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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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90. RECENSIONI 2011 di Roberto Latini

LINE OF FIRE - Danger Zone  (2011)

Non si trova alcuna sorpresa in questo album di un gruppo storico anni ’80 del panorama italiano (Bologna) che ha prodotto il suo primo lavoro nell’84 (un EP). Chi cerca energia frizzante o una carica emotiva forte resterà deluso. Un buon Hard Rock Metal però sotto la media, visto che non fa sentire molta personalità. Ma il motivo è particolare: si tratta di un disco realizzato nel 1989, ma poi mai pubblicato. Una buona riscaldamento la title-track “LINE OF FIRE” che inizia l’album, anche se come presentazione è un po’ poco. Comunque piacevole nella sua linearità, senza cali di tono; orecchiabile e corposa. “STATE OF THE HEART” elettrizza l’atmosfera con un riff cadenzato sopra un middle-time, rendendo bene lo spirito anni “80”. Voce roca che gira con sicurezza, infilando un ritornello azzeccato. Come al solito troppo breve e anonimo l’assolo di chitarra. “HARDLINE” non male, stile Kiss soprattutto nel ritornello, sempre percorrendo le sonorità della decade ottanta. La chitarra si produce meglio nel suo assolo rispetto a quello che fa negli altri brani.  Finalmente un pezzo che si alza sopra il livello fin qui piuttosto scontato: si tratta della traccia finale “LOVE DIES HARD” che quindi conclude in bellezza pur rimanendo nello stile che caratterizza tutto il lavoro. Ciò significa che non è il genere di metal né la produzione tecnica a non piacermi, bensì le canzoni realizzate. Diciamocelo: l’ispirazione non c’era, solo questa song la possiede. Un middle-time orecchiabile con l’unica pecca di sfumare nel finale, brutto finale dato che trattasi anche di finale del disco. Ragazzi, sfumare non ha più senso, la composizione deve prevedere un termine che è stato pensato fin nella sua ultima nota! Le cover (ben tre: “Children of the revolution” dei T-Rex; “That’s why…” di Rebbitt; “Let me rock” dei Chequered Past) alzano la grinta del disco ma non lo portano oltre il piacevole intrattenimento. Nota: in “Fingers” canta come ospite la famosa Grace Jones.  Che dire? Un tocco AC/DC, un altro Kiss; un altro ancora di Bon Jovi; un po’ di AoR; un po’ di Street Metal; in sintesi non vale la pena di stargli troppo dietro, rappresenta l’era degli ottanta senza esserne all’altezza. Il fatto è che le cose che potevano apparire moderne al tempo, oggi sono trite e ritrite. Chi fa metal vintage adesso lo fa con un tocco diverso, in grado di attualizzare stili del passato. E’ uscito in ritardo, un disco testimonianza e niente più. Peccato…..adesso passiamo ad altro.  ROBERTO LATINI


METALLITALIA

La tradizione rock più grande in Italia riguarda il “Progressive” degli anni ’70, con punte di diamante come PFM; Banco Mutuo Soccorso; Area; Orme; Goblin e New Trolls (in realtà molte di più). Meno profonda la realtà Hard, nonostante nel mondo, contemporaneamente, Deep Purple, Black Sabbath e Led Zeppelin facessero sfaceli.  Ma negli anni ’80 anche il rock dello stivale ha iniziato ha indurirsi e le esperienze metal sono prolificate con risultati commerciali minimi al tempo, ma con il risultato che oggi le band italiane esistono e sono considerate di alto livello all’estero. In quel periodo, il primo gruppo a raggiungere livelli accettabili fu quello dei milanesi Vanadium, e, con un valore artigiano, ma comunque riconosciuto di grande qualità artistica, il pesarese Paul Chain (traduzione dal suo vero nome Paolo Catena, mai cognome fu più appropriato) che ho conosciuto personalmente.  Attualmente invece due sono le principali realtà di mercato italiano, per prima i Lacuna Coil (da Milano) e per seconda i Rhapsody Of Fire (da Trieste). Però l’elenco si allunga di molto contenendo i vari generi esistenti: Vision Divine (Power Metal); Enemynside (Thrash Metal); Necrodeath (Black Metal); Elvenking (Folk Metal); Arthemis (Street Classic Metal); Dark Lunacy (Melodic Death Metal); Killing Touch (AoR Heavy Metal); Deva (Progressive Metal); Domine (Epic Metal); Li Camp (Punk); eccetera. Tutti gruppi sconosciuti agli italiani non metallari. Ma che si sappia, il Metal in Italia vende…in Europa oscilliamo tra il secondo e il terzo posto nel mercato del settore (al primo la Germania). Naturalmente non è tutto metallo prezioso quello che luccica (oro). In queste ultime due recensioni che ho fatto (Rhapsody e Danger) si evince come si possa esaltare e come si possa deludere. I Danger Zone rappresentano lo stile americano degli anni ’80 (ed infatti essi sorsero in quella decade), ma hanno prodotto nel 2011 un album (“Line of Fire”) assolutamente anonimo, senza nulla aggiungere al panorama del genere, sembra sempre di aver già sentito ogni frase musicale ed ogni passaggio, e infatti il disco è datato 1989. Capacità tecnica senza la “scintilla”.  Dall’altra parte abbiamo i Rhapsody Of Fire che suonano da sempre (1997) un Metal Sinfonico portato regolarmente al suo livello più alto, l’arte anche in quest’ultimo disco (“From chaos to eternity”) brilla potente. Due band italiane, due epoche diverse e così anche due concezioni diverse di intendere il metal…due ultimi dischi di valore differente. Non è questione di scegliere un genere piuttosto che un altro. I Danger Zone non sono riusciti a rendere bene e a modernizzare compositivamente, tramite arrangiamento, un genere che altri gruppi anche nel 2011 hanno sviluppato con valore (vedi gli stranieri Mr. Big e Magnum); i Rhapsody Of Fire hanno invece realizzato un disco che è uno dei migliori a livello mondiale. Ma è bello che sia così, significa che ormai le esperienze italiane possono permettersi di tutto, anche passi falsi ed esistere, essendo ormai l’Italia non più la periferia dell’Heavy Metal. L’ambiente italiano non favorisce l’organizzazione di concerti e festival metal, mentre fuori questo settore musicale è molto professionale. Nonostante tutto i gruppi che riescono a creare buoni lavori, all’estero riescono a farsi sentire ( e spesso usano case discografiche non italiane); il sound italiano sa essere di qualità, senza scimmiottare più tanto i modelli “heavy” esteri.  Lunga vita al metal italiano!      ROBERTO LATINI


FROM CHAOS TO ETERNITY - Rhapsody of Fire  (2011)

Difficile considerare minori i brani che non racconterò, ma quelli che sto per descrivere sono davvero fantastici. Come in passato,  anzi meglio che in passato, hanno usato la voce narrante del famoso attore britannico Christopher Lee (Dracula in vari film; Guerre stellari; Il Signore degli anelli).  Questo, come gli altri due precedenti, sono lavori che mantengono una fresca energia, nonostante la studiata puntigliosità dei suoni e della cura ad essi fornita. Significa che i Rhapsody O.F. sono dei veri artisti, che oltre alle capacità tecniche, sanno offrire cuore e mente ispirati.  “FROM CHAOS TO ETERNITY” inizia alla maniera classica; in realtà i vari passaggi (il brano è molto vario) contengono elementi che non seguono standardizzazioni. Il suono a volte si incupisce un pò, con stop basati su accompagnamenti dai toni bassi di pianoforte o di bass-guitar. Forza epica e raffinatezza sinfonica spinta, mentre le parti medievaleggianti risultano molto brevi; la chitarra elettrica si fa sentire molto e fa traspirare il lato rock. “TEMPESTA DI FUOCO”, dal 4/4 tirato a doppia cassa, è ancora più bella. Il ritmo non è sempre sostenuto, ma decresce accompagnando il canto nei suoi cambi di atmosfera. Ritornello ben azzeccato. La lingua italiana ci sta perfettamente. La parte centrale di assoli è superba e rimane più Progressive che sinfonica. “GHOSTS OF FORGOTTEN WORLD” parte in ambito più  power metal, ficcando una chitarra e un riff taglienti. E rimane nella stesso spirito anche nell’arpeggio di chitarra acustica che fa da sottofondo ad un cantato soft. Poi c’è un giro chitarristico quasi etno-gitano che da il via al ritornello. Gli assoli, a momenti pure dissonanti, tornano fortemente metal, anche qui dando un senso Progressive (come in “Tempesta di fuoco”). “AEONS OF RAGING DARKNESS” è un Power Metal veloce e duro. Il sinfonismo è comunque presentissimo. Ma con lo screming di ottima sonorità, si capisce che il pezzo è nato per darci dentro. In realtà vi sono aperture ariose che però mantengono il brano nell’ambito più heavy. A differenza delle composizioni prima citate, dove gli assoli assumevano connotati diversi da quelli della musica classica propria del Symphonic metal, qui, che il brano è meno Symphonic, la parte solista è invece classicheggiante, ma opera in maniera piuttosto personale. Brano nel complesso teatrale. “I BELONG TO THE STARS” prende le distanze dal resto del disco, avendo un sound più hard rock, nonostante sia travestito molto bene da Symphonic song. Uno stupendo brano pulito e lineare. Corale e suadente nella parte cantata con voce morbida, mentre il ritornello quasi lirico alza il pathos riverberando brividi sulla pelle del sottoscritto. Ritornello: ANOTHER DAY, ANOTHER TIMEANOTHER FLAME THAT BURNS DIVINE NANOTHER WORD, ANOTHER THOUGHT ANOTHER SIN, ANOTHER HOPE  ANOTHER REASON TO AWAKE AND LIVE THIS LIFE. L’ultima traccia “Heroes in the Waterfall’s King” chiude alla grande con circa venti minuti di musica, ma la reputo di valore leggermente inferiore alle lunghe tracce dei due album precedenti, cioè di “The frozen tears of angels” (più di 11 minuti) dall’album omonimo, e “The ancient fires of Har-Kuun” (quasi 15 minuti) contenuto in “The cold embrace of fear”. Che dire? Sono i migliori! Forse nel Symphonic Metal soltanto i Nightwish con loro. Chi desiderava da tempo ascoltare una opera di metal sinfonico come si deve, oggi con questa è stato esaudito. E’ interessante notare che le ultime tre fatiche dei Rhapsody of Fire sono uscite vicinissime tra loro, e hanno sempre venduto bene. Il 30 aprile 2010 viene pubblicato “The frozen tears…”, il 15 ottobre dello stesso anno viene pubblicato “The cold embrace…” e il 17 giugno 2011 questo di cui state leggendo. Tre dischi in soli tredici mesi.  Per terminare la saga del “segreto oscuro” non si poteva comporre un lavoro scarso. Considerando il tempo avuto a disposizione (per noie legali con Joey De Maio, bassista degli americani Manowar, i Rhapsody non hanno potuto pubblicare cd per tre anni) non hanno deluso, anzi hanno dato il meglio di loro stessi, e meglio di come hanno fatto altri gruppi.  Il ciclo della saga è durato ben 5 album, ma qual è la tematica di essa? E’ sulla falsa riga del “Signore degli Anelli” di Tolkien, infatti narra della ricerca di un certo libro, il più importante di sette, che contiene il segreto per la risurrezione del Signore Oscuro, il demone Nekron, egli stesso creatore di quei libri. Re, Elfi e Maghi partiranno per trovarlo. Ora che la saga ha trovato il suo epilogo, le canzoni parleranno di altro, ma speriamo che il livello  compositivo non cambi. Per ora l’album più bello del 2011. ROBERTO LATINI


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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)