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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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98. CHIARA SARACENO : LECTIO MAGISTRALIS “BISOGNI E RESPONSABILITÀ DI CURA. NON SOLO UNA QUESTIONE DI GENERE” di Chiara Passarella
Non so se questo mio post può risultare prematuro o fuorviante a 22 giorni dalla scadenza del nostro sondaggio sulle “quote rosa” ma stamattina, leggendo i giornali ed in particolare l’articolo apparso su “La Repubblica” a firma di Chiara Saraceno dal titolo “Il prezzo maggiore pagato dalle donne” mi è tornata in mente la Lectio Magistralis “Bisogni e responsabilità di cura. Non solo una questione di genere” che la Prof.ssa Saraceno ha tenuto il 26 maggio 2009 presso l’Università degli Studi di Torino e mi è venuto spontaneo fare alcune riflessioni. Tralascio il merito specifico dell’articolo apparso oggi su “La Repubblica” (chi vorrà potrà leggere l’articolo e valutarlo come meglio crede), ma entro subito nello vivo delle mie riflessioni che comprendono l’ambito più generale di alcuni modelli culturali e sociali del mondo contemporaneo. Se analizziamo le quattro opzioni del sondaggio possiamo con chiarezza verificare che tutte e quattro, al di là dei due avverbi iniziali positivi o negativi, sono reali e veritiere. Quindi in prima ipotesi potremmo dire tutto e il contrario di tutto. Ma superando l’impatto iniziale e più superficiale e considerando le quattro opzioni in un’ottica di dialettica costruttiva e senza paraocchi, possiamo scoprire che nel loro insieme riuniscono quello che è il reale panorama di questo controverso e spinoso tema delle quote rosa. Da parte mia posso dire che non amo questo termine come non amo il termine pari opportunità. Preferirei, se fosse possibile, parlare di ottica di genere. L’espressione ‘pari opportunità’, inizialmente relativa alla parità politica e sociale tra i due generi, si è estesa poi ai vari ambiti e ormai si riferisce a tutta la normativa volta a qualsiasi forma di discriminazione. Il dibattito su queste politiche è tuttora molto acceso. Le stesse “azioni positive” intese come strumento centrale nelle politiche di pari opportunità, rischiano di trasformarsi in “azioni negative” con l’aggravante che in alcuni casi sono sancite anche per legge. Un esempio le cosiddette quote rosa che fissano un numero minimo di donne nella formazione delle liste elettorali. In questa ottica tale azione positiva può assumere i connotati di una sconfitta culturale e sociale, per la quale si cerca un rimedio e al contempo si rischia di mortificare la dignità e la libertà delle donne che appaiono “protette” in virtù del loro sesso e non del loro merito: il messaggio che ne deriva può risultare negativo e distruttivo del valore della persona e del suo impegno, al di là che sia uomo o donna, giovane o anziano. Rimane comunque il fatto che tale istituto ha rappresentato in passato la manifestazione di un tentativo evolutivo e di mutamento sociale. Ora invece è necessario, a mio avviso, assumere una prospettiva completamente nuova partendo dal presupposto che la questione femminile va ben oltre l’ambito della pari opportunità in senso stretto poiché riguarda contestualmente tutti i settori e per questo motivo deve seguire un approccio trasversale a tutte le politiche pubbliche. Uomini e donne svolgono ruoli diversi, con aspettative ed opportunità diverse. I nostri sistemi sociali invece si comportano in modo uguale nei loro confronti, senza tener conto dei fattori che derivano dalla loro diversità ed in questo modo perpetuano le disuguaglianza fra i due generi. Appare ancora una volta necessaria ed improcrastinabile l’assunzione di un’ottica di genere, con cui analizzare ed affrontare le condizioni e le esigenze delle donne e degli uomini, evidenziandone le differenze legate al genere. Secondo la definizione del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), durante la Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, tenutasi a Pechino nel 1995, l’ottica di genere é "[…] a strategy for making the concerns and the experiences of women as well as of men an integral part of the design, implementation, monitoring and evaluation of policies and programmes in all political, economic and societal spheres.", cioé una strategia per far sì che i punti di vista e le esperienze delle donne, come quelle egli uomini siano una parte integrante per il progetto, la realizzazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche e dei programmi in tutte la sfere politiche, economiche e sociali.
L’ottica di genere è quindi una metodologia più che un insieme di contenuti. Essa permette di ridurre la discriminazione tra i sessi e di diminuire le differenze di impatto che politiche, a prima vista neutrali, hanno sulle donne e sugli uomini, proprio attraverso la considerazione della diversità dei loro bisogni ed obbiettivi, attraverso l’analisi delle loro attività ed attraverso l’osservazione delle ricadute che determinati interventi possano comportare sugli uomini e sulle donne. Assumere un’ottica di genere significa perciò analizzare ed agire in un qualunque contesto, sia esso il welfare, il lavoro, la politica, l’istruzione, la medicina, l’economia etc., secondo una prospettiva in grado di cogliere le diverse specificità ed i diversi bisogni di entrambi i generi e programmare interventi opportuni per entrambi, offrendo a tutti le stesse opportunità e rendendoli fruitori degli stessi benefici. Partendo dal presupposto che l’ottica di genere favorisce una cultura delle parità, centrata sulla valorizzazione delle differenze tra uomo e donna, la questione non riguarda solo le donne ma impone una rilettura critica delle tradizionali rappresentazioni sociali sui concetti di femminilità, di mascolinità, sui ruoli a loro imposti, per combattere stereotipi e pregiudizi, per valutare in modo nuovo ed intervenire su nuovi bisogni relativi all’ambito familiare ed anche nella gestione di nuovi conflitti come quello nell’ambito lavorativo e socio/economico. La vera sfida perciò consiste nel riuscire a dimostrare che la questione della parità non è una lotta a vantaggio delle donne, ma che tutti possono star meglio in una società che rispetti le differenze e le esigenze diversificate degli individui. La cosiddetta questione femminile, nella misura in cui propone una rilettura critica dell’esistente, diventa paradigmatica per tutti gli altri fenomeni sociali ed è, al tempo stesso, il presupposto per il bene della collettività. Per questo deve diventare premessa ad altre riforme, perché, per le sue ricadute in termini di equità, di democrazia, di equilibrio tra le varie componenti sociali ed anche di economicità per una migliore razionalizzazione delle risorse, riguarda appunto l’intera società. La stessa questione della conciliazione tra il lavoro retribuito e quello di cura della famiglia non riguarda solo le donne, ma tutta la società e la politica, non solo per una divisione più equa dei compiti tra uomini e donne, ma anche per affrontare in modo istituzionale un problema non più gestibile solo a livello familiare, sia per il progressivo aumento del numero degli anziani rispetto al numero dei giovani, sia per l’immissione delle donne nel mercato del lavoro. La questione della conciliazione diventa infatti socialmente rilevante quando, come sta avvenendo oggi, risulta difficile conciliare individualmente i tempi lavorativi con quelli della famiglia, per cui viene avanzata progressivamente una richiesta di “socializzazione della cura” perché il sistema si faccia carico delle nuove esigenze soprattutto in presenza di bambini e di anziani da accudire. Come giustamente afferma Chiara Saraceno (Bisogni e responsabilità di cura. Non solo una questione di genere:
“la questione della cura, di chi ne ha bisogno, di chi può e/o deve darla, di come sia il bisogno di cura che la disponibilità a darla, vengano riconosciuti a livello della organizzazione sociale e nell’assetto dei diritti di cittadinanza”. Chiudo questo post, mettendo in evidenza come una lettura di genere, relativa all’ impatto dell’attuale crisi economica, possa offrire un importante contributo di conoscenza per l’individuazione di politiche serie ed efficaci. Ci sarà occasione in futuro di trattare sia questo argomento che quello dell’uso dei “bilanci di genere” nelle politiche pubbliche. CHIARA PASSARELLA
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