare i migranti: come
mi tocca? Sono le due domande che i conduttori di Caterpillar, programma radiofonico in onda dal lunedì al
venerdì alle ore 18,00 su Radio 2, hanno
rivolto ai loro ascoltatori nella puntata del 21 aprile u.s. Chiedevano anche
di rispondere in una parola ed io sto cercando di rispondere con una sola parola. Ho avuto bisogno di qualche giorno di
silenzio, non ho scritto nulla, né per me né per gli altri anche se mi è stato chiesto se, in questa
occasione, avrei scritto una poesia o un pezzo nel quale esternare un’ opinione
o una valutazione. Ecco la mia risposta: SILENZIO. Che il silenzio non sia solo la
negazione o
l'interruzione della comunicazione, ma un mezzo di espressione di pensieri ed emozioni è convinzione che risale ai primi retori. Da Cicerone a Quintiliano, a Seneca si sostiene che un bravo oratore non solo deve saper parlare (persuasivamente), ma anche tacere (efficacemente). Il silenzio è messaggio. La scelta di non dire è un atto linguistico. Oggi viviamo aggrediti dalle parole; siamo abituati a una vita vissuta all’insegna dell’inquinamento acustico. Il silenzio sembra essere quasi un vuoto da colmare, la cui presenza mette ansia. Così il silenzio viene colmato di parole inutili. Il silenzio però è erroneamente compreso come vuoto. Al contrario, il silenzio costruisce relazioni come fanno le parole. L’ascolto è atteggiamento sempre più raro. E il silenzio, che all’ascolto è indispensabile, ci inquieta perché è percepito come una forma di passività, una patologia, una zona della nostra esistenza spiacevole ed estranea. Al contrario il silenzio è una forma di comunicazione superiore, capace di dire molto perché parla il linguaggio delle emozioni, dei pensieri, delle sensazioni che nessuna forma di comunicazione verbale saprebbe mai tradurre in modo tanto pieno, intenso e profondo. Nel silenzio di questi giorni ho ascoltato me stessa e ho compreso con maggior chiarezza come desideravo esprimermi. Il silenzio mi è stato essenziale per discernere ciò che era importante da ciò che era inutile o accessorio. Il silenzio mi è stato prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che ricevevo, per riconoscere e focalizzare ciò che per me, in questo momento, è veramente importante. E con umiltà e rispetto, tra i tanti stimoli ricevuti, ho scelto di focalizzare l’attenzione su poesie che ho letto su Voci Globali – diritto umani e giornalismo partecipativo.
l'interruzione della comunicazione, ma un mezzo di espressione di pensieri ed emozioni è convinzione che risale ai primi retori. Da Cicerone a Quintiliano, a Seneca si sostiene che un bravo oratore non solo deve saper parlare (persuasivamente), ma anche tacere (efficacemente). Il silenzio è messaggio. La scelta di non dire è un atto linguistico. Oggi viviamo aggrediti dalle parole; siamo abituati a una vita vissuta all’insegna dell’inquinamento acustico. Il silenzio sembra essere quasi un vuoto da colmare, la cui presenza mette ansia. Così il silenzio viene colmato di parole inutili. Il silenzio però è erroneamente compreso come vuoto. Al contrario, il silenzio costruisce relazioni come fanno le parole. L’ascolto è atteggiamento sempre più raro. E il silenzio, che all’ascolto è indispensabile, ci inquieta perché è percepito come una forma di passività, una patologia, una zona della nostra esistenza spiacevole ed estranea. Al contrario il silenzio è una forma di comunicazione superiore, capace di dire molto perché parla il linguaggio delle emozioni, dei pensieri, delle sensazioni che nessuna forma di comunicazione verbale saprebbe mai tradurre in modo tanto pieno, intenso e profondo. Nel silenzio di questi giorni ho ascoltato me stessa e ho compreso con maggior chiarezza come desideravo esprimermi. Il silenzio mi è stato essenziale per discernere ciò che era importante da ciò che era inutile o accessorio. Il silenzio mi è stato prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che ricevevo, per riconoscere e focalizzare ciò che per me, in questo momento, è veramente importante. E con umiltà e rispetto, tra i tanti stimoli ricevuti, ho scelto di focalizzare l’attenzione su poesie che ho letto su Voci Globali – diritto umani e giornalismo partecipativo.
Io resto quaggiù/
nel fondo di una casa per noi tutti/
senza ragioni e ipocrisie/
una terra senza prigioni e un sogno sarà il
mio respiro d’acqua/
un vaso di cristallo il cuore/
accoglier la nascita di mille
cavallucci non più lamenti/
non più aprirsi e chiudersi di
cancelli/
le nostre vite saranno astucci di
perle.
(Io sto in fondo al mare, di Fernanda
Ferraresso)
Questi versi sono tratti dall’antologia poetica “Sotto il cielo di
Lampedusa (Rayuela, Milano 2014) con la prefazione di Erri de Luca ,
una raccolta di poesie e testimonianze. Un’opera
e un documento che riesce a rovesciare la visione di Lampedusa e le tragedie
del Mediterraneo: da caos di disinformazione e lacrime di coccodrillo a un messaggio
preciso e forte, senza spazio per pietismi o clamori.
Mi dissero “vai”.
Io ci credevo ad un
mondo fratello, alla vita…
Mi dissero
"vai" questa sarà la tua battaglia, combattila anche per noi, tu
andrai per mare, non temere il mare di cui siamo figli anche se nati fra due
sponde!
Ed io salpai: l’anima
raccolta fra le mani, ed un sacchetto di semi da germogliare nella terra che
amorevolmente avrei vangato al di là del nostro mare.
(Mi dissero vai! di Grazia Maria
Pellecchia)
L’antologia nasce dal lavoro di ricerca e diffusione di poesie dall'Africa
e Medio Oriente, iniziato dal gruppo di “1oomila poeti per il cambiamento di Bologna”(100 TPC). Il gruppo fa parte dell'omonimo 100 thousand poets for change, creato da Michael Rothenberg e Terri Carrion.
Nel 2012 i due californiani rivolsero un appello ai poeti di tutto il mondo:
unitevi e componete versi su temi sempre più sommersi dalla scena mediatica
come i diritti umani, la compassione, l'ambientalismo. Temi urgenti, che la
poesia può far vibrare fino alle corde più sensibili della gente, per creare
non solo poesie ma gruppi di attivisti. Il 3
ottobre 2013, a largo di Lampedusa annegarono trecento migranti, molti
di origine eritrea. Una delle più gravi stragi marittime degli ultimi decenni.
Da quel momento i 100TPC di Bologna si sono mobilitati per raccogliere poesie
di eritrei, somali, europei, che volessero dire qualcosa su questa strage o
sull'esperienza dell' immigrazione. Ne venne fuori un ebook su Glob011: “Per i morti di
Lampedusa, annegati da respingimento”. Un titolo che voleva denunciare le precise responsabilità politiche
della strage, da parte dell'UE e dell'Italia, dovute ai decreti sul
respingimento dei migranti.
Ascolta le onde alte nere onde sbattono sugli scogli di Lampedusa loro – i
migranti (500 sono?) schiacciati l’uno contro l’altro nella stiva colano a
picco e annegano
ascolta le loro voci Europa!
(Ascolta, Europa! di Giovanna Gentilini)
Sulle rive di Lampedusa
Sono sdraiati i resti
delle nostre coscienze gonfie
Le rive di Lampedusa
Sono il viso sfigurato,
gonfio e mutilato della nostra umanità
Oggi!
(Gassid Mohammed)
Cara mamma, sono partita
contro il tuo volere/
ti ho lasciata in
lacrime, senza riuscire ad asciugare le tue lacrime questa volta ti lascio per
sempre. Ho intrapreso un cammino difficile e tortuoso/
Ho incontrato molteplici
difficoltà. Aimè sono stata depredata, violentata e torturata. Alle cui urla strazianti
ti hanno obbligata ad assistere e viverle con me via telefono/
affinché impotente desolata
e distrutta vendessi tutti i tuoi averi
elemosinassi anche per
strada.
Tutto per riscattare la
mia vita perché possa essere liberata e successivamente rivenduta ad altri
trafficanti della morte.
(Lacrima sul tuo volto,
Bietelihem Berhane, Eritrea)
… a casa ci voglio
tornare, ma casa mia è la bocca di uno squalo/
casa mia è la canna di
un fucile/
e a nessuno verrebbe di lasciare casa sua/
a meno che non sia stata
lei a inseguirlo fino all’ultima sponda a meno che casa tua non ti abbia detto/
affretta il passo/
lasciati stare i tuoi
stracci/
striscia nel deserto/
sguazza negli
oceani/annega/ salvati/
fatti fame chiedi
l’elemosina dimentica la tua dignità/
la tua sopravvivenza è
più importante.
(Casa Warsan Shire - trad. di Pina Piccolo)
Vengo da lontano, ma non so dove sto andando. Vengo da lontano senza sapere
dove sto andando. Vengo da lontano e ho attraversato il mio paese crivellato.
Vengo da lontano senza avere chiara una meta! Partii da una capitale in fiamme,
che ha perduto lo Stato. Vengo da lontano senza meta e senza dove. Mio padre si
è perduto in una guerra che ha tanta fame e tanta sete. Mia madre si è
ritrovata sola in mezzo a tanti lamenti di infanti. Un giorno di tanti anni fa,
fuggii dalla mia terra che beve sangue invece che acqua. Ho dimorato galere di
tante città diverse, tutte sporche e abitate da pidocchi. Ho camminato nella
sabbia rovente dei deserti, pensavo alla morte ma la vita mi voleva con sé.
Vengo da lontano per trovarmi al mare senza saper nuotare, vengo da lontano,
nonostante la barca ballasse tra le onde, i corpi gonfi hanno fatto la mia
salvezza.
(Il Druido di Dublino di Antar Mohamed Marincola)
Nemmeno le armi son da evocare: ne avete già viste troppe nei vostri paesi,
spedite a casse dai nostri produttori di Stato. Sì uno Stato smemorato e baro
che si spazza le suole insanguinate con il ripudio della guerra e, nel nome
nostro anche di noi che siamo qui, esporta morte a buon mercato. E poi la
patria: quale? Cos’è? È solo un mare di dune di sabbia senza confine prima di
un altro mare di dune d’acqua senza approdi.
(Quel maledetto metro d’acqua di Bartolomeo Bellanova)
Eppure ogni notte/
prima di ogni partenza/
il buio s’accendeva di
mille lune/
accoglieva il calore di
sogni/
che fiorivano/
prima che le tenebre
portassero nuove paure/
prima che/
altre navi/
annegassero altro
futuro/
prima che/
i trafficanti/
portassero altra morte.
(Fantasmi di mare, di
Anna Albertano)
Non aggiungo
altro, solo una riflessione: questi versi e questi scritti riescono a comunicare
la tragedia di un umanità dolente che noi, per egoismo, non sempre sappiamo accogliere e capire. Un
grido di indignazione che ognuno dovrebbe sentire per rimanere umano. CHIARA PASSARELLA
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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
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