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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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408. SAN VINCENZO AL VOLTURNO, LA POMPEI CRISTIANA di un'Americana a Venezia
Nel anno 703,
tre monaci con radici aristocratiche longobarde, Paldone, Tatone, e Tasone, furono
mandati da un religioso ad un sito dove c'era un oratorio costruito secoli
prima, forse per il passaggio dell'Imperatore Costantino. I tre arrivarono ai ruderi di un oratorio
paleo-cristiano dedicato a San Vincenzo, diacono e martire spagnolo, nella
valle dell'alto Volturno, molto vicino alla sorgente del fiume, ai confini dei
Ducati di Spoleto e Benevento e dello Stato Pontificio. Lì un angelo diede loro da mangiare. Poco dopo, stabilirono l'Abbazia di San
Vincenzo al Volturno in quel luogo, oggi nella regione di Molise. Il cenobio fu un'affermata fondazione
aristocratica longobarda, con residenze, officine, e tre chiese raggruppate su
tre ettari al fianco del Volturno. Poco
più tardi, nel IX secolo, l'Abbazia era diventata un rinomato centro monastico in
grado di ospitare circa 350 monaci e, in aggiunta, pellegrini. Possedeva terre in gran parte dell'Italia
centromeridionale. Le cucine e il refettorio
erano sufficienti a servire 400 persone.
Il nome germanico di qualche residente, inciso nella pietra al
rispettivo posto a tavola, è ancora visibile oggi. Il pavimento in terracotta del refettorio è
l'unico integro del suo tipo risalente a quell'epoca. Nel IX secolo, sotto gli abati Giosùe, Talarico,
e Epifanio, l'Abbazia divenne un turbine di scritti teologici e di cultura. Giudicando dai reperti trovati negli scavi, si
può dedurre che l'abbazia fosse anche una fabbrica di artigiani. Al sito c'erano state edificate ben dieci
chiese, inclusa la monumentale chiesa madre, con le sue 50 colonne di origine
egiziana e greca portate da palazzi romani.
Era una struttura più grandiosa di quella trovata all'abbazia "gemella"
di Montecassino. Con una scalinata
maestosa e due grandi torri, la chiesa maggiore dell'Abbazia di San Vincenzo al
Volturno poteva accomodare centinaia di fedeli fra imponenti file di
colonne di
color alternante fra il rosa egiziano e il grigio. Conteneva pavimenti con finissimi disegni
colorati, più pitture murali figurative.
Soprattutto, aveva finestre di vetro trasparente e colorato, un'autentica
meraviglia per quell'epoca. Inoltre, nel
sito è stata trovata evidenza di lavorazione di smalto à cloisons, una tecnologia
importata. La cripta della chiesa madre
era molto simile a quella allora esistente in San Pietro a Roma. Molti scheletri rimangono nelle tombe
affrescate. Come mai noi moderni non
sappiamo dell'esistenza di questo fantastico luogo medioevale? Purtroppo, la gloria dell'antica Abbazia ebbe
vita breve: Molte strutture del campus sono state gravemente danneggiate
in un terremoto nel 848. Poi, nel 869,
l'Emiro di Bari minacciò il saccheggio se non gli fosserostate date 3.000 monete
d'oro. Alla fine, il vescovo di Napoli,
Atanasio II, invidioso della grande influenza dell'Abbazia di San Vincenzo,
mandò i Saraceni a destruggerla. Così,
il 10 ottobre del 881, furono sgozzati centinaia di monaci e il complesso fu
dato alle fiamme. Punte di frecce
incendiarie sono rimaste conficcate nel grande portone, ora reperti messi via
in un magazzino. I monaci che scamparono
alla morte o evitarono la cattura tornarono da Capua trenta anni più tardi e
cominciarono a ricostruire, ma
poi con l'arrivo dei Normanni, San Vincenzo al
Volturno non poteva tornare come prima. Inevitabilmente,
con il passare del tempo, il grande centro è stato sepolto, letteralmente, e solo
di recente è stato parzialmente scoperto da archeologi e studenti britannici e
italiani. Conservata nella Biblioteca
Vaticana c'è un'opera dal monaco Giovanni, futuro abate di San Vincenzo, scritta
fra il 1124 e il 1130 in lingua beneventana di tipo cassinese, lingua in uso
nel Mezzogiorno continentale italiano fra i secoli X e XIV. Il documento, chiamato Chronicon Volturnense, contiene la storia dell'Abbazia di San Vincenzo
al Volturno, con 37 miniature, 2 grafici, e 29 figure di abati. Pare quasi impossibile che una realtà così
grande come l'Abbazia di San Vincenzo abbia potuto finire nel dimenticatoio
della storia, ma il fatto che di quest'abbazia e dei suoi resti oggi non ci sia
nemmeno un museo aperto ai visitatori, ne costituisce purtroppo la prova. Ho visitato questo tranquillo posto
"dimesso" il giorno dopo la Pasquetta, 2014. Devo dire che lì, fra montagne imbiancate e i
primi fiori di primavera, tira ancora quell'aria benevola che i giovani Paldo,
Tato e Taso, nutriti in situ da un angelo, trovarono al loro arrivo più di 1.300
anni fa. UN'AMERICANA A VENEZIA
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