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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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101. RECENSIONI 2011 di Roberto Latini


The HARD ROCK BLUES and the BLUES
Nello stesso anno (2011) due band stampano due dischi che fanno l’identica musica. Lo stile è quello classico dei Whitesnake, solo che uno dei gruppi si chiama Voodoo Circle e l’altro proprio Whitesnake. I primi sfornano “Broken Heart Syndrome” e i secondi “Forevermore”. Le canzoni più belle? Sono quelle dei Whitesnake naturalmente, del resto furono loro gli innovatori (David Coverdale e parte dei Deep Purple fondarono il Serpente Bianco). Ora della vecchia formazione c’è rimasto solo il cantante David, dal timbro caldo personalissimo, la cui classe è vocale è caratteristica principale del sound che propone. Ma i V.Circle posseggono un singer che spudoratamente è in grado di eguagliarlo e sa dare anima ad ottime canzoni, per cui le più belle di “Broken Heart Syndrome” sono migliori delle minori di “Forevermore”. Se prendessimo le migliori dei V.Circle e le mettessimo insieme al meglio dei Whitesnake, avremmo un disco super, e sembrerebbe un unico gruppo.  Che tipo di Metal fanno? Un Hard Rock settantiano (con sprazzi di ottanta) molto legato alle radici blues. Si sentono i Deep Purple (del resto Coverdale vi ha militato), ma molte sono le affinità coi Led Zeppelin. Le modalità sonore risultano suadenti, quasi ruffiane, molto ammiccanti ed efficacemente emozionali, senza mai cadere nel commerciale. La voce soprattutto, ma anche la chitarra solista, posseggono un pathos intenso che proprio i Whitesnake hanno perfezionato al meglio nel loro Hard Rock mai freddo, prediligendo toni corposi a toni taglienti. Una leggera differenza tra i due dischi è che i Whitesnake tendono più a Ledzeppelizzarsi, mentre i Voodoo C. si accostano maggiormente ai Deep Purple di Coverdale; ma essendo la voce la linea guida, la cosa non è estremamente evidente. Un’ultima nota: siccome ormai David è vecchio (classe 1951…) dal vivo la sua voce non è più all’altezza; probabilmente ….dei Voodoo C., in concerto potrebbe batterlo, ma lunga vita ai dischi da studio del Maestro Coverdale, spero che continui a registrare a lungo. Lo stile alla Whitesnake è comunque soprattutto Hard Rock; non si tratta di Blues, sebbene sia Hard bluesizzato. Ma il Blues quasi puro è ancora suonato. In passato Gary Moore, chitarrista Heavy Metal, tornò ad esso, il suo primo amore, sfornando dischi però molto elettrici, pompati con influenze dure. Ed è il blues che preferisco. Quest’anno Warren Haynes se ne esce con un altro dei suoi lavori dove il blues è più legato a schemi rock non Hard, anzi, con suoni molto morbidi e carezzevoli, solo leggermente eccitati da momenti più frizzanti (soprattutto quando sono presenti gli strumenti a fiato, o quando il blues si fonde con il jazz). Ci sarebbe voluto poco a renderlo più aggressivo, ma l’autore non ha voluto farlo preferendo il passato più Claptoniano rispetto a quello più ritmico, per rimanere appunto nel blues e non sconfinare nel rock.


 “BROKEN HEART SYNDROME” dei Voodoo Circle (2011)

membro Primal Fear ?
 Una vera sfida fare uscire questo album nello stesso anno di quello dei Whitesnake. I Voodoo Circle suonano infatti un Hard Rock d’annata che rifà fortemente il verso a Coverdale, sia nella voce di….che nella sonorità generale dei pezzi, con un periodo anni ’70-’80 che va dai Deep Purple post-Gillan ai Whitesnake super caldi. Chi vince? Nessuno, possiamo parlare per entrambi di buona musica. Io ho preferito quella dei Whitesnake per una punta in più di ampiezza riguardo al pathos e alle atmosfere, ma anche loro hanno peccato con qualche brano troppo povero.  Brooken Heart Syndrome è un disco pieno. Pieno di suoni e pieno di energia, pieno di emozionanti passaggi. Preferisco i brani meno veloci, anche se quelli veloci sono estremamente stimolanti, però forse usano accordi meno originali. Non sono d’accordo con chi ha criticato gli assoli di chitarra, io li ho trovati ben costruiti.  “NO SOLUTION BLUES” grida i “Babe babe babe” come se fossimo in Stormbringer  dei Deep. Non può essere un caso. Il cantante.:…vuole proprio essere Coverdale. Ma riff, assoli, ritmo, voce: tutto è pompato al punto giusto. Questo è un brano tirato che avvolge prepotentemente l’ascoltatore trascinandolo nel caldo gorgo rock. “KING OF YOUR DREAMS” usa un riff iniziale che ricorda Blackmore nei Deep Purple anni 80 (“Perfect stranger”) ma la voce è ancora Coverdale. Poi si cambia con un riff anch’esso già sentito, ma la musica sopra è un brano nuovo di zecca…molto emotivo. Mid-time e chitarra risultano fluidi e sono sabbie mobili che catturano le mie orecchie donando loro grande piacere. Se la voce fa di tutto per essere vecchio stile, lo fa anche la chitarra svolgendo un assolo bellissimo con le note tirate come faceva quel grande Blackmore di un tempo. “DEVIL DAUGHTER” non vuole portare l’album su lidi più moderni, anzi si getta con decisione nel solco dell’album deeparpoliano “Come taste the band” del ’76, dove Blackmore non c’era. E’ il basso a fare il verso a “You keep on moving”, l’atmosfera è quella. Ma il brano no. La ricetta è una serie di accostamenti noti, ma che creano un brano tutto specifico, senza diventarne uno già esistente, si tratta davvero di tutt’altro. Riesce ad essere entusiasmante nonostante alcuni momenti di già sentito, se non è capacità compositiva questa. Ganzo il pezzo strumentale centrale tra l’intimistico e il graffiante.   “THIS COULD BE PARADISE” possiede una verve più orecchiabile ma l’arrangiamento è compatto e virtuoso. Adatto ai concerti con headbanging incorporato. Assolo veloce lontano dallo stile di Blakmore, ma stavolta un po’ troppo anonimo e breve.
“BROKEN HEART SYNDROME” è un classico mid-time a cui i Deep Purple erano avvezzi. Stile poi prolungato nei Rainbow e poi utilizzato da Ronnie James Dio. Linea vocale davvero bella, corposa e piena di pathos. Come spesso accadeva in Blackmore, si percepisce una sfumatura orientaleggiante che nell’ascolto dell’assolo chitarristico si accentua. “WHEN DESTINY CALLS” non aumenta la velocità perché è ancora un denso brano mid-time, ma leggermente più dinamico. L’interpretazione vocale è accattivante e rimane di alto livello. Il resto dell’album sta ad un piano inferiore, anche se di poco, rimanendo infatti divertente e gustoso. Stranamente il meglio sfila tutto sui primi sei pezzi, gli altri sette però ascoltateli che vi fa bene.  Potremmo avere dei pregiudizi verso questa band, visto che gli originali hanno più diritto a rimanere se stessi, di quanto ne abbiano gli altri a copiare lo stile, ma se le canzoni sono belle bisogna ricordarsi di ammetterlo. La prova è stata ottima, aspetto al varco il loro terzo lavoro.


 “FOREVERMORE”   Whitesnake (2011)

Il “Serpente Bianco” è ormai un monumento Heavy Blues intoccabile, e se dopo tanti anni (dal 1978 per la precisione) ancora sforna musica così eccitante, significa che sono entrati nella categoria dei maestri. Del resto parliamo di David Coverdale che ne è il cantante ed il leader, e che è stato negli anni ’70 il terzo singer dei Deep Purple. Il genere è rimasto quell’Hard Rock caldo degli inizi, naturalmente da molti anni rinvigorito da chitarre e distorsioni modernizzate e più taglienti. “ALL OUT OF LUCK”, dal ritmo mid-time, in stile Led Zeppeliniano, sforna un ritornello catchy e fa roteare il bacino a tutti gli ascoltatori. Coverdale è suadente e l’assolo di chitarra fluido, frigge ed elettrizza, rendendosi necessario alla struttura della canzone. Infatti la parte che hanno gli strumenti è pari, se non superiore, a quella che ha la voce. Si esprime forza.  “EASIER SAID THAN DONE” ipnotizza e ti attira nella sua leggerezza. Strano che un brano così frivolo riesca a piacermi tanto. E’ una ballata bluesata, orecchiabile e commerciale, tutta incentrata sulla linea vocale, quindi fondamentale risulta solo la melodia. Brano semplice ma così gustoso da non volersene staccare.  Un altro bel mid-time (ma i Whitesnake non spingono mai eccessivamente sull’acceleratore) è “TELL ME HOW”, in cui si trova un'altra succosa interpretazione di Coverdale, delicata e sinuosa. Atmosfera densa, hard rock di classe. Assolo chitarristico veloce, semplice ed efficace, che ivi sostiene una ugola alla Robert Plant. “DOGS IN THE STREET” suona forse come il brano più metal del lotto. Coverdale canta secco ed essenziale, sostenuto da un coro street/glam. Ritmica serrata, giusta per far saltare senza sosta, e assolo di chitarra che fuma. Quando si arriva a “FARE THEE WELL”, si entra in una vera e propria ballata, ma più che sullo stile hard rock, si viaggia su puro rock alla Rod Stewart in cui la voce roca di David è quasi irriconoscibile. Ma è costruita bene, per una chitarretta country gentile, tappeto tastieristico che ammorbidisce il tutto con ruffianeria, e soprattutto una melodia irresistibile e fresca che afferra il fruitore carezzandolo. Un gran bel pezzo, anche se di stampo “antico” (ci si possono associare anche gli stili di Peter Criss (il “gatto” batterista che cantava nei Kiss qualche pezzo, oltre ad aver affrontato una sua propria carriera solista) e di Springsteen.  A tutti gli effetti “MY EVIL EYES” è un hard rock’n’roll che un po’ fa venire in mente i Van Halen, soprattutto per la chitarra. Molto elettrico e scatenato, contiene una qualche prevedibilità ma è costruito bene e non delude. “FOREVERMORE” è invece un brano fuori contesto. Nel senso che, pur stando dentro canoni molto Led zeppeliniani, non segue strettamente l’umore di tutto questo disco; mentre infatti per lo più esso è scanzonato o scatenato, ma comunque diretto, “Forevermore” è più mesta e d’atmosfera intimista. In realtà alza il valore dell’opera. L’inizio della song ricorda appunto le partiture folk acustiche dei Led, e poi si procede rimanendo nel solco magico di tale gruppo storico anche per la voce e la batteria. Quando passa dalla parte morbida a quella più dura, ciò avviene a cura dell’assolo di chitarra, il quale è immerso in tastiere dagli accordi orientaleggianti. Concludendo, l’album è bello. Forse non tutto ci fa rimanere a bocca aperta, essendo a volte Coverdale troppo fedele al proprio passato; però il cuore c’è, si sente, e anche la tecnica e l’ispirazione compositiva che ancora oggi supera quella di tanti giovani metal kid. Quando i maestri difficilmente vengono superati dagli allievi (e gli allievi stampano ottimi dischi…vedi Voodoo Circle di questo stesso anno), e Coverdale rimane il più sexy di tutti, nonostante i suoi sessanta anni.


 “MAN IN MOTION”      Warren Haynes     (2011)

Un disco scritto con precisione chirurgica, senza contenersi né eccedere. Livello alto ma non altissimo. Dire che l’anima di Eric Clapton non sia presente è impossibile, ma qui Warren vuole essere lui la “mano lenta”. “RIVER’S GONNA RIDE“ ritmata e tonica, viene ammorbidita dalle tastiere ma la chitarra possiede il suono chiaro e intraprendente, che si elettrifica in crescendo. Una canzone rock bluesata. “EVERYDAY WILL BE LIKE A HOILDAY” è una ballata blues proprio alla Clapton. Si sveglia con l’assolo di chitarra, e alla parte cantata non resta che accontentarsi di essere una decorazione. “YOUR WILDEST DREAMS” è uno dei pezzi più blues e più tradizionale del disco. Una ballata dove tastiera e pianoforte vincono sulla chitarra; poi partono gli assoli, quelli di sassofono,brevi ma intensi. La linea vocale occupa la maggior parte dello spazio, ma se lo avessero occupato gli assoli sarebbe stato meglio. “ON A REAL LONELY NIGHT” prende un po’ di ritmo, ma anche se alza il tono rispetto alle ballate, rimane un brano pacato. Chitarra e tastiera prendono parte alla ritmica ma è il ritornello a farla da padrona aumentando la dinamicità del tutto, almeno fino a quando non partono i fiati con la chitarra che si si insinua tra le parti degli strumenti a fiato. Tale parte solista risulta molto originale ma meno blues e più jazz; essa dura molto e non fa tornare la parte cantata fino alla fine. “HATTIESBURG HUSTLE”, accattivante e fluida, pone l’accento sul lato rock di questo musicista. La voce risulta leggermente più calda e per un attimo si lascia andare a toni un po’ aggressivi, ma è solo un attimo appunto. Anche la chitarra solista prova a salire verso un carattere più duro riuscendo a vivacizzare la composizione, segno che la capacità di essere più sferzante c’è, abbiamo capito che ….cerca appositamente di limarla. “A FRIEND TO YOU” inizia con un sassofono tonico per poi lasciar partire chitarra e tastiere morbide. Pop rock blues ben fatto con inserti di chitarra gustosi. “TAKE A BULLET” strizza l’occhio al blues soul funkeggiante, sulla linea dei Blues Brothers. Uno dei pochi pezzi più dinamici dal tipico ritmo, adatto al movimento e al dondolamento. La chitarra c’è, bella, ma c’è anche un sassofono. Poteva essere tutto più dinamico ed eclettico? Poteva, ma il musicista si è “accontentato” di suonare pezzi perfetti senza sbavature. Volere di più è come chiedere cola-cola alla sorgente di un limpido ruscello; la schiuma non c’è ma l’acqua ribolle lo stesso sui sassi. La sua voce non è molto piena di pathos (ma non lo era neanche Clapton), del resto la maggiore intensità è incentrata sugli strumenti, fiati quando ci sono, e soprattutto chitarra. Ma spesso la chitarra fa il proprio lavoro senza esagerare e non so se sia un bene. Si vive un’atmosfera blues/rhythm’n’blues su cui si pongono anche ispirazioni rock, jazz e soul, ma chi si aspettasse velocizzazioni deve ricredersi, tutto l’album è giocato su toni moderati e controllati; anche le distorsioni sono rarefatte. La tecnica prevale sull’emozione anche se esiste pure quest’ultima. La struttura compositiva vince sul virtuosismo. Disco di classe, godibilissimo, anche se c’è poca novità. Del resto Warren (statunitense classe 1960) sta in giro dal ’90 con la Allman Brothers Band e dal ’95 con i Gov’t Mule (e poi anche con i Dead), senza contare gli altri dischi solisti, il suo tempo dell’originalità è terminato, ora se la gode tranquillamente, suonando di gusto.  ROBERTO LATINI

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