Il sondaggio sulle ‘quote rosa’(“Come deve essere considerato l’istituto delle ‘quote rosa’, ovvero le quote minime di presenza femminile?”), effettuato da questo blog, ha avuto il seguente esito:
RISPOSTE
Positivamente. Assicura la presenza femminile negli organi e nelle istituzioni, garantendo analisi, sintesi e punti di vista nell'ottica delle differenze di genere..........25, 7 %
Positivamente. E' un buono strumento per correggere il radicato e storico monopolio maschile nelle istituzioni e negli organismi che regolano la vita sociale e politica..........25, 2 %
Negativamente. In concreto è una riserva di posti, come quella prevista a favore di categorie “protette”..........24,7 %
Negativamente, se l'incarico viene conseguito esclusivamente per identità biologica e non per reali capacità individuali..........24,4 %
(RR)
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Ieri si è concluso il sondaggio sulle “quote rosa” e mi viene spontaneo fare un’analisi dei risultati, essendo questo un argomento che mi appassiona molto. Probabilmente ripeterò alcuni concetti già espressi nel precedente post relativo alla Lectio Magistralis di Chiara Saraceno ma ciò si rende necessario per comprendere in pieno la mia analisi. Le quattro opzioni del sondaggio e le relative percentuali di voto, al di là dei due avverbi iniziali positivi o negativi, hanno una loro fondatezza di base condivisa da molti. Considerando le quattro opzioni in un’ottica di dialettica costruttiva posso dire che nel loro insieme fotografano il reale panorama del controverso e spinoso tema delle quote rosa. Da parte mia posso dire che non amo questo termine come non amo il termine pari opportunità. Preferirei, se fosse possibile, parlare di ottica di genere. L’espressione pari opportunità, inizialmente relativa alla parità politica e sociale tra i due generi, si è estesa poi ai vari ambiti e ormai si riferisce a tutta la normativa volta a qualsiasi forma di discriminazione. Le cosiddette quote rosa fissano un numero minimo di donne nella formazione delle liste elettorali. A prima vista questa opzione può assumere i connotati di una sconfitta culturale e sociale, rischiando di mortificare la dignità e la libertà delle donne che appaiono “protette” in virtù del loro sesso e non del loro merito. Ma l’impietosa realtà dei numeri nella politica e nell’economia nel nostro Paese impone una seria riflessione e dimostra la necessità di provvedimenti ed azioni che rendano le quote di genere uno strumento valido e prezioso. Voglio citare una dichiarazione della responsabile del governativo Centro per le pari opportunità aziendali in Norvegia, che ha evidenziato i vantaggi delle quote rosa al 40% nei consigli d'amministrazione delle società quotate in Borsa. «Le donne introdotte nei board erano super-qualificate, più degli uomini sostituiti; di conseguenza, gli altri consiglieri uomini sono stati scelti necessariamente di un livello superiore a quello pregresso, per stare al passo con le ottime competenze femminili. Ciò ha provocato un innalzamento della qualità complessiva dei board, con benefici diretti per le aziende. Le quali hanno risposto a un sondaggio governativo promuovendo a pieni voti le loro componenti di board». Tutto questo per dire che l’istituto delle quote rosa può apportare significative riforme strutturali nelle politiche e nelle prassi della vita sociale ed economica del Paese. E’ necessario però, a mio avviso, assumere una prospettiva completamente nuova partendo dal presupposto che la questione femminile va ben oltre l’ambito della pari opportunità in senso stretto poiché riguarda contestualmente tutti i settori e per questo motivo deve seguire un approccio trasversale a tutte le politiche pubbliche. Uomini e donne svolgono ruoli diversi, con aspettative ed opportunità diverse. I nostri sistemi sociali invece si comportano in modo uguale nei loro confronti, senza tener conto dei fattori che derivano dalla loro diversità ed in questo modo perpetuano le disuguaglianza fra i due generi. Appare ancora una volta necessaria ed improcrastinabile l’assunzione di un’ottica di genere, con cui analizzare ed affrontare le condizioni e le esigenze delle donne e degli uomini, evidenziandone le differenze legate al genere.
Chiudo queste prime riflessioni sull’argomento, riportando la definizione del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), durante la Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, tenutasi a Pechino nel 1995, l’ottica di genere é "[…] a strategy for making the concerns and the experiences of women as well as of men an integral part of the deisgn, implementation, monotoring and evaluation of policies and programmes in all political, economic and societal spheres.", cioé una strategia per far sì che i punti di vista e le esperienze delle donne, come quelle degli uomini siano una parte integrante per il progetto , la realizzazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche e dei programmi in tutte la sfere politiche, economiche e sociali. CHIARA PASSERELLA
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