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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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357. RECENSIONI 2013
“BATTLE BEAST” Battle Beast
(Finlandia) - 2013
Appena
esordita (il primo album “Steel”), ecco subito, dopo un solo anno, il secondo
disco della band. C’è stato un cambio di cantante, una donna che ai più non fa
rimpiangere l’altra. Ottima anche questa Noora Louhimo che ha una voce meno
maschile di Nitte Valo ma che rimane comunque potente, sebbene più roca. Io
comunque non sono “i più” e preferivo Nitte con la sua verve più personale. Il
gruppo si è separato dalla cantante senza sapere perché, con una semplice mail
di Nitte che non lo spiegava. La nuova non aveva alcuna esperienza col metal,
ma da come vi si approccia, pare che questa sia stata sempre la sua
predisposizione. “LET IT ROAR” vive di un arrangiamento orecchiabile ma è
arrembante grazie soprattutto al ritornello urlato della nuova cantante. Un 4/4
dinamico e ballabile. Una linea melodica e passaggi molto Judas Priest. Non si
tratta di un brano che raggiunge apici originali ma sa fondere la grinta con il
piglio di chi ha imparato bene la lezione. “RAVEN” è il pezzo forse più bello e
più duro. Classicamente Power Metal alla Judas Jriest, dove la voce roca di….si
dedica interamente alla cattiveria ed alla potenza. Chitarra ritmica in pimo
piano e forte velocità. Lineare ed epica. “MACHINE REVOLUTION”, dopo l’intro
elettronico, si rivela allegra e accattivante. Ritmo saltellante e leggero con
un tono globale di freschezza. Commerciale ma senza scadere nella banalità. “KINGDOM”
è un pezzo epico che segue l’antica scia degli statunitensi Manowar. Compatto e
corale, dà quella scossa di durezza senza essere davvero pesante. Tappeti di
tastiere che enfatizzano un’anima appena accennata di sinfonismo.
Caratteristica di questa traccia la parte strumentale centrale in cui è
inserita la struttura solista chitarra-tastiere, la quale diventa l’elemento di
valore della composizione. “OVER THE TOP” ricorda il modo in cui i Judas
usavano lo stile degli AC/DC. Il primo gruppo lo si sente nelle strofe, il
secondo invece nel ritornello e nell’assolo di chitarra. Canzone cadenzata da
usare bene in sede live. “BLACK NINJA” è una canzone di tempo medio dove la
voce suadente e limpida si alterna a quella ruvida per poi scoppiare in un
ritornello acuto. Il basso bluesato, anche troppo abusato nel metal, è comunque
perfetto. Bella anche la chitarra solista acustica che precede l’altrettanto
efficace per quanto breve assolo elettrico. “RAIN MAN” è un ‘altro bel pezzo
massiccio, forse il migliore insieme a “Raven”. Fa venire un pò in mente i
tedeschi Accept. Ritmica secca e basso martellante. Si può fare un bel
“guitaring” misto ad “headbanging”. Buona l’attenzione data alla parte solista.
“Fight, Kill, Die” è un bel brano veloce ma minore, poiché lo stile è troppo
alla Manowar (e la chitarra iniziale fa venire in mente le Girlschool). Sono
contento di questo lavoro, ma un po’ deluso perchè non c’è evoluzione rispetto
all’altro. Si è voluto invece usare una dose massiccia di elettronica, rendendo
il suono eccessivamente plasticoso, e in questo possiamo associarlo a ciò che
fecero i Judas con “Turbo”. Il songwriting non è abbastanza elaborato
preferendo linee compositive semplici, di facile assimilazione. In “Steel” metà
dei brani erano inferiori a questi, ma l’altra metà ben superiori. Ad ogni modo
la grinta rimane: la “bestia da battaglia” combatterà ancora a lungo. Sky Robertace Latini
***
“ELECTRIC PUNISHMENT” Vicious Rumours (USA)
- 2013
Undicesimo
disco dal 1985. Si prosegue il discorso stilistico del 2011 (“Razorback
killers”) aumentandone però pathos e potenza e quindi ottenendo miglior
risultato ora di allora. “I AM THE GUN” è una micidiale bordata di cattiveria
metal che si avvolge in uno stile thrashato di Power Metal molto vicino ai
Metal Church più violenti. Ma qui è anche evidente un cantato aspro a volte
ispirato alla Mustaine dei Megadeth dei primi lavori. La composizione lascia
spazio ad un momento solistico meno veloce ma dal carattere sulfureo.
Globalmente la ritmica non è velocissima, ma la dinamicità è alta. “BLACK X
LIST” usa invece tutta la velocità possibile per questo metal d’acciaio. Voce
scura e dominatrice. Chitarra solista continuamente accesa sopra un muro di
suono compatto. “D-BLOCK” è un’altra scheggia di velocità. Furiosa ma
accattivante nei limiti del possibile. Una valanga di metallo incandescente che
rallenta soltanto con l’assolo di chitarra che appare magmatico e poi schizza
riversandosi di nuovo nella velocità ultraserrata. “DIME STORE PROPHET” usa un
ritmo medio per una song ossessiva la cui voce maligna sa dosarsi bene in un
acido scolo di metallo corrosivo. Anche qui le parti soliste si fanno sentire
più volte con estrema funzionalità. La title-track (“Electric punishment”) è
gustosa ma perde valore in confronto ai pezzi migliori dato un song-writing assolutamente
noto, in questo caso vicino agli Accept. I brani più calmi non sono male ma
l’interpretazione vocale lascia un po’ a desiderare per la non perfetta
esecuzione. Il gusto per il suono riffico fortemente addensato è evidente, dove
anche la voce di Brian Allen è però prodotta con un effetto coagulante
altrettanto efficace. Lo stile è debitore dei Metal Church, sebbene non si
possa evitare di notare che lo è anche verso i Judas Priest. Questo metal
tradizionale che si abbevera al Power metal e al Thrash più “orecchiabile”, non
perde attualità nei pezzi migliori ma quelli minori sono minori proprio a causa
di una elaborazione troppo vintage. L’energia è tanta e lo schema segue una
linea pesante, quale il genere che si rifà agli ’80 può permettere. Sky Robertace Latini
***
“I” Giant X
(Germania) - 2013
Due
musicisti si mettono insieme per riempire un album con canzoni che non
rappresentano la loro specifica carriera con la band d’origine. Allora serve un
nuovo progetto che loro chiamano “Giant X”, il quale diventa un contenitore per
materiale senza pretese, che però riesce bene. “ON A BLIND FLIGHT” è una
classica heavy metal song compatta, dalla struttura lineare strofa-ritornello
con un 4/4 mediamente veloce. Ma fa muovere il corpo e cantare un ritornello
orecchiabile. “BADLAND BLUES” è un bel brano che usa chitarra sleaze e cadenza
ossessiva in un middle- time ondulatorio. “NOW OR NEVER” è un brano frizzante,
ben sostenuto dalla ritmica, che riesce a
risultare intrigante pur nella estrema semplicità. Un altro
arrangiamento ne avrebbe accresciuto il carattere epico. “ROUGH RIDE” inizia
con una armonica a bocca che ci ricorda il sud degli Stati Uniti, poi diviene
un robusto Hard Rock sudista che starebbe bene in un album dei Lynyrd Skynyrd.
Forse il brano più riuscito del disco. Il risultato non è un album molto duro,
ma un divertimento più meno allegro dove si trovano atmosfere seriose anche, ma
soprattutto funny. Sembra che R’n’Rolf e Peter Jordan (rispettivamente
cantante e chitarrista dei Running Wild) abbiano avuto in mente questi
istintivi ritornelli come quando si canticchia sotto la doccia, e abbiano
voluto esprimerli con il piglio di chi si trastulla e vuole esprimersi
giocosamente senza predersi troppo sul serio, ma senza nemmeno scrivere
banalità. I brani minori non annoiano, anzi dà gusto ascoltarli pur non essendo
granchè. Anche i brani migliori non saranno memorabili, ma comunque rendono
piacevole un bel viaggio in automobile. Loro si sono divertiti a realizzarlo e
ora ci divertiamo noi ad ascoltarlo. Sky
Robertace Latini
***
“NOVUM
INITIUM” Masterplan (Germania) – 2013
Cambio
di cantante: è andato via Jorn Lande, è arrivato Rick Altzi (Ex-At Vance). Lo stile non cambia anche se
decisamente differente l’interpretazione. Siamo all’album n. 5 (il primo era
del 2003) e qualitativamente non c’è alcun calo rispetto all’ultimo “Time to be
king” del 2010. Diversa la voce ma stessa grande prova globale. “THE GAME” è un brano d’attacco che inizia
dopo un intro sinfonico. Un brano Power metal pieno, enfatico e fortemente
dinamico in cui la linea cantata pur essendo orecchiabile è decisamente rock.
Il pezzo più bello, insieme alla title-track, di questo lavoro. “BLACK NIGHT OF
MAGIC” possiede un arrangiamento morbido (soprattutto per via delle tastiere),
ma invece è duro e pressante. Resta nella scia del metal classico, con una vicinanza
a cose dei finlandesi Sonata Arctica, anche nella base ritmica. “BETRAYAL” è un
brano dal tempo medio con vari inserti sinfonici. Una bella traccia dall’ampio
respiro, niente affatto scontata. Si percepisce un tono serioso e d’atmosfera. “NO
ESCAPE” è un brano assimilabile a “Betrayal” per le sue aperture atmosferiche,
sebbene più fresco e frizzante. Bel ritornello melodico. Assolo chitarristico
classicheggiante. “NOVUM INITIUM” possiede minimi connotati progressive, ed è
qui il lato di maggiore ampiezza espressiva della band. Il pianoforte iniziale
aiuta ad entrare in tale atmosfera ma lo fa anche l’assolo tastieristico. La
voce qui si fa talvolta diversa, più aspra e oscura; ancora più che in altri
parti si sente Ronnie James nella tipologia vocale. Non è una song lineare, ma
si diverte a diversificarsi. Davvero una
perla artistica, una minisuite di 10 minuti, che insieme a “The game” crea la
coppia stupenda di questa opera. “FEAR THE SILENCE” chiude l’album con durezza
e afflato scuro. Brano lineare che si basa su di un riff ossessivo e sulla
linea vocale intensa. Unica pecca l’”Aaah Aahahah” del ritornello che
assomiglia a qualcosa, a qualche pezzo di brano altrui. Parliamo di un metal
robusto bene innestato sull’Hard Rock di fine anni ’70 e inizio anni ’80,
quello di scuola Ronnie James Dio o David Coverdale; che appare di qualità se
si avvicina al primo, meno se si avvicina al secondo. Infatti lo stile di
Coverdale è utilizzato nelle song più ruffiane ma proprio per questo meno
personali, finendo per creare brani standardizzati e quindi minori. La voce è
sempre maschia e si muove con grande professionalità ma anche passionalità.
Grande chitarra di Roland Grapow, sia per la ricerca dei riff nei pezzi
migliori, sia per i begli assoli (del resto egli è il leader). Certo senza
Blackmore, Dio e i Rainbow, i Masterplan non sarebbero esistiti: ma siccome
loro non esistono più (Blackmore suona tutt’altro), i Masterplan ne sono degni
successori. Il titolo dell’album concerne la sostituzione dei membri di formazione
che non si è limitata a quella del singer, ma che comprende anche il bassista
con l’acquisto di Jzari Kainulainen (ex-Stratovarius), e il batterista con
l’acquisizione di Martin Skaroupka (ex-Cradle Of Filth). Un disco bello e a tratti originale.
L’arrangiamento è ottimo, cerca sempre arricchimenti sonori e passaggi
efficaci. Sky Robertace Latini
***
“STEELHAMMER” Udo
(Germania) – 2013
Al
quattordicesimo album della sua carriera solista l’ex-cantante degli Accept
fulgidamnente propone il suo classico stile senza cercare rinnovamenti, se non
qualche schizzo di novità qua e là. Mettendo un titolo supermetallaro (martello
d’acciaio), il roco singer ci dice già quali sono le sue intenzioni, anche se
poi troviamo anche due ballate, una molto sdolcinata. “BASTA YA” non è
propriamente una canzone alla Udo, soprattutto perché cantata in spagnolo, ma è
uno di migliori brani grazie a una linea vocale ed ad un ritornello azzeccati e
immediati, sostenuti da una ritmica cavalcante fluida. Brano anche epico se
vogliamo, ma che sfila leggero e semplice pur proponendo una forza intrigante. “DEVIL’S
BITE” inizia con una tastiera elettronica, ma per il resto è compatta e
chitarristicamentedistorta. Brano middle-time dall’atmosfera sulfurea. Cori pirateschi
e assolo decorato da effetti (sebbene non virtuosistico) arricchiscono
l’ascolto atmosferico. “DEATH RIDE” è uno dei pezzi che al suo interno cambia
maggiormente velocità. Il ritornello
sostenuto dal coroe l’assolo di
chitarra stanno nella parte veloce mentre il resto è sul tempo medio. Risulta
tra i migliori del disco. “TIMEKEEPER” prosegue le fila del ritmo medio.
Presenta una atmosfera scura indirizzandosi verso un andamento oppressivo. “TAKE
MY MEDICINE” vira verso una Priestiana interpretazione tipo “You’ve got another
thing comin’”. Cadenzata e martellante rimane nel middle-time; è nell’assolo
che diventa qualcosa di più, in una espressione solistica divisa in due parti:
la prima spumeggiante e la seconda sinuosa e particolare. “STAY TRUE”
finalmente torna veloce con una quasi Manowariana tirata. Leggermente epica,
asciutta ma dinamica, con l’assolo che anche qui dona quel tocco che fa la
differenza, esprimendosi in modo sufficientemente articolato. Perfetta per
essere eseguita live. “BOOK OF FAITH” è la traccia maggiormente originale. Usa
un suono da film di 007, poi continua con tono marziale, e termina in maniera
quasi solenne con le tastiere evocative (un finale un po’ semplicistico ma
comunque d’effetto, anche se io vi avrei aggiunto un lungo assolo). Ritroviamo
il ritmo medio. La voce rimane aspra e acutamente cartavetrosa come sempre. I
brani d’impatto che iniziano l’album in realtà sono i più scontati e quindi
mediocri. Il meglio arriva dopo, con le composizioni meno dirette. In tutto il
lavoro prevale un metal quadrato nonostante due ballate che ammorbidiscono
l’insieme (in realtà “Heavy rain” si discosta totalmente dal sound di Udo,
infilandosi in una canzonetta alla Frank Sinatra che però, grazie alla voce
roca, diventa una cosa interessante). La critica si è divisa tra promozioni e
bocciature, diciamo che Udo ha saputo anche fare di meglio, ma io promuovo, e
pure con un buon voto, dato che trovo assolutamente non spersonalizzato il suo
sound. Eccetto tre pezzi leggermente anonimi, per il resto si denota una
ispirazione ancora produttiva. Il lavoro è solido; forse non incendiario (del
resto i brani meglio riusciti sono quellli meno veloci), forse non deflagrante,
ma visto che si è preferito il lato cupo e raccolto, quest’ultimo è riuscito ad
intrigarmi e a farmi venire vogli di rimettermi al suo ascolto. Sky Robertace LATINI
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(Carl Gustav Jung)
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