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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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60. CATERINA di A. Socci. Recensione di Roberto Latini
La fede non è una serie di credo detti più o meno consciamente, ma è una realtà di fatti concreti, tra i quali la preghiera e il miracolo. Questo sembra voler dirci il giornalista con questo libro. Ma più che una affermazione dell’autore, è una preghiera. Si, il libro appare come una ulteriore preghiera oltre a quelle già messe in campo per la guarigione della figlia. Prega nel modo che più gli appartiene, trasferendo in scrittura tutte le sue emozionali pulsioni, che vibrano tra la paura che Dio non lo ascolti e la necessità di speranza che nutre per poter proseguire a vivere. Caterina, sua figlia ventinovenne, cade a terra per un arresto cardiaco immotivato, rimanendo ben 4 minuti senza ossigeno nel cervello. Va in coma, si risveglia ma con esiti per i quali è necessaria la riabilitazione. In tutto questo tempo Socci e famiglia pregano, fanno pellegrinaggi, assistono la ragazza. Insomma sperano, e sperano come ogni padre e madre, sperano con la forza di chi soffre intensamente. Ma non è una attesa senza interlocutore, dalla stessa loro parte c’è Dio trinitario, il creatore, e Cristo resuscitato e risuscitante. Davvero questa pubblicazione non è una delle sue escursioni descrittive storiche o cronachistiche, è più che altro una espressione molto personale del rapporto che egli, il saggista, il giornalista, ha con Dio, in questo momento terribile della propria vita. Spogliato di tutte le sue sovrastrutture culturali e professionali, Socci appare come un povero che nulla può e che chiede con timore, seppure con insistenza, a quel Signore che potrebbe anche decidere di non intervenire. Pur accennando a fatti storici e immettendo inserti brevi di critica giornalistica, l’opera è invero una raccolta di preghiere e di letture sacre, in cui, messi da parte gli orpelli professionali, si evidenzia un semplice, col rischio di sembrare sempliciotto, uomo che si attacca a ciò che di più favolistico e populistico rimane tra le manifestazioni della fede: il miracolo. Ma è proprio quello che Antonio vuole, la completa e totale guarigione della figlia. E i suoi intenti qui non sono di nessun altro tipo. E’ forse il libro meno interessante di Socci, per chi cerca dibattiti socio culturali, per chi vuole un approfondimento storico o filosofico-religioso. E’ infatti soprattutto un evento confessionale quasi intimo dell’autore. Eppure se ci pensiamo bene, è in linea con tutte le espressioni intellettuali che egli ci ha fatto giungere negli anni con i suoi libri. Sempre Socci ci ha parlato di concretezza della fede, della sua importanza basata sui fatti e non su teorie. Di prove verificabili e di incontri effettivi. E così, una volta colpito nella carne, viene fuori il suo pragmatismo: è la preghiera che ora serve, null’altro che affidarsi a Dio che è un Dio fedele, che interviene nella storia e nei fatti. La sofferenza produce l’amore, e l’amore vive la sofferenza con pienezza, quella pienezza che diviene reale vicinanza insieme alla persona umana e alla divinità, mettendo queste relazioni in una Comunione dei Santi tanto raccontata quanto reale. La serie di brevi digressioni su fatti della Chiesa, quindi, aprendo a modi letterari consoni ad un giornalista, qui in questo libro, appaiono un po’ stonati nel contesto. Forse, anche se abituato agli altri suoi modi di scrivere, il lettore in questa opera vorrebbe stavolta entrare di più nel cuore dell’uomo Socci, sebbene strettamente confessionale, e condividerne il dolore, vivere una empatia profonda. Viverne l’anima lasciando da parte teorie teologiche. Caterina sta ancora percorrendo la strada del recupero, non ci sono molte esplicitazioni pubbliche della sua situazione clinica attuale, ma sappiamo che lei possiede capacità cognitive che la rendono cosciente del suo stato. La domanda che il lettore comunque può farsi è: può la certezza del miracolo abbattere un uomo se il miracolo chiesto non avviene ? Socci pare non voler dubitare affatto: sia sulla possibilità che Dio può effettuare il miracolo, né però sul fatto che Dio opererà veramente il miracolo specificatamente desiderato, cioè la guarigione della figlia. E come per la donna che toccò la tunica di Gesù, o per altri nei Vangeli, che erano sicuri; la delusione non era contemplata. Ecco, io penso che la risposta vada posta nei termini seguenti: la delusione è dopo caso mai, dove prenderà il via un altro processo mentale, un altro percorso di fede, sempre che la guarigione non avvenga. In questo senso davvero si è pragmatici, è come quando si dice che è “inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta” o è inutile “mettere le mani avanti”, adesso si chiede a Dio ciò che Dio, il credente lo sa, può dare, poi se la volontà di Dio sarà un’altra, si chiederà altro. Un passo alla volta e stare nella storia, stare nel presente, questo è richiesto al cristiano. ROBERTO LATINI
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