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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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12. IL VALORE DELL'OPERA D'ARTE IN RELAZIONE ALLA NOTORIETA' DELL'AUTORE
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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
3 commenti:
Caro Roberto,
è molto interessante l’argomento proposto. Direi anche essenziale, poiché c’è una dialettica complessa tra la presentazione (nascita) di un’opera, il giudizio sulla stessa e l’evoluzione dell’arte. Abbiamo assistito, nella storia dell’arte, a tanti eventi (nuove opere) trionfanti che il tempo prima o poi ha messo nell’angolo. In altri casi, invece, abbiamo visti delle genialità creative morire nella miseria e nella solitudine dell’insuccesso. Impazziti, se vogliamo, dal silenzio della mediocrità. Com’era grande Van Gogh.
Un tredicenne, chiamato Louis Armstrong, dopo aver accoltellato un uomo, non fu trattato da criminale, ma da potenziale umano. Scoperto il suo talento, fu avviato sulla strada della crescita. Armstrong, dono della natura, diventò quell’artista straordinario, protagonista insieme ad altri, del jazz. Il jazz che un critico considerava una delle espressioni musicali più ricche e complesse che il genere umano abbia mai creato.
La critica ha una funzione delicata e importante. La sua funzione fa parte di quella dialettica complessa che, almeno nell’immediato, incide sull’evoluzione dell’arte. Il genio poi segue il proprio istinto creativo. Sorvola ogni mediocrità del tempo e la spunta sempre. Prima o dopo la morte.
Jack London, una volta diventato famoso, riconosciuto il valore del suo realismo e del linguaggio semplice ed efficace, vide pubblicato tutto quello che aveva scritto in precedenza. Il bello e il brutto dei suoi racconti. Tutto questo per il carisma della sua personalità e per la gioia di quel affare, che chiamiamo finanza .
A volte questo succede per ragioni puramente finanziarie, comprensibili a noi utenti. Altre volte, ahimè, perché il nome dell’autore offusca gravemente il giudizio della critica, direi inconsapevolmente. Chiamerei conformismo il fenomeno di alterazione del giudizio. Un conformismo che fonda la sua radice, sempre inconsapevolmente, nel passato dell’artista, nella sua notorietà. Il problema è che simili rapporti tra critica e l’arte spianano la strada ad ogni opera del già affermato autore, ostacolando per simmetria e in uguale misura l’affermazione dei giovani artisti.
La monetizzazione della creatività? Penso che sia uno dei peggiori aspetti della dialettica, a volte quasi spenta, tra critica e arte. La monetizzazione entra come un cuneo tra critica e arte, alterandone la dialettica. E’ vero che il fenomeno sia inevitabile. Noi ne prendiamo atto ribadendo, però, che incide notevolmente sulla qualità del prodotto artistico. L’esempio della produzione televisiva testimonia la povertà dei linguaggi, la mediocrità del prodotto televisivo e, peggio ancora, la standardizzazione dei gusti artistici. A lungo andare i nostri gusti artistici sembreranno sfornati in fabbrica con il rischio di soffocare, offuscare l’orizzonte della creatività umana. Con quell’orizzonte così scuro e tormentato dalla noia, non so se ci saranno geni in grado di illuminare cieli così scuri e molestati dalla mediocrità.
Alberto Fràsher
Carissimo Alberto,
grazie per il tuo commento, che condivido. L'unica osservazione che mi viene di fare è che il tuo scritto è ricco di spunti che potranno poi essere sviluppati. Forse fra arte e valore economico dell'opera non c'è nemmeno dialettica, o meglio la critica e la sua influenza sul valore economico sembrano imporre il distinguo fra arte e semplici manifestazioni della creatività umana. Ma in realtà il valore ontologico dell'opera, per il quale non abbiamo ancora individuato parametri oggettivi, credo che non abbia nulla a che vedere con le dinamiche di mercato. Trovo molto interessante anche il tuo riferimento alla cultura televisiva: ciò che ci viene imposto attraverso questo mezzo è analogo, in quanto eteronomo, a quella cultura che ci impone un arbitrario distinguo fra arte e non arte. Mi rileggerò più volte il tuo commento perché, oltre ad essere un valido contributo all'ultimo post, contiene prezioso materiale per altri post.
Roberto
Ok, non ha senso parlare di valore economico di un opera artistica , inteso questo valore come caratteristica intrinseca della stessa. Io, invece intendo quel valore che il mercato attribuisce all'opera. Questo valore, quindi perturba la dialettica di cui parlavo. Potrei aggiungere, p.es., qualcosa: il rapporto tra utenza (TV) e la creatività compromette l'obiettività della critica, che diventa "amministrativa" a due passi dalla mediocrità. D'altronde diventa ingombrante nel modo in cui orienta la formazione (ma che informazione!) culturale dell'utenza. Il film di Russell Crow (come si scrive?) su J. Nash diventa banale alterando inevitabilmente a realtà. La banalità? Per fare effetto su milioni di utenti paganti altrettanti biglietti da 10 $. Il film come opera artistica, non regge alla tentazione di essere gradito da una utenza più vasta possibile, a cui fa effetto vedere uno scienziato che prendono in giro nei giardini dell'università di Princeton. In realtà, scrive Silvia Kassar, il team medico non faceva nulla sul corpo di Nash senza il consenso del preside della facoltà e la presenza di Nash nei giardini veniva accolta con ammirazione per lo scienziato e con profonda comprensione per la sua sofferenza. Il film racconta altro. Come dicevo, in questo caso la forma e non solo, dell'opera è vincolata da fattori economici.
Alberto Frasher
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