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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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61. RECENSIONI MUSICALI di Roberto Latini
“DOMINION” – Benedictum (2011)
Veronica Freeman, la cantante di questo gruppo americano (USA), è ben donna (e appariscente), ma la voce è “maschia”, timbricamente non sempre sembra proprio di donna. Se talvolta può apparire forzata, in realtà è molto efficace e grintosa. A volte ricorda un po’ la tedesca Doro, ma spesso anche la voce graffiante delle inglesi Rock Goddess. In “DOMINION”, dopo un intro rarefatto, il riff di chitarra entra subito pesante e la voce ruvida della cantate non tenta assolutamente di alleggerire l’atmosfera, rimanendo un accento di oscurità. Il pezzo ricorda periodi passati anni ’80 sia compositivamente che come produzione tecnica del suono che appare imperfetto, ma proprio per questo intrigante (Savatage?). “AT THE GATES”, è un brano tirato dalla voce sempre maschile ma con sfumature più gentili. Si vive una atmosfera tra il graffiante e l’oscuro. I riff di chitarra sono secchi e circolari. “SEER” è una delle migliori interpretazioni compositive del disco. La tastiera e la linea vocale risultano più morbide, con un ritornello accattivante senza essere commerciale. Un middle time per un brano lirico. “THE SHADOWLANDS” inizia cupo e mantiene tale status suonando ossessivo. Il ritornello ricorda in realtà la voce del cantante dei Ratt, ma è l’unica somiglianza. La voce poi sembra essere meno incisiva in un determinato passaggio confermando l’idea di una registrazione non supertecnologica che sa di produzioni vecchio stile. Il brano pare perdere ad un certo punto la sua energia, ma fortunatamente si riscatta finendo per essere uno di quelli a più ampio respiro dentro l’album. “BANG” si presenta con un ritmo sudamericano, per farci sentire un brano dall’andamento più moderno sia per il riff che per il cantato. Dinamico e fresco, anche grazie ad uno dei pochi assoli di chitarra, pur venendo ad essere il pezzo maggiormente personale, si inserisce bene nella compattezza stilistica di questo lavoro. “SANCTUARY”, da bravo pezzo soft, viene cantato con voce femminile, pur conservando una determinazione virile. Chitarra acustica e poi assolo elettrico fluido contornano una linea melodica dall’andamento ritmico stile americaneggiante. Non sitratta di ballata mielosa. Da segnalare la coverizzazione riuscita di un brano dei Rush: “Ouverture/Temples of Syrinx”, inserita come bonus track. Lo stile Heavy Metal dei Benedictum è classico, e molto di nicchia, stando nella scia di gruppi molto caratteristici, e quindi meno divulgati. Si percepisce comunque l’amore amore più volte confessato da Veronica nei confronti di Ronnie James Dio, infatti il modo di cantare cerca, in alcuni momenti, i toni epici di quel grande. Si percepisce ribellione, la voce diventa anche rabbiosa. Dice Veronica Freeman: “Mi sono immaginata chi è che ci domina oggi e tutto il furore è venuto spontaneo. Molti brani hanno il senso della sfida, la volontà di combattere quando capisci di essere intrappolato in una situazione da cui vuoi uscire. I brani “Dominion”; “The shadowlands” e “Bang” sono per tutti quelli che non si sentono per niente a proprio agio nella vita di tutti i giorni e vogliono lottare per cambiare. In “Sanctuary” c’è più il tema della speranza. La vittoria è quello che voglio esprimere nella mia musica” (dalla rivista “Rock Hard”).
Roberto Latini
“SEVER THE WICKED HAND” Crowbar – 2011
Questi americani di New Orleans suonano un metal essenziale senza tanti fronzoli che oscilla fra death, thrash e ammiccamenti al riffing corposo dei primi Black Sabbath, quelli anni ’70 di Ozzy. Non tutti gli episodi dell’album si pongono sullo stesso livello, anzi, alcuni sono da dimenticare. In altri invece il fascino è reale. Il cantato è uno “screaming” a volte interessante, altre volte banale, ma rimane sempre ascoltabile e comprensibile. La band non appare sufficientemente matura in ogni episodio, però il livello è accettabile. In alcuni brani la semplicità è eccessiva, non stonerebbe maggior virtuosismo, infatti la verve compositiva si sviluppa soprattutto sul groove. L’album inizia con un brano middle-time che usa una evoluzione di riff interessanti. “ISOLATION (DESOLATION)” è duro e disperato, chitarre ribassate e dense accompagnano una linea vocale pesante ma molto efficace. Si ascolta poi un rallentamento espresso da un doom roccioso e uno screaming più cupo. Peccato l’assenza di assoli, ci sarebbero stati bene. “LET THE MOURN”, ossessivo e lento, possiede meno variabilità nel suo doom, ma la voce è piuttosto evocativa, lasciando per un po’ lo screming e usando anche un timbro pulito, che si esprime con un tono dolente. Non è una canzone Death, quanto invece si rivolge ad una ambientazione più caratteristicamente Stoner. Arriva la velocità con “THE CEMETERY ANGELS” che non abbandona anche ritmi rallentati. I cori ruvidi sono però melodici. Poi il brano diventa pesantissimo con riff ultracorposi che in un ritmo lentissimo distruggono la melodia e terminano il pezzo senza lasciare speranza. “AS I BECOME ONE”, dal carattere Sabbathiano, usa un ritmo ballabile (se si può dir così) e ciò lo rende meno polveroso costruendo un andamento elettrico. La voce è urlata. Poi entra in gioco una parte soft che ricorda un po’ lo stile dei Metallica per l’uso della doppia chitarra che esegue una melodia fluida e gentile. Si tratta di un ponte centrale che termina facendo tornare il lato duro. “ECHO AN ETERNITY”, abbandonati riverberi estremi, si produce in una ballata ruvida ma triste e piena di pathos. Il ritmo lento e le chitarre sinuose rendono raffinato un incedere che rimane, in linea con tutto il presente lavoro, pesante e cupo. Composizione molto sentita. Il titolo del disco si traduce con “tagliare la mano cattiva”. Kirk Windstein, il leader, dice: “La mano cattiva può essere qualsiasi cosa: droga, alcolismo, disordini alimentari, sessuomania, pornodipendenza. Tutto ciò che ti dà dipendenza e ti uccide lentamente. L’unica soluzione è imparare, crescere, accettare quello che non ti piace di te, e andare oltre. Ho avuto seri problemi con l’alcool: il divorzio e l’impossibilità a vedere mia figlia, mi hanno messo addosso una pressione enorme. Poi mi hanno quasi costretto a ripulirmi, adesso sto benissimo: niente più bevute e canne fino a notte fonda. Ogni album dei Crowbar contiene lo sfogo delle mie riflessioni, questo però è speciale perché ricapitola e chiude il peggior periodo della mia vita” (da “Rock hard”). Credo che le sue parole siano bene espresse dalla musica, dove si ritrovano rappresentate adeguatamente le sensazioni di oppressione che l’autore ha raccontato.
Roberto Latini
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