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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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77. RECENSIONI di Roberto Latini

“REDEMPTION OF THE PURITANS HAND”   Primordial  (2011)
Perché non riesco a eliminare il senso già sentito che mi dà un disco non ordinario come questo? “NO GRAVE DEEP ENOUGH” si slabbra con oscura epicità, sfornando un cantato molto interessante, che non vuole mai appiattirsi, e che usa il suo tono forte con ampiezza costruttiva. La percezione che se ne ha è quella della preghiera; sembra un pregare propiziatorio. Ritmica e tappeto sonoro rendono più medievaleggiante l’ascolto di qualunque altra strumentazione folk, tradizionalmente usata in varie band, ma qui assenti. La batteria sembra quella di una banda militare che accompagni un esercito pronto alla guerra. Davvero una immersione nel polveroso terriccio, ma non terra che copre una tomba tranquilla, piuttosto terra smossa, movimentata da anime insofferenti. L’inizio di “BLOODIED YET UNBOWED” pare far da colonna sonora alla solitudine, ad un mondo in disgregazione. Il middle time non è accompagnato da distorsione corposa e violenta, ma da un fluido chitarrismo rock e meno metal che però si svolge con gusto e forza. La voce perde un po’ di smalto rispetto a “No grave deep enough” effettuando un canto più recitativo; però dà il giusto tono alla composizione tesa e malata. Quando la batteria si porta a ritmi veloci ossessivamente Death metal, si vira un po’ più verso il metal ma non cambia l’ambientazione. “THE PURITANS HAND” si dipana con un doom lento e greve che la voce sottolinea con verve triste e impietosa. Poi però si velocizza e scuote la polvere per correre sulla roccia, roccia che comunque si sgretola…e la voce roca canta a lungo in modo descrittivo senza essere lei il personaggio principale della composizione, senza essere cioè una melodia cantabile di per se stessa, perché è soprattutto la strumentazione con il suo groove a fare strada. Alan Averill  “Nemtheanga”, il cantante oltre che leader, parla del tema affrontato: “Redemption… contiene tanti spunti di discussione su argomenti quali la religione, il sesso, la fede, la rivelazione, la redenzione e il sacrificio. Il fatto è che la gente tende a crearsi delle strutture mentali che cerchino di dare un senso alla propria vita e conseguentemente alla propria morte. Nessuno di noi è immune a tutto ciò, anche chi si dichiara non credente”.  Il senso artistico di questo settimo album è quindi la morte, e in questo l’atmosfera rende bene l’idea. Purtroppo i brani minori non sono sempre efficaci, e poi io ho un senso di noia dovuto al ripetersi di tappeti sonori troppo soffocanti e piatti. Accentuano il senso di polverosità e di melmosa stagnazione che non mi dispiace, ma la riuscita tecnica non mi soddisfa, preferisco i classici riff secchi e non lo scolamento di chitarre informi. Questi irlandesi di Dublino fanno un black metal in cui viene filtrato anche un fertilizzante folk-celtico, il quale è ciò che dà quel pizzico di apparenza medievaleggiante mai troppo esplicitata.  Grandi aspirazioni ma alla fine il risultato è povero. L’opera non è sufficiente per un gruppo che sembra non accontentarsi di seguire strade già tracciate, ma forse i suoi membri non possiedono abbastanza genio.  Questo è il loro settimo album, non sono dei novellini visto che suonano dal 1995. Quindi sono curioso di ascoltare i loro altri lavori (il disco in questione è il primo che fruisco).       ROBERTO SKY LATINI


 “IN PARADISUM”  - Symphonia (2011)
 Il finlandese chitarrista Tolkki se ne va dagli Stratovarius nel 2008, dopo esserne stato il leader per venti anni (e all’inizio anche cantante), ma la scelta non deve essere stata legata alla direzione musicale, poiché questo suo primo lavoro con i Symphonia ricalca pedissequamente lo stile power tracciato da sempre nel gruppo di provenienza, anzi, qui con risultati di minor valore. In aggiunta quest’anno gli Stratovarius sono nuovamente usciti con un disco fenomenale, per cui il divario si fa ancora più eclatante poiché la comparazione è diretta.  “FIELDS OF AVALON” non è estremamente originale, ma sufficientemente tirato e tecnico per dare la giusta spinta iniziale all’ascolto. Un brano potente e melodico al tempo stesso, con un colorito classicheggiante e piuttosto tecnico sia dal punto di vista strumentale che vocale.  “COME BY THE HILLS”, dal ritmo saltellante, risulta meno energico ma più allegro e anche piuttosto personale. L’assolo di chitarra si staglia netto e pulito senza strafare, e i cori col ritornello sono subito assimilabili senza per questo cedere alla banalità. “IN PARADISUM” vuole essere maggiormente pretenziosa assemblando momenti diversi che ne fanno una composizione ampia e varia, e riesce nell’intento pur senza innovazioni. Tra cambi di velocità e  ambientazioni soft, presenta accenni sinfonici e corali che ne fanno un brano dal carattere epico. “RHAPSODY IN BLACK” nei suoi accordi iniziali ricorda fortemente qualcos’altro che ora non mi sovviene, ma poi il brano ha la sua propria essenza, che lo fa essere uno dei miglior pezzi dell’album. La potenza ritmica mid-time si associa con una linea cantata lineare dai toni dimessi che possiede un ritornello accattivante ed efficace. Brano quasi commerciale ma di ottima fattura, che non è un cedimento a una realizzazione di bassa lega, anzi è una piccola perla. Frizzante e leggero, “I WALK IN NEON” fa venire voglia di lasciarsi andare. Il suono scintilla e la voce sinuosa è una delle migliori interpretazioni di Andre. E’ una song tipo Halloween o Gamma Ray, ma, ma pur scanzonatamente, si esprime con intensità, che colpisce appieno l’ascoltatore. Brano diretto e positivamente semplice. Il resto dell’album ha poco da dire, ed è un peccato per i due super personaggi che ne fanno parte (il cantante Andre Matos, brasiliano, e , appunto, il chitarrista Timo Tolkki). Il primo si accontenta spesso di fare il proprio compitino pur essendo uno dei migliori vocalist Metal attuali, e il secondo non cerca il colpo di reni né di elaborare novità.  Commento di un metallaro su internet: “Questi supergruppi sono fatti per raccattare soldi sul modello del Real Madrid: unire tanti fuoriclasse per illudere i fan dei rispettivi artisti.  Il disco è di pura plastica. Durante tutto l’ascolto ho avuto uno spiacevole senso di Deja Vu”.  Io concordo…. quest’anno vi sono molti dischi migliori.  ROBERTO SKY LATINI


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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)