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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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97. BRITISH RENAISSENCE di Cristina Giacometti
Il 26 agosto scorso è uscito nelle sale italiane il film del regista Shane Meadows “This is England”, racconto di formazione ambientato nell’Inghilterra degli anni ’80. Il film esce in Italia con cinque anni di ritardo mentre il regista, con gli stessi personaggi, ha nel frattempo realizzato anche una serie Tv “This is England’86”. Non scriverò nulla su questo film che ancora non ho visto, ma colgo l’occasione per una carrellata sulla British Film Renaissance, ossia la rinascita del cinema inglese sotto e contro la ‘lady di ferro’ Margaret Thatcher. E’ vero che in periodi di particolare oppressione politica, l’arte dovrebbe conoscere momenti di grande spinta emotiva specialmente quando si propone come un “andare contro” e viene in mente il Welles di Il terzo uomo: “In Italia per trecento anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo e Leonardo. In Svizzera vivevano in amore e fratellanza, hanno avuto cinquecento anni di pace e democrazia. E cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Fatto sta che durante l’era Thatcher gran parte del cinema, della musica, della letteratura della terra d’Albione è uscita fuori in tutta la sua carica polemica nei confronti di chi la governava. Erano gli anni del Red Wedge, degli scioperi per i minatori, per i dockers, contro la clause 28 (che restringeva i diritti degli omosessuali); gli anni degli Smiths, dei Redskins, degli Style Council, dei Communards, degli Housemartins, di Billy Bragg, solo per citarne alcuni; e anche nel cinema veniva fuori una nuova tendenza politicamente “scorretta” che rispondeva ai nomi di Ken Loach, Mike Leigh e Stephen Frears. Come spiega Emanuela Martini nei suoi saggi dedicati all’argomento, per capire la congiuntura economica all’origine della rinascita del cinema inglese bisogna sommare molteplici fattori: il successo di iperproduzioni come Gandhi e le Urla del silenzio, la legge fiscale che prevedeva detrazioni per il denaro investito nella produzione cinematografica, la necessità di cinema medio per il mercato delle videocassette e la centralità di Channel 4, neonata rete che gira il budget dedicato alla fiction alla produzione di film da proiettare prima nelle sale cinematografiche. La Gran Bretagna partorisce così un cinema eclettico di altissima qualità che spazia dal folgorante strutturalismo di Peter Greenaway alla demenzialità iconoclasta dei Monty Python, dai dilanianti quadri autobiografici intrisi di sofferto cattolicesimo di Terence Davies ai bagliori sperimentali di Derek Barman. Personalmente, se dovessi scegliere un film emblema di quegli anni non potrei però prescindere dal film di Stephen Frears My Beautiful Laundrette del 1985. Il film (il cui titolo, tradotto letteralmente, significa "la mia bella lavanderia") è nato come spunto autobiografico di Hanif Kureishi, scrittore anglo-pakistano. La storia si svolge nello stratificato ed allucinante tessuto urbano della Londra anni Ottanta, in pieno thatcherismo, infuocata da una miscela esplosiva: disoccupazione, emigrazione, emarginazione, droga, violenza, arrivismo, prostituzione, racket degli alloggi, razzismo. In questo contesto, dove difficilmente i rapporti umani possono essere paritari e dove appare impossibile programmare un domani, Omar e Johnny appaiono quasi degli eroi, anche se senza futuro. Il progetto della lavanderia, che finirà in un sogno infranto (né potrebbe essere differente), è il punto d'incontro per i due ragazzi che li fa conoscere e li fa lottare per qualcosa. Il loro rapporto, tenero e sofferto, è in realtà l'unica cosa positiva del film, che trova il suo punto di forza proprio nella naturalezza e nella mancanza di moralismo con cui ci fa vivere il loro sentimento, senza alcuna connotazione di diversità. Pur molto diversi tra di loro - Omar è un pakistano ambizioso e volitivo, l'altro è un sentimentale punk e neo-nazista - i due si innamorano, riuscendo a sposare due filosofie, opposte ma complementari: quella del padre di Omar, la cultura e la sensibilità, e quello dello zio di Johnny, il senso del danaro. My Beautiful Laundrette non è uno dei film più esplicitamente politici del periodo ma riesce in maniera originale a rendere l’atmosfera del tempo. La rabbia giovanile che cercava in ogni modo di far capire che, nel bene o nel male, erano proprio i giovani a doversi sobbarcare quel futuro che ai loro occhi si faceva di giorno in giorno più cupo. La crudezza delle ambientazioni ospita dialoghi scintillanti, l’impegno sociale si mescola alla commedia, ridere non è solo un privilegio borghese.Il film, che forse oggi può risultare un po’ datato, ebbe un successo eccezionale (fu, tra l’altro girato in 16 millimetri) più per la storia doppiamente “diversa” (un amore omosessuale, per giunta tra un pakistano ed un ex neo nazista) che per la sua verve politica. Eppure anche a riguardarlo oggi, My Beautiful Laundrette conserva una freschezza che lo fa sembrare una favola di scottante attualità. CRISTINA GIACOMETTI
FILMOGRAFIA ESSENZIALE
PRANZO REALE di Malcolm Mowbray
IL GIORNO DELLE OCHE di Richard Eyre
LETTERA A BREZNEV di Chris Bernard
RITA, SUE E BOB IN PIU’ di Alan Clarke
SAMMY E ROSIE VANNO A LETTO di Stephen Frears
SHAKESPEARE A COLAZIONE di Bruce Robinson
BELLE SPERANZE di Mike Leigh
RIFF RAFF. MEGLIO PERDERLI CHE TROVARLI di Ken Loach
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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI
(Michael Ende)
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