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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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483. La mia visione per “DIRTY WITH MY BLOOD” di Massimiliano Proietti (soggetto e regia del video)
Diverso tempo
fa, quando Giulio ha iniziato a parlarmi del suo nuovo pezzo “Dirty with my
blood” ancora nessuno aveva un’idea ben precisa di cosa sarebbe uscito fuori. Ricordo
che si è presentato con la traccia audio di un pezzo ancora embrionale che era
molto distante (almeno alle mie orecchie inesperte) dalla versione finale che
ora possiamo ascoltare tutti, ma lui era fermamente convinto che ne sarebbe
uscito fuori qualcosa di sensazionale. La sua fiducia e la passione con cui mi
parlava di questo pezzo sono state un’ispirazione per me, un motivo in più per
spingermi a dare anche io, nel mio piccolo, un contributo massimo di quello che
avevo da offrire. Quando più avanti nel tempo stava prendendo forma il pezzo e
si concretizzava l’idea di un video che, come suggerito da Giulio, dovesse
trattare un tema forte e ad attuale come la violenza sulle donne, ho realizzato
che era arrivato il momento di dimostrargli che aveva fatto una buona scelta a
scommettere ancora su di me affidandomi anche questa volta la realizzazione del
video che avrebbe dovuto presentare il suo pezzo. Ho iniziato quindi ad
ascoltare e riascoltare il brano fino allo sfinimento per cercare di calarmi
nella storia e dare una direzione alla mia eventuale futura ispirazione.
Ispirazione che dopo quasi due settimane di buio si è finalmente manifestata
con una semplicità disarmante. Una domenica mattina mentre ero in dormiveglia
ho iniziato a pensare a cosa potesse accadere ad una coppia come descritta
dalla canzone, e ho visto una donna sormontata dalle angherie del proprio uomo.
Ho visto chiaramente il dolore della routine di violenza che la accompagnava
dentro le mura domestiche; ho visto l’escalation di rabbia e violenza delle prime
liti che appaiono nel video. Un crescendo di emozioni e di sofferenza, poi la
mia mente ha proseguito senza che io decidessi nulla, come lo spettatore di un
film inscenato dalla mia fantasia. E lì è arrivata la svolta: nel momento clou
della canzone, al culmine dell’ennesimo vile atto dell’uomo, accade l’inaspettato.
Cade un coltello, i due ci finiscono sopra e lei istintivamente, per
proteggersi, chiude gli occhi afferra la prima cosa che trova e la pone tra se
e il suo aguzzino, e senza volerlo si trova ad averlo colpito a morte. Lì ho
avuto un sussulto e ho capito che avevo trovato il soggetto giusto per il video
di una canzone così forte, e soprattutto si addiceva molto anche al titolo
“Dirty with my blood” le cui parole essendo in lingua inglese non sono
sessuate, quindi non era espressamente specificato che fosse “(io sono/tu sei)
sporcA del mio sangue” oppure
“(io sono/tu sei) sporcO del mio
sangue”. Mi sono alzato di corsa dal letto ed ho acceso il computer iniziando a
scrivere tutto quello che avevo visto. A quel punto però ci voleva una catarsi,
un qualcosa che lasciasse il segno più di cento coltellate. Dalla mia
esperienza personale ho appreso che quando commetto un errore, la cosa peggiore
che mi capita non è la reazione degli altri, ma quanto il dover convivere con
il pensiero ricorrente di aver sbagliato, di aver fatto una cosa che ora
comprendo non andava fatta. Quindi la vera svolta del video non è
l’involontario accoltellamento dell’uomo, ma la sua “redenzione”… Qui mi è
venuto in soccorso il brano che proprio dopo l’apice ha un momento di breve
quiete, la quale si sposava magnificamente con un flashback. Un evento così
drammatico e disarmante ha riacceso nella mente dell’uomo un ricordo ormai
sopito: la loro storia d’amore com’era agli albori, un momento assai distante
di felicità avulsa alla routine di odio che abbiamo finora visto nel video. E’
adesso che l’uomo realizza di aver sprecato, logorato e distrutto il bene più
prezioso che noi possiamo mai augurarci d’avere: l’Amore. L’uomo ha quindi
questa epifania e d’un tratto realizza di essere la persona spregevole che
tutti noi abbiamo visto, e nel suo ultimo respiro chiede disperato il perdono
alla donna che avrebbe dovuto continuare ad amare come faceva un tempo lontano.
Egli non si preoccupa più per se, ormai il suo unico desiderio è cercare di far
capire alla sua donna che ha compreso i suoi errori ed ha capito tutto il male
che egli ha fatto a lei, e di conseguenza anche a se stesso; le porta la mano
al volto e le sussurra morente il suo “forgive me”. La donna a quel punto
attonita e frastornata realizza quello che è accaduto, vede che ha
accidentalmente ferito a morte il suo aguzzino ma ora quello che ha di fronte è
un’altra persona. Non più il crudele e miserabile individuo che la picchiava, i
suoi occhi sono tornati quelli amorevoli di un tempo, quello lì al suo fianco è
l’uomo che un tempo l’amava e che ora è redento di tutto il male che aveva
generato. Lei in un mare di emozioni contrastanti perdona immediatamente il suo
uomo e si abbandona a lui in un’ultimo e travolgente bacio che suggella il
perdono. Il tutto è surreale, l’attenzione non è infatti sull’involontario
gesto fatale, quello è solo un dettaglio, è solo l’elemento che scatena
nell’uomo l’esame di coscienza, una cosa insignificante a confronto della
catarsi che egli sta vivendo; purtroppo però questo dettaglio risulta decisivo,
perché anche se lui ora è tornato ad essere l’uomo amorevole che avrebbe dovuto
essere, e lei lo ha compreso e perdonato, ormai è troppo tardi. La vita lo sta
abbandonando e lei lo stringe forte a se e scoppia in lacrime perché aveva
appena ritrovato l’amore che aveva un tempo ma ora lo ha riperduto e stavolta
per sempre. La spirale sempre crescente di dolore trova il suo apice nello
strazio della donna, che noi vediamo tormentata dai suoi ricordi. Ancora oggi rivivere la creazione di questa
storia mi scuote qualcosa dentro, e come quella domenica mattina mi ritrovo a
piangere per una donna che ha sofferto così tanto e che per un’attimo ha
ritrovato il suo uomo ma poi lo ha visto andarsene tra le proprie braccia. Lo
stesso provo per l’uomo, anche se inizialmente devo ammettere di aver provato
un appagante senso di giustizia nell’immaginarlo accoltellato, poi però ho avuto
una strana pietà di lui, una persona che vede il male che ha generato e che
vorrebbe riscattarsi senza ormai averne l’opportunità; ed è questa dal mio
punto di vista la sua punizione più grande, non tanto l’involontario
accoltellamento, ma l’aver compreso i suoi sbagli. Credo che una storia così
potente e toccante, anche se con un epilogo inaspettato e insolito possa essere
un esempio lampante, per tutti, di quanto sia distruttiva la violenza, e di
quanto il male che genera un singolo individuo possa espandersi come un’eco
verso gli altri e danneggiare irreparabilmente l’animo delle persone.
MASSIMILIANO PROIETTI
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