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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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84. RECENSIONE di "NELLE TERRE ESTREME" di Roberto Latini
“NELLE TERRE ESTREME” di Jon Krakauer (1996)
Nel 2007 è uscito il film “Nelle terre selvagge” di Sean Penn, tratto da questo libro, ed io l’ho visto nel 2008 quando è uscito in Italia. Ero con mio figlio che ne è rimasto a tutt’oggi invischiato emotivamente…, e così ha comprato la colonna sonora (scritta da Eddie Vedder, famoso cantante e chitarrista del gruppo grunge/alternative rock Pearl Jam) e il libro in questione. La storia è quella di un ragazzo americano di buona famiglia che dopo un lungo viaggio si trova fronteggiare le difficoltà di una vita nella natura, e la natura è quella dell’Alaska, una delle meno rassicuranti. Libro e film, ma la storia è un fatto vero. Il film rientra nei classici del genere, riuscito appieno; il libro non è un romanzo, ma un reportage giornalistico. Riuscito bene anch’esso, anche se il film risulta maggiormente poetico, di stampo romantico. Sono due modi diversi di rappresentare la storia, uno complementare all’altro, nessuno da solo è esaustivo. L’autore del libro avverte i lettori che egli non sarà imparziale perché condivide parte della realtà mentale del personaggio, e viene fuori che anche lui, Krakauer, è stato un po’ matto in gioventù, scalando da solo picchi ghiacciati (lo racconta in questo scritto). Il punto è proprio questo: si tratta di essere “matto”? Krakauer vuole farci capire che in fondo Christopher J. McCandless non è stato né uno scavezzacollo incoscente, né uno di quegli schizzati che non capiscono quando vanno incontro al peggio, credendosi invincibili. No, Chris è stato un ragazzo gentile che voleva davvero percepire la semplicità dell’essere al mondo nel rapporto diretto con la natura, per conoscere se stesso, ma anche per provare una vita senza finzioni né filtri. In effetti dover sopravvivere elimina ogni sovrastruttura, sei costretto a relazionare con la terra, e a “stare coi piedi su di essa” (parafrasando il detto). L’opera di Krakauer analizza il giovane in fuga, ma anche il concetto di cosa egli inseguisse, e così pure da cosa fuggisse; e per far ciò, Krakauer ha dovuto raccontare anche la famiglia da cui proveniva Chris e la sofferenza che egli causò loro. Un vero approfondimento della complessità di un evento svoltosi dal 1990 al ’92. Una ricerca di dati per effettuare anche una ricerca interiore. La ricerca dell’uomo che vuole fuggire ipocrisia e falsità e vuole incontrare verità, per prima la verità dentro di sè. Il vescovo di Terni Monsignor Paglia, ha scritto “ Se ciascuno di noi scende nel profondo del proprio cuore, si accorge che la solitudine non è la nostra vocazione. Anzi è la negazione del nostro stesso essere”. Si, questo libro parla anche della solitudine, quella che, ho letto da poco, viene chiamata da Clarissa Pinkola Estes ”solitudine intenzionale” (vedi intervento, in questo blog, di Chiara Passarella su Emily Dickinson). Chris non odiava la gente, ma cercava la solitudine costruttiva, quella che gli fa dire: “Arriva la grande avventura finale. L’apice della battaglia per uccidere l’essere falso dentro di sé e concludere vittoriosamente il pellegrinaggio spirituale” (scritta trovata nel luogo della sua morte). Stare soli per potersi vedere bene dentro senza distrazioni mondane.
Ecco in poche parole l’uomo:
Età 24 anni quando muore (dopo 4 mesi di vita selvaggia).
Laureato con ottimi voti due anni prima (maggio 1990).
Padre, importante ingegnere aerospaziale che aveva lavorato per la NASA.
Gentile, attivo, gran lettore e parlatore…anche in grado di suonare il pianoforte.
Appena laureato regala tutti i soldi in beneficenza ad una associazione.
Appena laureato fugge di casa senza avvertire nessuno…solo la sorella, ma senza dirle dove.
Prima di recarsi in Alaska, sua meta da tempo scelta, va in giro per gli USA come un vagabondo.
Si fa chiamare Alex, ma non è costante in questo.
Forse il cattivo rapporto col padre, un decisionista (ma anche Chris lo era, prendendo dal padre), lo portò a non accontentarsi delle apparenze (scoprire la passata doppia vita del padre, con figli avuti da altra donna, lo ferì molto). Fermarsi a valutare la sua azione come una semplice fuga dalla realtà in cui viveva è semplicistico. Krakauer legge una mente più complessa e profonda: il ragazzo studiò come si deve, e nel suo lungo peregrinare, incontrò molta gente fra cui alcuni datori di lavoro, che testimoniarono quanto lui si impegnasse nelle mansioni date (Westerberg: “Ho dato lavoro a un sacco di autostoppisti. Molti non avevano voglia di lavorare, ma Alex era diverso. Lavorava sodo coma mai avevo visto in vita mia.”). Non era un musone, sapeva stare tra la gente, anzi, sembrava che gli desse molto piacere, e in più, tutti, dalla sua compagni, ne traevano altrettanto piacere, arrivando sempre a stimarlo. E scriveva loro cartoline quando se ne andava (tra l’altro esse fanno parte dei dati che hanno contribuito a costruirne la storia). McCandles non era uno che si vantava, né un megalomane, né uno che voleva stare da solo per forza. La sua è stata una scelta esperienziale, tornare alle radici; e forse, se la vicenda si fosse conclusa bene, sarebbe tornato alla società, più forte di prima. Lo dimostra il fatto che a un certo punto egli decide di tornare, ma quando si trova davanti al fiume che aveva attraversato mesi prima, esso è ingrossato e gli impedisce di proseguire. Sarebbe tornato quindi. Ma non tornò. Poco tempo dopo Chris muore di fame, probabilmente per un errore di alimentazione che gli bloccò lo stomaco, e il suo corpo fu scoperto presso un autobus fuori uso, posto nel bosco appositamente per i cacciatori di passaggio. Con lui alcuni suoi averi, fra cui dei libri, nei quali alcuni passaggi erano stati sottolineati: “Datemi la verità, invece di amore, denaro e fama. Sedetti a una tavola imbandita di cibo ricco, vino abbondante e servi ossequiosi, ma alla quale mancavano la sincerità e la verità. Partii affamato da quel desco inospitale. L’ospitalità era fredda come i gelati” (Thoreau). “…si stendeva la cupa…foresta di abeti. ..Un silenzio minaccioso incombeva sul paesaggio,…Era la saggezza potente e impenetrabile dell’eternità che irrideva alla vita, alla sua futilità e agli sforzi degli uomini (Jack London). “E non c’è nessuno intorno…allora ci si vorrebbe poter affidare all’essenziale, alla forza della vita o alla bellezza o alla verità, perché esse, e non le autorità umane,…ti dirigano in modo sicuro e senza riserve (Pasternak).
“Volevo qualcosa…la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla (Tolstoj). E’ invece Krakauer a usare una citazione, non appartenente a Chris, che egli mette ad apertura di un paragrafo: “Ma fintanto che non veniamo messi alla prova, sappiamo poco dell’incontrollabile in noi che ci spinge (Muir). Chris voleva mettersi alla prova, e probabilmente la prova che voleva affrontare fu vinta…anche se incontrò la morte. Ma c’è un’altra citazione stampata da Krakauer alla quale voglio accennare. La lego alla lettura che ho fatto da poco della poesia della Dickinson “Ha una solitudine lo spazio” (anche il titolo può essere ben connesso con il tema di questo libro), trovando spunto in questo passaggio: “Ma queste (le solitudini) saranno compagnie, rispetto al punto più profondo, segretezza polare….” Krakauer cita, da “Il richiamo nella foresta” di London: “La belva primitiva era forte in Buck e in quelle terribili condizioni di vita sempre più si sviluppava. Per ora cresceva segretamente…”. Il nostro inconscio è forte, e in esso tende a crescere la belva, e l’inconscio di solito vuole tenere la porta chiusa per mantenere segreto ciò che contiene. La “segretezza polare” è il punto più profondo del nostro inconscio, e se la belva si nasconde lì, lì bisogna andare. Però quando la si raggiungerà, per quanto si possa essere stati aiutati, ci si sentirà soli. Da soli ci si trova davanti alla belva. Krakauer ipotizza che Chris voleva vederla quella belva, e per farlo non ha cercato i mezzi pseudo-scentifici dello psicologo….ha voluto usare le “terribili condizioni” nominate da London, per farla uscire allo scoperto, per poi neutralizzarla, quando non più segreta. Krakauer, alpinista e scrittore, nato in Oregon, conosciuto l’evento, ne scrisse un articolo su di una rivista. Ciò fece scalpore. Successivamente, decise di approfondirne la storia, e lo fece perché lui stesso, riconoscendosi nel giovane, ne fu preso emotivamente. Chris Mc Candles aveva tenuto un diario che permise di seguirne i movimenti e i pensieri, ma Krakauer fece di più, intervistò le persone che lo conobbero nel lungo viaggio e portò persino i genitori nel luogo della morte. E’ qui, tutto dentro “Le terre estreme”, e guardatevi anche il film, ne vale davvero la pena.
Roberto Sky Latini
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