Nonostante l’età devo ammettere che mi piacciono i Cartoons. In particolare seguo con piacere le avventure della famiglia Simpson. Queste storie rispecchiano l’American way of life, che ormai nel bene e nel male è il modello a cui si ispira il mondo occidentale. I Simpson devono affrontare ogni giorno i problemi quotidiani a cui ognuno è sottoposto; tutto questo è raccontato con ironia, sarcasmo, a tratti cinismo, nel quadro di una comicità talvolta surreale, sempre sottilmente pungente. I Simpson sono anche un’importante evoluzione rispetto alla produzione disneyana, caratterizzata da una rassicurante e rigida distinzione tra il bene e il male. Nei Simpson, come nella nostra società, la distinzione fra bene e male non è assoluta, ma relativa e convenzionale: le due realtà etiche sono composite e condizionate da molti fattori individuali, sociali e “di coscienza”. Da un punto di vista estetico, nella produzione disneyana il bello e il brutto, come anche la tipologia positiva o negativa dei personaggi - che spesso non appartengono al mondo reale - si identificano senza incertezze con il bene e il male, come nel mondo classico greco; anche i cromatismi sottolineano I tratti “etici” dei protagonisti. Nei Simpson la grafica è inquietante, è difficile una sicura individuazione del bello, come anche la predominanza di un colore intermedio come il giallo (colore di passaggio fra i colori freddi e quelli caldi) pone l’accento sull’appartenenza dei personaggi ad una collettività nella quale il soggetto si perde, si confonde e tendenzialmente è indistinto; non ci sono eroi, né mostri da sconfiggere: l’eroismo è affrontare ogni giorno la quotidianità con rinnovata energia. Nonostante i Simpson siano un interessante spaccato sociologico del nostro mondo, tuttavia mi ha sorpreso che l’autorevole periodico dei Gesuiti “La Civiltà Cattolica”in un recente numero abbia loro dedicato spazio con l’articolo “I Simpson e la religione”, esaminandoli attraverso vari livelli di lettura e giungendo a valutazioni conclusive positive, dopo una raffinata analisi antropologica. I Simpson innanzi tutto sono una famiglia in senso tradizionale; in questi tempi nei quali l’istituzione familiare è in crisi, i componenti di questo nucleo sono legati da rapporti di affetto e solidarietà. Inoltre si trovano ad affrontare tutti i problemi della società moderna, come l’incomunicabilità, l’incertezza del futuro, la mancanza di punti certi di riferimento, l’invasività deviante dei media ed altro, e si pongono il problema dell’esistenza di Dio, a loro modo, senza particolare profondità, negli intervalli che la frenesia della vita contemporanea concede per la riflessione, proprio come normalmente avviene per la maggior parte degli individui. Manifestano in proposito simpatia per la religione cattolica, credono nella vita ultraterrena e nell’esistenza di Dio, e recitano le preghiere prima dei pasti; questi aspetti emergono soprattutto nell’episodio “Padre, Figlio e Spirito Pratico”, nel quale Bart si converte grazie all’incontro con il reverendo Sean. Civiltà Cattolica trova particolarmente interessante questa corrispondenza fra la vita reale e quella rappresentata negli episodi dei Simpson, nei quali ci si pongono interrogativi di particolare profondità pur nei ridotti spazi ed entro i limiti della vita moderna, che allontana sempre più il nostro corpo materiale dalla nostra anima. In ultimo, la mia amica americana che vive a Venezia mi informa di aver letto in Wikipedia sotto la voce "The Day of the Locust", romanzo del 1939 di Nathaniel West, che nel 1990 Groening ha scelto Homer Simpson come nome del personaggio del suo cartoon dal nome del personaggio di quel film, che sarebbe una specie di "everyman" (l'uomo comune), secondo l'articolo. Roberto Rapaccini
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