La musica è stata spesso ritenuta concettualmente la più spirituale delle arti. “La musica, intesa come espressione del mondo, è una lingua universale al massimo grado, e la sua universalità sta all'universalità dei concetti più o meno come i concetti stanno alle singole cose (Arthur Shopenhauer). Questo consegue dal suo linguaggio che, pur esprimendosi anche attraverso rapporti matematici (che riguardano tempo, timbro, durata e relazioni tra le note), ha una potente suggestione evocativa. Etimologicamente il lemma “musica” deriva dall'aggettivo greco μουσικός/mousikos (relativo alle Muse, figure mitologiche) riferito in modo sottinteso a tecnica, anch'esso derivante dal greco τέχνη/techne. In origine il termine musica non indicava una particolare arte, bensì tutte le arti delle Muse, e si riferiva a qualcosa di "perfetto" e "bello". Pertanto alla musica viene dedicata una specifica sezione in questo Blog, affidata a Roberto Sky Latini. Uno specifico tema del post riguarda l'approfondimento dei generi musicali. I generi musicali sono categorie entro le quali vengono raggruppate, indipendentemente dalla loro forma, compisizioni musicali aventi caratteristiche generali comuni, quali l'organico strumentale, il destinatario e il contesto in cui sono eseguite. Intuitivamente non è difficile classificare un brano nel genere di appartenenza. Meno chiara è l'individuazione delle caratteristiche tecniche che permettono di discriminare i generi. “Il grado di omogeneità formale e stilistica di tali raggruppamenti, è molto variabile e diviene addirittura nullo nel caso di generi con alle spalle una lunga storia, quali la musica sinfonica o l'opera lirica. La loro identità si fonda piuttosto sul contesto sociale e ambientale a cui le composizioni sono destinate (il teatro, la sala da concerto, la discoteca, la strada, la sala da ballo, la chiesa, il salotto) e sulle diverse modalità con cui la musica si coniuga di volta in volta ad altre forme di spettacolo, arte o letteratura, quali il teatro, l'immagine, la poesia, il racconto.” (Wikipedia) La sezione presente, conterrà oltre all'approfondimento di questo tema, le recensioni musicali. Roberto R. ***
Le opinioni e i giudizi espressi nei commenti sono esclusivamente riferibili all'autore del commento stesso. In ogni caso non sono ammesse frasi diffamatorie, offensive o ingiuriose.
39 commenti:
PROGRESSIVE METAL
E’ un sottogenere dell’Heavy Metal, sviluppatosì verso la fine degli anni ’80. Il genere mescola l'aggressività e il volume del metal con la maestosità e le ambizioni classiche del Progressive rock. I Queensryche ne sono forse i fondatori, anche se poi spesso non rimangono nel genere da loro creato; mentre più simbolicamente lo rappresentano i Dream Theater.
Il progressive metal riproduce numerosi degli elementi tipici del rock progressivo, sia dal punto di vista dello stile musicale in senso proprio (uso di segnature ritmiche insolite, brani strutturati in suite, enfasi sulle tastiere (sebbene la chitarra rimanga portante), contaminazioni con la musica classica (soprattutto in Europa). Tutti questi elementi vengono però reinterpretati integrando la tradizione dell' Hard and Heavy, di cui vengono riprese le sonorità generali (ritmiche più aggressive, enfasi sulla chitarra elettrica distorta come strumento chiave sia melodico che ritmico, riff "martellanti"). Nel progressive metal naturalmente le influenze vengono prima dagli altri generi metal come il power, il symphonic, l’epic, ma anche l’Hard Rock e i più commerciali come l’AoR o il Pop metal, senza contare poi le sonorità più soft e dolci.
Caratteristiche:
• Il virtuosismo
• I brani solitamente durano più di 4-5 minuti
• Sono molti i cambi di ritmo e di sonorità all’interno di un singolo brano
• Si utilizzano oltre al metal sound provenienti da altre tradizioni: musica classica; dissonanze jazz; tempi sincopati della fusion
• Testi molto vari
Roberto Latini
PROGRESSIVE ROCK
Il rock progressivo è una corrente del rock nata negli anni ’60, quando la musica rock, appunto, soprattutto in Inghilterra iniziò a divenire più colta. Ma è negli anni ’70 che essa assurge ad una dimensione e dignità sua propria con Pink Floyd, Genesis e Yes.
La sua proprietà è di mescolare tutti i generi musicali in modo da sfruttarne i suoni da ogni lato, ampliandone le potenzialità. Di base rimane rock, con radici Blues e Folk/Country, ma abbandonando la semplicità del rock’n’roll (pur mantenendone l’energia) e buttando dentro anche tradizioni musicali non legate al rock, come musica classica, Jazz, e anche funky o antica. Gli strumenti principali sono i soliti usati nel rock, ma spesso le tastiere sovrastano le chitarre mentre questo negli altri tipi di rock succede meno.
Il risultato è una maggiore complessità e varietà compositiva, oltre che melodica e armonica. Anche la durata dei brani aumenta (“Close to the edge”(’72) degli Yes dura 21 minuti e 55 secondi; “All of the above”(2000) dei Transatlantic dura 30.59; addirittura “Thick as a brick” (’72) dei Jethro Tull è di quasi 40 minuti). Lo stile rischia però di non essere caratteristico, i gruppi meno dotati sembrano una volta una cosa, una volta un’altra, soprattutto ai tempi attuali. Mentre negli anni ’70, almeno i tre principali erano immediatamente riconoscibili, riuscendo ad avere una personalità forte.
La musica rock quindi evolve, divenendo meno ballabile e emancipandosi dal solo svago, trasformandosi in musica d’ascolto. Il tentativo è di aumentare il livello artistico e farsi musica classica rock. Molti dischi dimostrano che l’obbiettivo è stato raggiunto.
Roberto Latini
MUSICA
IL ROCK DURO
Cosa sono l’Hard Rock ed il Metal?
Intanto ecco le parole di Luca Signorelli su “METALLUS”, libro dell’Heavy metal:
“La carta vincente del metallo, e assieme la sua maledizione più intima, è il proprio essere una musica “primaria”. Tocca corde istintive, emozioni non mediate, primitive. Il metal che non agita queste emozioni, che non va dritto all’impatto non è metal: è qualcos’altro di marginale al genere “.
Questo suo essere una musica non mediata (anzi, la musica meno mediata attualmente in circolazione) ne ha garantito una popolarità che non conosce flessioni dagli anni ’70. Così si sono succedute generazioni di metallari che condividono passioni e gusti simili, in una continuità che, a quanto mi risulta, non esiste per nessun altro tipo di musica di massa”.
Il concetto è che il metal non vive di mode passeggere ma è costante nell’avere un suo pubblico specializzato. Dal ’69 ad oggi, tale musica si è rinnovata nel tempo senza snaturarsi ma arricchendosi con sonorità di altri generi. Non sempre è una musica immediata, nel senso che spesso è anticommerciale (sebbene esista un metal orecchiabile e commerciale).
Scritto da : sky-robertace
CLASSIFICA ALBUM 2009 DI SKY ROBERTACE
(i commenti più lunghi li faccio solo sui migliori, cioè i primi dieci)
1. ENDGAME Megadeth. Un muro di suono duro e compatto
La band americana è uno dei massimi esponenti del Thrash Metal, ma possiede sonorità di vecchia data essendo un gruppo di artisti che suona dagli anni ’80. Eppure l’energia e la capacità compositiva continuano a mantenere una qualità che solo in alcuni momenti pare già ascoltata. Rispetto a molto dell’attuale cantato Growl, il chitarrista cantante Mustaine, leader del gruppo, si ostina a cantare (e bene). Tanta "cattiveria" e suono di puro metallo.
2. INTO THE LABYRINTH Saxon Metal Rock Blues nudo e crudo
I Saxon esistono dal 1979, ma dopo un periodo di crisi, tornano a concepire un disco ottimo. Suono tagliente come quello dei primordi con una voce sibilante che Biff sa usare con maestria (ormai l’eperienza è tanta). Un solido classico Heavy Metal, fresco ed energico. Tra anima rock’n’roll e potenza epica, questi vecchi inglesi rimangono più bravi degli allievi.
3. POLARIS Stratovarius. Sound fresco e tecnico
Di questo gruppo finlandese io conoscevo solo il quinto album “Episode” del ‘96. Un bel lavoro oscillante tra il Power e il metal Epico. Di colpo salto al 2009 con questo, che invece alterna brani power a brani di carattere progressive. Quello era più intenso e pesante, questo invece risulta più immediato (già al secondo ascolto le melodie sono entrate in testa) nonostante si senta la ricerca (riuscita) di non essere scontati. A volte le canzoni mi sembrano troppo brevi, ma nel complesso vi sono forti momenti interessanti ed emozionanti. Molto bella e pulita la voce.
4.THE DAYS OF GRAYS Sonata Arctica. Album ispirato, di ampio respiro
Ancora una band finlandese, del resto ormai da molto tempo la Scandinavia sforna metallo di lusso. Possiamo dire che il Power dei Sonata è ora più inclinato verso il progressive, molto più degli Stratovarius. Credo che alcuni momenti cali il livello compositivo, ma nei brani migliori si vive una atmosfera particolarmente ispirata. Io avrei usato questo disco per la colonna sonora dil film “AVATAR”.
5.FOREVER FIGHT White Skull. Heavy metal classico e potentemente epico
Il gruppo italiano che alla manifestazione di Terni mi aveva entusiasmato di più, si conferma entusiasmante anche su disco. Classico Heavy Metal con connotazioni Power. Senza sbavature, pieno, epico. Da sole già “Forever Fight”(cattiva, tirata, scatenata), “Heavy metal axes”(super inno che più anni ’80 non si può) e l'ironica “Beer, Cheers”(medievaleggiante, accattivante, allegra e fatta apposta per i metallari la cui bevanda d’eccellenza, si sa, è la birra) ti agganciano e non ti lasciano più…viene voglia di riascoltarle di seguito. Ma ariose, tecniche, ben costruite sono “Escape”; “Spy”; “Attle and Bleda”(ampia e generosa) e “Visions”, senza contare che tutto l’album rimane di alto livello. La voce (la cantante è una pulzella) non è classicheggiante alla Tarja, né suadente come quella degli Evanescence, ma è tipicamente Rock, essenziale; se anche non è perfetta, con l’abitudine all’ascolto perde i difetti e se ne acquista la carica.
E’ un metal fatto per buttarsi nella mischia.
6.BLACK CLOUDS & SILVER LININGS Dream Theater. Poca originalità ma tanta classe
Questo album utilizza tutte le musicalità progressive sperimentate in passato da questo gruppo americano, mescolando le sonorità dell’inizio a quelle più oscure del progressive metal espresso successivamente. Non si evidenzia una ulteriore evoluzione…è solo un bell’album. Non ci sono brani monolitici, bensì pezzi dal carattere multiforme che, alla fine, non caratterizzano il lavoro verso una direzione particolare. Un bel disco pieno di virtuosismi, ma chissà perché io mi aspettavo ancora di più.
7. SCORE OF THE NEW BEGINNING Fairyland. Sinfonico e artistico
Un altro album di symphonic metal, stavolta francese. Ennesimo album di tal genere, eppure ancora una volta ci troviamo davanti ad un ottimo album. Ma è la voce principale, più dei ritornelli e della parte strumentale, a fare colpo, con una minore liricità rispetto al cantato di altri gruppi. Questa è però più rock e potenzia di molto i brani, che talvolta sconfinano nel power (come succedeva soprattutto per i Rhapsody). Nel disco vi suonano un sacco di musicisti provenienti da altre band. Il nome della band si ispira ad una serie di romanzi fantasy dello scrittore Pratchett.
8. AUTUMNAL Dark Moor. Lavoro maturo ed energico
Questa volta il Symphonic Metal viene dalla Spagna. I brani sono personali e non un ricopiaticcio che in questo genere è sempre un rischio possibile. Le vocalità sono ben congegnate e non un facile coretto da opera classica come molto spesso avviene in altri gruppi ed è avvenuto anche in loro album passati. Il lavoro parte con una cover di Cajkovskij, “SWAN LAKE” che colpisce per l’abilità con cui è stata potentemente rielaborata, voce e arrangiamento. A volte riproporre cose del genere è stucchevole, non in questo caso dove il gruppo ha fatto suo, il pezzo. Nel disco, al cantante Alfred Romero, si associa la voce della brava Itea Benedicto (una soprano), componente del gruppo symphonic metal “Niobeth”.
9. 9 DEGREES WEST OF THE MOON Vision Divine. Piuttosto originale
Questa band italiana di power metal con rare venature progressive, ha costruito un nuovo capitolo. Dopo i loro due album migliori (“The Perfect Machine” del 2005 e “The 25th hour” del 2007), troviamo un'altra bella prova, assolutamente personale che non è la copia delle precedenti, ma ancora una volta una piacevole sorpresa. Non raggiunge i livelli dei dischi appena citati, ma non torna indietro alle origini anche se vi troviamo il vocalist degli esordi: Fabio Lione (anche Rhapsody of Fire) cantante nei primi due album. Si può dire che i Vision Divine hanno avuto un crescendo nel loro livello espressivo dal primo album fino ad oggi, migliorando anche nella produzione sonora, buon suono conservato ancora in questo sesto album. La band è tecnica, pulita e metallica. L’orecchiabilità non è commercialità, e la personalità è evidente.
10. SONIC BOOM Kiss. Un ritorno anni ’70 senza cadute di tono
Mi sono sempre chiesto (è stata davvero una domanda ricorrente in me); ma risuonare in quel loro primordiale stile è difficile? Non è più nella loro verve? La risposta è questo disco, simile anche nella grafica della copertina a quegli anni lontani. In effetti l’impressione è una voluta e cosciente ricerca di avere lo stesso stampo degli anni ‘70 (alcuni passaggi e accordi, appena accennati, appaiono proprio copiati), eppure si respira un’aria di freschezza in cui non traspare una sensazione di già sentito in nessuna di queste canzoni. Insomma, la spontaneità forse non c’è stata, ma sembra il contrario. La domanda è: ha senso tornare al passato? In verità si può dire che gli arrangiamenti non sono affatto legati solo al passato, il tutto, a ben ascoltare, è un misto tra vecchio e nuovo, con chitarre che fanno il verso al passato, ma risultando diverse. Pur sentendo il carattere dei tempi d’oro le canzoni sono altre e sanno di nuovo anche sapendo di antico. Esse poi non danno il senso di arrangiamento asciutto che avevano in quegli anni in cui la produzione appariva più asettica nei Kiss da studio, il suono è corposo. E allora? E allora vai con la magia di questi rock’n’rollers americani, trucco facciale compreso.
11. I Chickenfoot. La forza del R’n’R americano
12. ONE OF A KIND Killing Touch (Italy). Una voce da paura e tanta tecnica strumentale
13. WORLD PAINTED BLOOD Slayer. Un attacco portato con stile
14. SHALLOW LIFE Lacuna Coil (Italy). Composizioni studiate con cura
15. VICTIM OF THE PAST Giulio Rossi (ternano). Voci nella media ma grande chitarra
16. SHAKA ROCK Jet. Elettricità e divertimento
17. PLASTIC PILLS FOR HAPPY PASSENGERS Savalas (ternani). Saporiti al punto giusto
18. LIEBE IST FUR ALLE DA Rammstein. Forti ma un pò inquietanti
19. LAST LOOK AT EDEN Europe. Un ascolto piacevole
20. MURDER BY PRIDE Stryper. Rock’n’roll pieno di anima
21. NO LINE IN THE HORIZON U2. Rock di classe per un ritorno di livello
22. WORKING ON A DREAM B.Springsteen. Classico, amabile, ben piantato a terra
23. THE INCIDENT Porcupine Tree. Carino ma troppo semplice
24. WINTER SONGS Halford. Quando il nome non è una garanzia
25 KING OF DREAM Sunstorm. Quando l’esperienza non serve a niente.
MUSICA
Top Jazz 2009
Per l’edizione 2009 del sondaggio “Top Jazz” la rivista italiana Musica Jazz ha chiamato a votare 60 critici specializzati per eleggere i migliori classificati per ognuna delle seguenti categorie: 1) disco dell’anno; 2) musicista dell’anno; 3) formazione dell’anno; 4) miglior nuovo talento; 5) compositore e arrangiatore dell’anno; 6) strumentista dell’anno (ottoni); 7) strumentista dell’anno (ance); 8) strumentista dell’anno (tastiere); 9) strumentista dell’anno (basso e batteria); 10) strumentista dell’anno (miscellanea, voce). Da tre anni il voto è concentro tutto sul jazz italiano, vista la crescita a dismisura che ha avuto negli ultimi anni nel panorama mondiale.
Ecco le prime cinque classifiche.
1) Disco dell’anno è stato un ex aequo tra “Stunt” del trombettista Fabrizio Bosso in duo con il pianista e fisarmonicista Antonello Salis e “NEW YORK DAYS” del quintetto del trombettista Enrico Rava, con Stefano Bollani al pianoforte, Mark Turner al sax, Larry Grenadier al contrabbasso e alla batteria Paul Motian. Il disco “Stunt” del duo Bosso/Salis è stato registrato al Parco della Musica in Roma il 17 e 18 marzo del 2008 e testimonia l’inesauribile freschezza e vigore di Fabrizio Bosso, accanto alle moltiplici e originalissime sfaccettature di Salis; oltre a brani originali e standards (Bésame mucho, Body and Soul e altri) il duo inserisce nel disco anche “Roma nun fa la stupida stasera” e “Domenica è sempre domenica”. Del febbraio 2008 è invece il disco “New York Days”, registrato nella metropoli newyorkese dal quintetto del Trombettista Enrico Rava che per l’occasione ha festeggiato la cinquantennale attività di musicista: un disco memorabile, non a caso considerato uno dei migliori realizzati fino ad oggi.
2) Musicista dell’anno, di nuovo lui, Enrico Rava.
3) Migliore formazione dell’anno è risultata la Gianluca Petrella Cosmic Band. Il trombonista ha da poco fondato un’etichetta indipendente, la Spacebone (ispirata al noto film “2001 – Odissea nello spazio”), pubblicando anche il primo disco della Cosmic Band dal titolo “Coming Tomorrow – Part one” e che è in procinto di pubblicarne un altro in duo con il batterista Bobby Previte.
4) Miglior nuovo talento è stato votato Luca Aquino, 28 anni, trombettista campano. Con il disco "Lunaria “ inciso nel 2009, ha conquistato pubblico e critica. Oltre a sue composizioni, nel disco ci sono brani di Mina, Miles Davis, Fabrizio De Andrè, inseriti in un contesto musicale condito di elettronica ed elettrofunk.
5) Miglior compositore e arrangiatore dell’anno è stato votato Dino Betti Van der Noot con il disco “God save the earth", il quale nonostante non goda di grande notorietà né abbia una buona produzione discografica al suo attivo (basti pensare che nell’arco di circa vent’anni ha inciso solo tre dischi), è considerato un geniale alchimista dei suoni, attentissimo alle dinamiche del gruppo che dirige, oltre che un eccelso compositore.
Roberto R.
“By this river” di Brian Eno. Il brano (1977), un autentico capolavoro, è caratterizzato da una atmosfera rarefatta, con Eno che canta in un tono dimesso e rassegnato, mentre il piano e le tastiere si accarezzano ricamando un tessuto preziosissimo. "By This River" è la pace dei sensi, uno sbadiglio d'anima, il raccoglimento, la calma. "By This River" è stata voluta fortemente da Nanni Moretti nel suo film "La stanza del figlio".
Brian Eno ha inventato la musica ambientale. E' stato il precursore della new wave e della new age, ed ha trasformato il linguaggio del suono degli ultimi trent'anni. Pioniere dell'ambient-music e del glam-rock, videoartista, filosofo della musica, scultore, cantante, polistrumentista, maitre-à-penser della cultura pop, padrino della "no wave", della dance elettronica e della new age, produttore, talent-scout. Brian Eno è un autentico guru della scena musicale degli ultimi tre decenni.
Nato a Woodbridge, Gran Bretagna, il 15 maggio 1948, Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno (questo il suo vero nome) cresce nel Suffolk, vicino a una base militare Usa, affascinato dai suoni "marziani" del doo-wop e dal rock & roll primitivo trasmesso dalle stazioni radio delle Forze Armate americane. Negli anni 60, lasciato il convento cattolico dove ha ricevuto l'istruzione media, studia arti visive a Ipswich e musica sperimentale a Winchester. Apprende le tecniche della musica concreta, aleatoria, gestuale, minimale ed elettronica (inventa persino una macchina sonora ad acqua piovana e incide un brano per percussione di lampada metallica). Un patrimonio di esperienze raccolte nel libro manifesto "Music For Non-musicians", nel quale Eno teorizza la figura del "non-musicista", incompetente dal punto di vista tecnico, ma ricco di genio creativo. L'opera d'arte, a suo giudizio, deve essere composta in tre fasi: concepimento del brano, esecuzione da parte di singoli strumentisti (questi sì competenti) e manipolazione finale dei nastri da parte dell'autore. A lui interessa soprattutto la terza fase. I suoi riferimenti musicali sono principalmente nella musica contemporanea (John Tilbury e Cornelius Cardew in particolare) e minimale (John Cage, La Monte Young, Terry Riley), ma il suo è un concetto di musica che trascende il semplice fatto musicale, una teoria multimediale ante-litteram,
L’ambient, anche detto musica ambient o musica d’ambiente (in inglese ambient music), è un genere musicale in cui l'atmosfera può assumere più importanza nelle note. È generalmente identificabile come un genere musicale caratterizzato da suoni ampiamente atmosferici e naturali.
La musica ambient si evolse agli inizi del Novecento, con i primi esperimenti di musica "semi acustica", passando per l’impressionismo di Erik Satie, e la musica concreta e il minimalismo di Terry Riley e Philip Glass, e in tempi più recenti dalla musica di Brian Eno.
Ecco il testo della canzone:
Eccoci qui
ipnotizzati da questo fiume
io e te
sotto un cielo che continua a cadere, cadere giù
continua a cadere giù
attraverso il giorno
come se fossimo in un oceano
aspettando qui
sempre senza riuscire a ricordare perchè siamo venuti qui
mi domando perchè siamo venuti qui
tu mi parli
come se fossi lontano
ed io rispondo
con sensazioni prese da un altro tempo
da un altro tempo
Roberto R.
“DANGER OF LOVE” dei LOUDNESS.
Anche il sol levante ha il suo metallo, ma i Loudness sono stati gli unici ad essere considerati alla pari dei gruppi anni ’80 della ribalta euro/americana. 23 albums dal 1981 al 2009. Questo brano è tratto dal nono “Soldier of Fortune” del 1989.
La caratteristica di questo album è stata la sostituzione del cantante giapponese Minoru Niihara, dalla voce un po’ stridente, con un singer americano, Mike Vescera. I quattro nipponici avevano già sfornato buonissimi primi album, ma nell’89 la musica si fa più elegante, cercando di fare breccia nelle orecchie dei metallari USA. Ci riescono.
“Danger of Love” fa capire subito che lo strumento in primo piano è la chitarra; Akira Takasaki considerato un ottimo “axeman” (il termine, “uomoascia”, viene usato nel metal per indicare il chitarrista), cesella la composizione con pulita maestria; gli effetti della sei corde sono disseminati in ogni passaggio musicale. Il brano è all’apice compositivo dell’album ma è uno dei meno tirati; nonostante la ritmica incalzante la linea risulta estremamente melodica. La bella voce, intrigantemente appena un po’ roca, è sostenuta da sovraincisioni di brevissimi inserti corali.
Ma più significativa è la parte centrale introdotta da un leggero tappeto di tastiere che poi lascia il posto all’assolo di chitarra, sostenuto da una batteria semplice ma dal suono pesante. La chitarra si scatena in una composizione tecnica con inserti melodici spezzati da scale veloci.
Purtroppo la seconda prova con Vescera ebbe minore successo e il cantante lasciò. Successivamente la vena creativa si impoverisce e il gruppo intraprende una strada dal suono completamente diverso. Se all’inizio carriera il suono era duro ma estremamente tecnico, dopo la parentesi americana il sound torna duro però grezzo, abbandonando spesso anche i virtuosismi, e ciò in linea con l’evoluzione Grunge del momento (periodo Nirvana), senza però le idee di altri fortunati contemporanei. Una evoluzione inaspettata con dischi sempre meno validi, in uno stile piatto che nulla ha a che fare col vecchio gruppo originale.
Roberto L.
MUSICA
“About silent way” di Martux
Un recente cd molto interessante è “About silent way” di Martux. Il cd in questione è un intelligente, intrigante e appassionante omaggio alla musica di Miles Davis e in particolare al suo album In A Silent Way a 40 anni dalla prima pubblicazione. Il progetto è intitolato About A Silent Way e nasce da un idea del percussionista, compositore e musicista elettronico Maurizio Martusciello, in arte martux_m. L’intento non è quello di reinterpretare per l’ennesima volta le musiche del carismatico trombettista di Saint Louis, ma semmai quello di ricostruire un mood, un sound, un approccio, quel particolare atteggiamento e metodo di lavoro con cui Davis riuscì, in una fatidica, fervente e frenetica stagione, a traghettare il jazz verso un infuocata elettricità e un più generale ampliamento dei suoi orizzonti proprio a partire da In A Silent Way. Martusciello ha per l’occasione messo insieme un quartetto d’eccezione con Fabrizio Bosso alla tromba, Francesco Bearzatti al sax tenore, Eivind Aarset alla chitarra, e Aldo Vigorito al contrabbasso.
Il gruppo è valorizzato al meglio dalla sapiente regia di Martusciello. Nel ricreare l’eletrizzante atmosfera di In A Silent Way, Martusciello riesce nella suggestiva impresa di far rivivere Miles Davis, misurandosi con una nuova frontiera del nostro tempo, l’elettronica. Il risultato è una nuova emozionante musica “autenticamente” davisiana ancora una volta proiettata con audacia verso il futuro.
Roberto R.
“GNOSSIENNES 1” del compositore Erik SATIE.
Il termine Gnossienne, coniato da Satie, indica un nuovo tipo di composizione musicale. Gnossienne deriva apparentemente dalla parola gnosi, Alcune fonti, tuttavia, asseriscono che il titolo derivi dal famoso palazzo cretese di Cnosso, o "Gnossus", e che le composizioni siano dunque da collegare al mito di Teseo, Arianna e il Minotauro.
Satie compose le Gnossiennes fra il 1889 e il 1897, ossia nel decennio successivo a quello in cui scrisse le tre Sarabandes (1887) e le più famose Gymnopédies (1888). Come le Sarabandes e le Gymnopédies, le Gnossiennes sono spesso state definite delle "danze".
Satie fu in vita un personaggio originale e bizzarro, come sottolineato dai cronisti del tempo. Visse in un appartamento chiamato da lui "l'Armadio", composto da due stanze, di cui solo una utilizzata pienamente, mentre l'altra era chiusa a chiave; il contenuto di questa venne scoperto solo alla morte dell'artista: conteneva una collezione di ombrelli di vari generi a cui lui teneva così tanto che non li usava. Una delle numerose idee fisse di Erik Satie era il numero tre, un'ossessione mistica; forse una reliquia del simbolismo trinitario associato all'Ordine cabbalistico dei Rosacroce, del quale Satie aveva fatto parte in gioventù. Molte delle sue composizioni sono raggruppate in cicli di tre, e tra queste le Trois Gymnopédies del 1888.
Satie è un compositore anomalo, o almeno ancora molto sottovalutato.
La vita del compositore francese può essere suddivisa in due: una fase giovanile, volutamente lontana dalle avanguardie principali, in cui vedono la luce le più importanti composizioni pianistiche, e una seconda fase dopo i 50 anni d'età in cui Satie diventa caposcuola del nascente gruppo dei sei e in cui iniziano le grandi collaborazioni con gli artisti più importanti dell'epoca.
La sua ricerca armonica può essere considerata antesignana dei movimenti dada a surrealista. Erik Satie è il misuratore di suoni, il provocatore, il non-musicista... eppure, come ha detto John Cage "Erik Satie ci è indispensabile". Satie è il vero padre del minimalismo, il precursore della musica ambient. Ma è anche molto di più perché nonostante tutto e nonostante il tempo che è passato continua a rimanere unico e senza imitatori. Erik Satie morì a 59 anni di cirrosi epatica il 1 luglio del 1925. Erik Satie appare in alcune scene del film Entr'acte diretto nel 1924 da Renè Clair, mentre il suo personaggio è interpretato da Matthew Whittet nel film Moulin Rouge! di Baz Luhrmann del 2001.
Roberto R.
MUSICA
Ambient Music
La musica ambient o musica d’ambiente, è un genere musicale in cui l'atmosfera può assumere più importanza nelle note. È generalmente identificabile come un genere musicale caratterizzato da suoni ampiamente atmosferici e naturali.
La musica ambient si sviluppa agli inizi del Novecento, con i primi esperimenti di musica "semi acustica", passando per l’impressionismo di Erik Satie, e la musica concreta e il minimalismo di Terry Riley e Philip Glass, e in tempi più recenti dalla musica di Brian Eno.
Brian Eno è generalmente accreditato per aver coniato il termine "musica ambient" nella metà degli anni 70, per riferirsi alla musica che, come egli afferma, può essere "ascoltata attivamente con attenzione come può essere facilmente ignorata, a seconda della scelta dell'ascoltatore. Eno, si descrive come un "non musicista", tenendo esperimenti sonori piuttosto che perfomances tradizionali. Eno utilizzò il termine "ambient" per decrivere una musica che creava un'atmosfera e che cambiava lo stato d'animo dell'ascoltatore in uno diverso.
Eno è stato anche influenzato da Erik Satie e John Cage, e dalla musica minimalista in generale.. Eno raccolse anche influenze dalla musica di Miles Davis e di Teo Macero, specialmente nei loro epici pezzi del 1974, "He Loved Him Madly", e riguardo a ciò, Eno scrisse, "tale pezzo sembrava avere qualcosa di qualità 'spaziosa' dopo che era...diventata un banco di prova dove mi ero soffermato con frequenza".
I primi album dei Pink Floyd (come Ummagumma e Meddle) e degli artisti krautrock orientati verso la "Kosmische Musik", come Tangerine Dream, Popol Vuh e Cluster, mostrano grandi influenze da questo genere musicale. I primi album di elettronica ambient furono Affenstunde (1970) e In Den Garten Pharaos (1971) dei Popol Vuh. Un altro album importante fu Sonic Seasonings (1972) dei Wendy Carlos. Altri artisti come Klaus Schulze (un ex membro dei Tangerine Dream e dei Ash Ra Tempel), Jean Michel Jarre, e Kraftwerk, furono molto influenti negli anni settanta e negli anni ottanta. Negli anni 70, alcuni musicisti ambient e krautrock, vennere influenzati dalla spiritualità della new age, portata avanti da un eclettico genere musicale conosciuto come musica new age, vendendo milioni di copie indipendentemente dall'industria musicale mainstream, attraverso gli ordini via posta o nei negozi new age. Negli anni 80, la musica new age divenne più conosciuta della musica ambient, tanto che l'ambient è stata considerata come sinonimo di "New Age", e molti musicisti ambient iniziarono a trattare di temi di new age per guadagnare più audience.
Roberto R.
Krautrock: Il krautrock (anche detto Kosmische Musik o Corrieri cosmici) è un termine coniato dalla stampa e critica angloamericana in riferimento a gruppi attivi in Germania negli anni settanta che hanno prodotto in varia misura forme musicali nuove a partire dal rock progressivo o dalla musica elettronica tedesca (ad esempio Karlheinz Stockhausen) dei decenni precedenti. Roberto L.
MUSICA
“EASTON HOPE” – album degli Orden Ogan (2010)
Questo è il sesto album dal 1997 degli Orden Ogan, gruppo Power Metal tedesco con influenze epiche, folk e Sinfoniche.
Ottima produzione e tecnica. Linee melodiche pulite e cori potenti. Un album piacevole anche se non c’è estrema originalità ed anche se la personalità non è assoluta. La ritmica spesso è di tipo Thrash, ma il Power e l’Epicità sono preponderanti. Pochi i momenti folk, presenti soprattutto negli assoli tastiera/chitarra.
“NOBODY LEAVES” inizia forsennatamente energica, poi vi sono vari cambi di ritmo ed un efficace songwriting melodico. Atmosfera ariosa e accattivante. La ritmica di tipo Thrash porta il brano ad avere momenti piuttosto duri, ma la voce e i cori ammorbidiscono efficacemente la song (in mezzo c’è anche un ponte soft).
La titletrack “EASTON HOPE”, più cupa e lenta, è però più varia. Essa avvia l’ascolto verso un canto che si alterna tra stile Thrash e morbido AoR, per poi effettuare cori epici alla Blind Guardian con equivalenti tappeti tastieristici. Bel brano appassionato.
“WELCOME LIBERTY”, con il suo middle-time (comunque sempre presente la doppia cassa) e il ritmo quasi ballabile, è una canzone relativamente orecchiabile. La voce sporca dà forza alla parte cantata ma lascia fluida e orecchiabile la linea melodica. La parte centrale dolce, rende ancora più orecchiabile il pezzo.
Anche “ALL THESE DARK YEARS” fila via utilizzando un middle-time, spezzandosi con momenti calmi di pianoforte e voci. Stessa scia caratteriale di “Welcome Liberty”, stessa orecchiabilità con punte però di maggiore epicità, soprattutto grazie ai cori, e si può considerare anche più ampia per sonorità e trama compositiva. Forse il brano migliore dell’album.
Il disco si chiude con “OF DAWNFALL AND DECLINE” che è il brano con più variazioni. Brevissimo inizio epico/sinfonico stile colonna sonora a cui si aggiunge poco dopo la ritmica Thrash, che poi cessa lasciando il posto ad un momento quasi progressive, basso/batteria/voce, seguito da tastiere e chitarra acustica. Quarto cambio di ritmo, arriva l’attimo cupo accompagnato da cori da musica classica. L’assolo chitarristico sferraglia dissonante, poi il brano scende verso un rilassante finale.
Ormai i musicisti bravi sono tanti e anche compositivamente fanno cose che possono essere qualitative. Logico che uscire dalla media dei buoni lavori risulta difficile. Una volta un disco così sarebbe stato osannato, ora si tratta solo, appunto, di un buon lavoro.
Roberto L.
MUSICA
JAZZ - Stefano Bollani "CARIOCA"
Stefano Bollani nel cd “Carioca” affronta il repertorio meno conosciuto della musica brasiliana rileggendo autori storici e affrontando brani della nuova generazione di autori come Monica Salmaso e Ze’ Renato. L’idea del progetto nasce nel 2006 quando Stefano Bollani viene invitato con il suo quintetto, I visionari, a suonare al Tim festival di Rio de Janeiro. Da anni l’amico Alberto Riva, giornalista e esperto di musica, immagina con lui un disco con cui rileggere il repertorio carioca più raro mettendo il pianoforte di Bollani al centro del progetto, al posto del cantante. Contattato il sassofonista Ze’ Nogueira, al quale viene affidato il compito di mettere insieme il gruppo e organizzare la registrazione, ecco partire la nuova avventura. In tre giorni viene realizzato a Rio un disco uscito poi in tutte le edicole italiane in allegato con l’Espresso. Insieme con Bollani ci sono Mirko Guerrini e Nico Gori, i fiati de I visionari, insieme ad alcuni fra i più importanti musicisti brasiliani: Jorge Helder, Armando Marçal, Jurim Moreira e Marco Pereira.
Bollani si è diplomato al conservatorio di Firenze nel 1993 e dopo una breve esperienza pop con Irene Grandi, Raf e Jovanotti è diventato velocemente uno dei jazzisti italiani più apprezzati da critica e pubblico. Ha collaborato con molti grandi musicisti, come Gato Barbieri, Lee Konitz, Pat Metheny, Michel Portal, Enrico Rava, Paolo Fresu, Richard Galliano, Han Bennink e Phil Woods. La collaborazione più importante e prolifica è quella col suo mentore, il trombettista Enrico Rava.
Nel 1998 Bollani vince il premio della rivista Musica jazz come miglior nuovo talento, premio conferitogli anche dalla rivista giapponese Swing journal (New Star Award) nel 2003, anno in cui la rivista inglese Mojo segnala il suo disco Smat Smat come uno dei migliori dell'anno. Tra gli ultimi lavori I Visionari (2005), in formazione di quintetto, Piano Solo (2006), The Third Man (2007), con il trombettista Rava, e l'ultimo BollaniCarioca (2007) in cui il pianista con alcuni altri musicisti rivisita brani della tradizione brasiliana. Sempre nel 2007 Bollani vince il prestigioso Hans Koller European Jazz Prize come migliore musicista europeo dell’anno 2007. Lo stile di Bollani è particolarmente eclettico e ricchissimo di citazioni musicali, ama scherzare ed improvvisare con il pubblico e non disdegna collaborazioni originali come quelle coi cantautori Massimo Altomare e Bobo Rondelli (con il quale ha inciso l'album Disperati intellettuali ubriaconi da Bollani personalmente arrangiato), spettacoli teatrali con l'attore David Riondino e la Banda Osiris, apparizioni televisive (Meno siamo meglio stiamo con Renzo Arbore) e radiofoniche (Caterpillar, su Radio Due). Dal 2006 conduce la trasmissione radiofonica Il Dottor Djembe; via dal solito tam tam, insieme a David Riondino e a Mirko Guerrini, in onda su Radio Tre. Bollani ha pubblicato anche alcuni libri fra cui L'America di Renato Carosone e La sindrome di Brontolo. Nel 2008 riceve, insieme ad Enrico Rava, una Nomination come Best Jazz Album per "The Third Man", agli Italian Jazz Awards 2008 "Luca Flores". Dall'anno 2008 Stefano Bollani riveste la carica di Gran Visir del Sultanato dello Swing, su investitura effettuata dal sultano Freddy Colt. È sposato con la cantante Petra Magoni. Nel 2009 ha collaborato, fra gli altri, con Chick Corea proponendo un duo pianistico senza precedenti in varie città d'Italia. Contemporaneamente ha tenuto 14 date con il concerto "Carioca". Roberto R.
Video su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=SDf6rQTapeU
intervista http://espresso.repubblica.it/multimedia
MUSICA
“IN THE NIGHT” - Dream Evil (2010)
Gruppo svedese di Speed/Power metal, ma anche classicamente di Heavy Metal anni ’80.
Questo quinto album, dopo 4 dal 2002, è un lavoro grintoso dove presente è anche la tecnica. L’inventiva non è eccezionale ma vibra un minimo di personalità. Così alcuni brani ricordano troppo pezzi già sentiti, ma nella maggior parte di essi questo non avviene (di certo è un album meno contaminato di “To the Metal” dei Gamma Ray).
Le influenze sono quelle classiche dei tedeschi Accept; degli inglesi Judas Priest e Iron Maiden. Due belle canzoni come “Immortal” dal riff super sentito che possiede un ritornello che ricorda appunto molto i Judas e come “In the fires” il cui ritornello ricorda gli Iron, il resto, nonostante alcuni brani sotto tono, vive abbastanza di luce propria.
“IN THE NIGHT” inizia con accordi stantii, ma poi si riprende con un songwriting interessante; il duetto voce solista/cori è potente. Il middle time è incalzante e il tutto si presenta compatto e convincente.
“BANG YOUR HEAD”, classico Judas-style, è cantato con voce fluida ma dura al punto giusto, e quando si acutizza sembra proprio la voce di Halford (Judas singer).
“SEE THE LIGHT” inizia con rivoli di chitarra dinamici e si infila in un set acustico allegro e orecchiabile. La parte cantata ha una sonorità che ricorda lo stile Europe.
“ELECTRIC” attacca l’ascoltatore con forza rockenrollante, anche se perde qualcosa al momento del ritornello che risulta troppo scontato.
Quando parte la cavalcata “MEAN MACHINE” si avverte maggiore epicità, il brano rimane semplice ma incisivo.
Canzone assassina, come il titolo esprime, è “KILL, BURN, BE EVIL”, scatenata e feroce. Un brano compatto e tenace.
La sorpresa è “THE UNCHOSEN ONE”; non sembra un brano di quest’album tanto lo stile risulta diverso. Ma è una piacevole sorpresa, forse è il pezzo migliore del disco. La linea melodica viene accompagnata da tastiere che fanno la parte dei violini, con cori assolutamente differenrti da quelli duri degli altri brani, che rendono con pathos l’evoluzione della canzone.
“THE RETURN” è il brano che fa venire in mente i Saxon; con batteria solo a tratti velocissima, riesce a risultare il brano più violento. E’ forse l’unico pezzo all’altezza di “The unchosen one”. La parte più morbida non diminuisce la potenza del brano.
La caratteristica del gruppo che qui risalta è la capacità interpretativa vocale ma anche la presenza continua dei brevi cori fortemente arricchente l’anima metal dei pezzi.
Roberto L.
MUSICA
WICKED SYMPHONY - ANGEL OF BABYLON: Due album degli Avantasia (2010)
Tobias Sammet è la mente iperprolifica di Edguy e Avantasia.
Rispetto ai precedenti tre album, questi due sono minori; si cerca troppo l’orecchiabilità facile. Assomiglia infatti più ad un disco degli EDGUY, gruppo originale di Tobias Sammet. Naturalmente la classe di Tobias non permette di concepire un album scadente, e infatti questi sono buonissimi, però non aggiungono molto alla saga discografica del progetto (si ricorda che gli AVANTASIA sono appunto un progetto metal, il quale prevede la presenza di molti ospiti esecutori tra cantanti e musicisti. Il titolo del progetto è la fusione delle parole Avalon e Fantasia).
Essi sono i successori della saga intitolata “Scarecrow” (il terzo album).
Vi troviamo, tra le voci, Kiske, ex cantante dei tedeschi Helloween; Matos, ex cantante dei brasiliani Angra; Meine, cantante dei teutonici Scorpions. Insomma, Tobias si attornia di grandi voci senza timore, anche rischiando di sfigurare. Egli, infatti, non appare il migliore fra i vari, anche se rimane ottima la sua performance non solo come capacità vocale ma anche come capacità intrepretative. E tra i musicisti Kulick, chitarrista dei KISS; Holzwarth, drummer dei Rhapsody Of Fire.
I pezzi migliori per me sono:
“The Wicked Symphony”
SCALES OF JUSTICE, è Judas Pristiana e non poteva essere diversamente perché la canta Tim “Ripper” Owens, ex cantante dei Judas appunto (che come sempre fa il verso ad Halford, il vero singer Judas). E’ dura ma anche di ampio respiro.
“BLIZZARD ON A BROKEN MIRROR” porta l’ascoltatore verso una atmosfera tra il Pop Metal e il Progressive, e la voce costruisce una linea melodica dal pathos pieno. Andre matos si conferma grande voce che sa salire ad altezze siderali.
Non abbiate ribrezzo, l’inizio tastieristico di “CRESTFALLEN” fa pensare ad un brano ipercommerciale, ma invece è un gran bella canzone, infatti, sebbene non durissima strumentalmente, è incattivita dall’interpretazione vocale di Jorn Lande (Masterplan) usata con eclettismo.
“FOREVER IS A LONGTIME”, stile alla Whitesnake soprattutto grazie alla voce calda di Jorn Land che qui ricorda molto Coverdale, è accattivante e suonata con morbida classe bluesata.
“STATES OF MATTER” usa un arrangiamento compatto, con una linea vocale orecchiabile ed efficace che rimane nella testa. Fa ballare e scatenare. Alla voce Russen Allen (Symphony X).
“Angel of Babylon”
“STARGAZERS” presenta voci diverse (Lande/Kiske/Allen) che si alternano con grande maestria. Si produce una magica atmosfera inizialmente rarefatta che poi prende consistenza con ritmo e anche cattiveria finale. Ottimo il secondo assolo di chitarra che ricorda lo stile Blackmoriano molto legato alle influenze della musica classica. E’ assolutamente la miglior composizione di quest’album.
“DEATH IS JUST A FEELING” è cantanta da un ruvido ma splendido Jon Oliva (proveniente dagli ormai sciolti storici Savatage; americani), che interpreta con verve teatrale un brano accattivante ed efficace (sembra un po’ Alice Cooper).
“SYMPHONY OF LIFE” sorprende poichè non ha niente a che fare con lo stile del resto del disco. Si tratta di una canzone che ricorda più il gothic metal (con venature sinfoniche) dei Within Temptation (olandesi) o degli Evanescence (americani). Ma è molto bella e intensa, cantata dalla mezzosoprano Cloudy Yang, da tempo corista con Tobias, e per la prima volta qui voce solista.
Finalmente una bella canzone tirata, senza troppi fronzoli; si tratta di “PROMISED LAND”, ariosa e allegra. Canta Lande.
Niente male “JOURNEY TO ARCADIA” che conclude l’album con l’intensità romantica (in senso culturale e non sentimentale) adatta ad un finale di storia. Qui, ad Allen, si aggiunge la voce del britannico Catley (Magnum). Sarebbe stato un brano perfetto per la teatralità di Meat Loaf (lo stile è simile).
Cosa penso?
Rispetto a ciò che mi aspettavo, ondeggio fra la soddisfazione e la delusione. Speravo in un disco più Heavy, invece un terzo dei brani presenta una certa faciloneria nei ritornelli, buttati là con troppa leggerezza. Gli arrangiamenti sono invece così curati e raffinati da riuscire a potenziare il livello compositivo. Inoltre la qualità degli assoli chitarristici compensa ampiamente il livello minore di alcune linee melodiche. Sfiorando soltanto il power metal dell’inizio avventura, troviamo un hard rock e un pop metal legato a un songwriting alla Rainbow del secondo periodo (senza R.J.Dio); alla Alice cooper; alla Europe; alla Bon Jovi e tipologie di metallo che strizzano l’occhiolino al mercato più commerciale.
Dischi di qualità, ma Tobias aveva scritto pezzi di Avantasia che ormai sono storia indelebile del Metal che non ha saputo, stavolta, eguagliare.
Roberto L.
“Gates of Babylon” dei Rainbow.
GATES OF BABYLON” (Rainbow) dall’album “Long live rock’n’roll”(1978)
Lasciati i Deep Purple (che continuano con un nuovo chitarrista), Ritchie Blackmore fonda l’”Arcobaleno” che nel ’75 fa uscire il primo album. Ne saranno pubblicati 8 in vent’anni, ma i più duri sono il secondo e il terzo, cantati da Ronnie James, che canta proprio “da Dio” come il suo nome d’arte (il vero nome, di origine italiana, sarebbe Ronald James Padavona). Nel terzo, “Long Live R’n’R”, c’è questa song della settimana “Gates of Babylon”, e l’album possiede alcune durezze dell’Heavy Metal prossimo a nascere. Le atmosfere hanno un che di Epico, con accenni power (non esiste ancora il termine Power Metal). Dal 1981, senza la voce “divina”, il suono diventerà più commerciale.
In tutto il brano è impressa una forte caratterizzazione medio-orientaleggiante, che in realtà era già stata utilizzata da altri gruppi (vedi Kashmir dei Led Zeppelin). Inizia con una tastiera che fa aleggiare un’aria di mistero e poi scatta in una ritmica particolarmente cadenzata, che accompagna la voce stupenda, maestosa e lirica di Ronnie James Dio. Ma il brano tutto è maestoso, e porta verso un assolo chitarristico la cui classe è assoluta: Blackmore accarezza dapprima la sua chitarra in note allungate e poi infligge una appassionata suadente melodia. Uno dei più grandi brani Hard Rock degli anni ’70. La fine ripropone la tastiera iniziale lasciando una strana melanconia nelle orecchie.
Roberto L.
MUSICA
Nella seconda metà degli anni ’70 il Rock ha subito un improvviso declino: la nascita del Punk e fenomeni di grande importanza come la New-Wave, l’Hardcore, il Post-Punk o il Dark Rock (tutti discesi sempre dal Punk), ha determinato un recesso della musica inglese Hard Rock e Prog Rock Questa crisi fece anche vittime illustri come Deep Purple e Black Sabbath. Mentre il Prog si riprese in seguito, l’Hard Rock si evolse in Heavy Metal, con gruppi come i Judas Priest o i Thin Lizzy. Insieme a loro c’erano Aerosmith, gli AC/DC o i Rainbow, che riuscivano a produrre dischi di buona qualità, valendosi del chitarrista Ritchie Blackmore e del cantante Ronnie James Dio.
Roberto R.
“Eravamo un manipolo di eroi” di Stefano Bollani (2006).
Stefano Bollani è un compositore e pianista jazz italiano; si è diplomato al conservatorio di Firenze nel 1993 e dopo una breve esperienza pop con Irene Grandi, Raf e Jovanotti è diventato velocemente uno dei jazzisti italiani più apprezzati da critica e pubblico. Ha collaborato con molti grandi musicisti, come Gato Barbieri, Lee Konitz, Pat Metheny, Michel Portal, Enrico Rava, Paolo Fresu, Richard Galliano, Hann Bennik e Phil Woods. La collaborazione più importante e prolifica è quella con il Enrico Rava. Nel 1998 vince il premio della rivista Musica Jazz come miglior nuovo talento, premio conferitogli anche dalla rivista giapponese Swing journal (New Star Award) nel 2003, anno in cui la rivista inglese Mojo segnala il suo disco Smat Smat come uno dei migliori dell'anno. Tra gli ultimi lavori I Visionari (2005), in formazione di quintetto, Piano Solo (2006), The Third Man (2007), con Rava, e l'ultimo Bollani-Carioca (2007) in cui il pianista con alcuni altri musicisti rivisita brani della tradizione brasiliana. Sempre nel 2007 Bollani vince il prestigioso Hans Koller European Jazz Prize come migliore musicista europeo dell’anno 2007. Lo stile di Bollani è particolarmente eclettico e ricchissimo di citazioni musicali. Ha pubblicato anche alcuni libri fra cui L'America di Renato Carosone e La sindrome di Brontolo. Nel 2008 riceve, insieme ad Enrico Rava, una Nomination come Best Jazz Album per "The Third Man", agli Italian Jazz Awards 2008 "Luca Flores". Nel 2009 ha collaborato, fra gli altri, con Chick Corea proponendo un duo pianistico senza precedenti in varie città d'Italia. Bollani testimonia che ormai in Italia esiste un grandissimo jazz, che non ha nulla da invidiare ha quello d'oltreoceano, e non è più colonizzato in alcun modo dai modelli americani.
"Eravamo manipolo di eroi” è il pezzo di apertura del CD “Jazz italiano live 2006”. Al ritmo di una originale bossa nova il musicista crea brillantemente un ricamo di note: i colori luminosi della melodia del pianoforte sono stemperati dagli altri strumenti in continuo scambio di ruoli. Il fraseggio è perfetto e sempre originale. Oltre a Stefano Bolani al pianoforte, Ares Tavolazzi è al basso, Walter Paaoli è alle percussioni. Roberto R.
MUSICA
GENERI - FUSION
Il Jazz rock fusion o Jazz rock è un genere musicale emerso alla fine degli anni sessanta e primi settanta che combina elementi di jazz, rock e funk. Questo stile coniuga elementi tipici del jazz ad una strumentazione tipicamente rock dove gli strumenti elettrici, le tastiere e la strumentazione elettronica in generale hanno un ruolo predominante nel determinare il suono. La contaminazione avviene anche a livello stilistico, sia nell'accompagnamento, dove linee tipicamente funk tendono a sostituirsi ai più tradizionali accompagnamenti jazz, sia, più in generale, nella struttura del pezzo. La fusion è caratterizzata da sonorità più morbide e leggere, spesso considerate easy listening (facile ascolto), in quanto più vicine alla struttura armonica di un brano pop piuttosto che jazz. Molti critici ritengono che le prime incisioni fusion siano Hot Rats di Frank Zappa (1969) e i due dischi In a Silent Way (1969) ed il doppio album Bitches Brew (1970) di Miles Davis. Tra i protagonisti che seguirono, uno dei gruppi più rappresentativi di questo genere sono i Weather Report di Wayne Shorter e del tasterista austriaco Joe Zawinul, band fondata in Australia nel 1969 anche se è ancora caratterizzata da un jazz-rock ibrido. Ma a definire nel modo migliore il termine "fusion" è il celebre Spectrum di Billy Cobham considerato pioniere poiché è il primo album fusion con un chitarrista rock, Tommy Bolin. A metà degli anni settanta il genere, ancora in forma prevalente di jazz rock, raggiunge una maturità e diffusione ormai planetaria : accanto ai mostri sacri d'oltre oceano spiccano anche musicisti europei, eccellenti virtuosi, quali il violinista francese Jean Luc Ponty (in realtà di formazione Davisiana), il suo connazionale e batterista Pierre Moerlen (Pierre Moerlen's Gong), gli inglesi Soft Machine e i giapponesi Casiopea ; in questa fase di transito, iniziano a farsi strada artisti che, intuendo le potenzialità commerciali del genere, propongono composizioni semplici in grado di arrivare anche ad un pubblico non necessariamente di estrazione jazz . Il chitarrista californiano Lee Ritenour, i raffinati The Crusaders (celebre la loro Street Life), il tastierista brasiliano Eumir Deodato, già attivo da diversi anni con un jazz (bossa) rock piuttosto accattivante ed immediato e, ancor di più, un suo collega di strumento, l’americano Jeff Lorber, influenzeranno ulteriormente lo scenario futuro. Addirittura, a quest’ultimo si deve, probabilmente, l’adozione ufficiale del termine fusion, inserendolo, nel 1977, nel nome della sua band, "The Jeff Lorber Fusion". .
Anche il cantante italo canadese Gino Vannelli e il celebre chitarrista Carlos Santana con alcuni suoi lavori, contribuiranno non poco alla diffusione della fusion tra il grande pubblico. Molte le formazioni che si sono cimentate con questo genere, sia capeggiate da nomi famosi come gli Headhunters di Herbie Hancock, i Tribal Tech di Scott Henderson e Gary Willis, Chick Corea (con i Return to Forever e la Elektric Band), John McLaughlin e la sua Mahavishnu Orchestra, sia completamente nuove, come gli Yellowjackets, Spyro Gyra, Uzeb, Steps Ahead, Chuck Mangione, e poi altri musicisti che tra collaborazioni e esperienze da leader hanno reso popolare una branca importante della musica jazz, tra i quali vanno senz'altro ricordati Pat Metheny, Mike Stern, John Scofield, Frank Gambale, Marcus Miller e Allan Holdsworth. A molti di questi musicisti si deve il merito di aver saputo ricondurre questa forma più moderna e commerciale del jazz allo spirito iniziale, salvandolo da una certa banalizzazione e riconferendogli una dignità strumentale e compositiva più autenticamente jazz.I pionieri del jazz-rock italiano furono gli Area (1972), i Perigeo (1972), Arti & mestieri (1974) e i Napoli Centrale (1975). Lo stesso Pino Daniele ha "venato" di fusion (in molti momenti in modo estremamente personale), almeno la metà della sua discografia. Degni di nota artisti successivi che segnarono la "svolta" fusion in Italia, tra cui alcuni lavori di Roberto Gatto (1980), i Lingomania (1984), Gianluca Mosole (1985), Francesco Bruno (1987) e l'ottimo Nico Stufano. La Turin Jazz Rock School è una delle etichette italiane di artisti appartenenti al genere che ha avuto negli ultimi anni significativi riscontri a livello internazionale con artisti quali Arti & Mestieri, Esagono, Venegoni & co, Beppe Crovella, Furio Chirico, Paolo Ricca Group, Mass media, Combo Jazz, Freelance, Marco Gallesi, Ebano, Enrico Cresci. Roberto R
MUSICA
“THE GUESSING GAME” - Album dei Cathedral (2010)
Un gran bell’album, e finalmente inglese. Ma guarda caso non è un gruppo nuovo, che ormai tutto nasce in Europa fuorchè in Gran Bretagna.
Lee Dorrian ex-cantante di band molto violente decise per un tipo di metal differente e formò i Cathedral suonando il lentissimo doom metal. Successivamente verranno inserite atmosfere variabili andando verso momenti folk e stoner.
La loro carriera vedrà la pubblicazione di 8 album da studio a partire dal 1991, quest’anno è arrivato il decimo che è addirittura doppio (ma erano cinque anni che non facevano uscire nulla).
Se si vuole sentire che suono fa la Roccia, cioè la traduzione del termine Rock, questa band ha il sound sporco al punto giusto. Si può sentire il doom sabbathiano e la sonorità stoner che la fanno da padroni. Ma vengono coinvolte anche influenze psichedeliche (che avrei voluto ancora più consistenti) e caratteristiche anni ’60, con tastiere che ammorbidiscono la durezza dell’album, creando però flash surreali e non dolcezze mielose.
“FUNERAL OF DREAMS” fa capire che non ci saranno solo riff stoner ma anche ambientazioni meno “normali” con voci inquietanti e coretti pseudo infantili che portano a ricordi di tempi passati.
“CASKET CHASER”, forse il brano migliore, è graffiante e ricorda che i Black sabbath sono i maestri. Un 4/4 secco e mediamente veloce e una voce senza pietà.
“DEATH ON AN ANARCHIST” inizia con una chitarra acustica stile Metallica, poi entra la ritmica lenta che accompagna tutto il pezzo. Un brano dal suono triste e senza speranza che finisce veloce e ossessivo.
Un brano strano,“RUNNING MAN” non mette tranquillità, non è durissimo, ma usa dissonanze e un finale acido psichedelico che non hanno alcuno scopo rilassante.
“REQUIEM FOR THE VOICELESS” è il più vicino al classico doom lentissimo che in altre band annoia, ma non qui, dove la pesantezza si lega alla forza espressiva. Anche qui tornano di prepotenza elementi Sabbathiani.
“EDWIGE’S EYES” sembra più allegra, ma è solo parvenza, perché non è assolutamente gentile, nonostante il ritornello si possa cantare.
“JOURNEYS INTO JADE” è forse la song dal suono più moderno e meno ossessiva. Però non esce dall’ottima atmosfera cupa del disco.
Insomma è un album di stoner metal, che però si permette di giocare con inserti sonori poco tradizionali. In conclusione un lavoro non commerciale ma artistico che è costruito per i veri amanti della Musica, i quali nel rock duro non vogliono trovare la solita solfa.
Roberto L.
“THE FROZEN TEARS OF ANGELS” – album dei Rhapsody of Fire (2010)
Disco sinfonico a tutti gli effetti. Turilli, Staropoli e compagni lo fanno uscire dopo circa quattro anni di silenzio e colpiscono nel segno. Rispetto al loro ultimo lavoro del 2006 (“Triumph or agony” risultava piuttosto morbido nei suoni), questo riporta ai toni più duri dell’esordio, con una visione molto metal. Le chitarre distorte tornano a farsi sentire, e pur non essendoci novità stilistiche particolari, l’energia è quella verace del vero metal kid. Si trova persino un cantato growleggiante che sferza l’atmosfera di uno dei brani (“Reign of terror”). Come al solito si sente la loro propensione verso la musica classica.
Tra i brani migliori:
“SEA OF FATE”, piuttosto tradizionale per il songwriting dei Rhapsody, nella parte cantata si esprime in modo fortemente melodico (il brano torna in versione soft alla fine dell’album), ma è nella parte solistica di chitarra e tastiere che esprime il meglio di se. La linea vocale orecchiabile entra nella testa subito dopo tre/quattro ascolti, e viene voglia di canticchiarla.
Molto bella risulta “CRYSTAL MOONLIGHT”, pulita e sognante, non è dura nonostante la ritmica incessante e veloce.
E’ con “REIGN OF TERROR” che l’ascoltatore entra nella zona maggiormente pesante e violenta dell’album. Cori lirici e riff durissimi si sposano con grande maestria. Ed è qui che la voce di Lione da limpida passa a momenti rauchi, ma estremamente azzeccati. Appare come il brano migliore e, nonostante le caratteristiche metalliche, è forse anche il pezzo più sinfonico di tutta l’opera.
Il metallo poi lascia lo spazio alla medievaleggiante “DANZA DI GHIACCIO E FUOCO”, cantata in italiano senza cadute di tensione. Lo stile è prettamente Branduardiano, e le modalità canore di Lione copiano perfettamente il timbro di Angelo.
Si alterna tra durezza e arie soft (c’è anche un suono di voce femminile) “ON THE WAY TO AINOR; si tratta di una canzone fruibile in modo piuttosto immediato, sebbene non sia un brano semplicistico.
“THE FROZEN TEARS OF ANGELS” è il brano dall’incedere più complesso, dove il barocchismo torna appieno. Forse non raggiunge valori toccati in altre song del passato, ma è comunque una perla importante nella carriera di questo gruppo.
Insomma un ottimo album, in cui si è costruito un progetto forte sia dal punto di vista sinfonico che da quello rock, aumentandone parallelamente entrambe le caratteristiche rispetto all’ultima produzione che invece aveva dato maggiore importanza al lato classicheggiante. Aumentata anche quantitativamente oltre che qualitativamente la parte strumentale, nel senso di assoli costruiti con grande tecnica senza eccedere in virtuosismi che avrebbero potuto penalizzare il senso musicale compositivo dei singoli assoli.
Questo disco continua la saga “Dark Secret” iniziata dai Rhapsody of Fire con l’album “Symphony of Enchanted land II”. Le tematiche sono sempre di tipo Fantasy. In passato fu coniato per loro il complesso termine pluriparole “Symphonic Epic Hollywood Metal” e addirittura “Film Score Metal” per indicare la modalità da colonna sonora del loro porsi compositivamente; effettivamente in vari loro dischi essi raccontano storie in musica ed anche se la musica è in primo piano, essi cercano di valorizzare al massimo anche i testi.
Nota interessante è la partecipazione al disco dell’attore Cristopher Frank Carandini Lee, famoso perché ha interpretato il conte Dracula e il Conte Dooku in Guerre Stellari. Egli ha recitato le parti narrative. Al riguardo ecco le sue parole: “Il metal è uno stile di vita; sono stato metallaro per molti anni…solo che non ne sapevo nulla…e malgrado il divario generazionale, io e le persone implicate nel progetto condividiamo gli stessi valori”.
Da sapere che i R.o.F. sono un gruppo affermato all’estero, e, in questo senso, tra i gruppi italiani si trova al secondo posto nel metal, dopo i Lacuna Coil.
“LA BELLA SIGNORA DELLE TRE FONTANE” di Angelo Maria Tentori (2006)
Tentori, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria, è docente presso L’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Vicenza.
Siamo a Roma nell’Aprile del 1947. Bruno Cornacchiola (tranviere) predicatore protestante (Avventisti del settimo giorno), prepara un discorso contro Maria e il Papa presso un parco.
I bambini stanno giocando vicino. Ad un certo punto non trovano più la palla, il padre si mette a cercarla, ed antrando in una piccola grotta lì accanto, vede uno dei tre che in ginocchio guarda rapito un punto, usando le parole “Bella Signora”. Contrariato chiama dentro uno degli altri figli, il secondo cade estasiato anch’egli in ginocchio; allora chiama la più grande e si lamenta del gioco che gli altri due stanno facendo. Lei nega di averlo insegnato poi subito raggiunge gli altri in ginocchio…alla fine anche lui vede l’apparizione della Madonna, la quale gli parla.
Il punto è detto “delle Tre Fontane” perché secondo una antica tradizione vi avvenne il martirio dell’apostolo Paolo, la cui testa mozzata avrebbe rimbalzato tre volte per terra. In ognuno dei tre punti sarebbe scaturita acqua sorgiva.
Tentori vede le apparizioni mariane come ad una presenza che cerca di mandare segnali oggettivi riguardo la fede “…rapportando il messaggio di Maria a una situazione attuale di particolare ambiguità della fede”
“Questi” sono “tempi in cui alcuni pensano che ogni uomo può fabbricare e produrre la propria verità, dato che non esiste la verità assoluta. Si nota che nella società attuale riemerge una certa ricerca di spiritualità individuale, costruita da se stessi e per se stessi. Serpeggia la tendenza di divinizzazione del proprio io. Si cerca un mondo invisibile, ma suscitato e composto all’interno di se stessi. In questo modo la fede diviene qualcosa di soggettivo, in cui ognuno si illude di trovarsi bene perché fatta su propria misura, ma alla fine ne vengono alla luce tutti i limiti e le incongruenze. E’ un mondo che non va oltre il cosmo. Si entra si nel proprio mondo interiore, ma non c’è il passaggio da questo a Dio e allora ci si imprigiona in essa senza sbocco verso l’infinito.
E allora , invece di essere liberati, si ritorna nella schiavitù della propria illusione”.
Dice Tentori: “La verità è fuori di noi, la verità è Cristo Gesù"...Maria porterebbe sempre al Cristo, eliminando equivoci sulla vera essenza del cristianesimo.
Io credo che se un Dio c’è, non può rivelarsi contraddittoriamente, per cui se le religioni sono in contrasto, ce ne deve essere una che più di tutte è vicina alla verità. Il Dio cristiano è il Dio della Rivelazione, racconterebbe la propria essenza principale in maniera chiara. La realtà di Maria, Madre di Gesù, ribadirebbe e rafforzerebbe il compito della Chiesa all'interno di tale Rivelazione.
Pio XII è il papa che al momento dell’apparizione a Cornacchiola siede in San Pietro. Il veggente lo incontrerà dopo la conversione e ne riceverà la benedizione. Cornacchiola gli consegnerà il pugnale con il quale aveva ideato di ucciderlo.
Nel ’56 fu costruita una cappella affidata alla custodia dei Francescani
Roberto L.
"Fusion (chiamato anche Jazz rock fusion o Jazz rock) è un genere musicale emerso alla fine degli anni sessanta e primi settanta che combina elementi di jazz, rock e funk.
Questo stile coniuga stilemi tipici del jazz ad una strumentazione tipicamente rock dove gli strumenti elettrici, le tastiere e la strumentazione elettronica in generale hanno un ruolo predominante nel determinare il suono. La contaminazione avviene anche a livello stilistico, sia nell'accompagnamento, dove linee tipicamente funk tendono a sostituirsi ai più tradizionali accompagnamenti jazz, sia, più in generale, nella struttura del pezzo.
Rispetto al jazz rock, suo antesignano, la fusion è quindi caratterizzata da sonorità più morbide e leggere, spesso considerate easy listening (facile ascolto), in quanto più vicine alla struttura armonica di un brano pop piuttosto che jazz.
Molti critici ritengono che le prime incisioni fusion siano Hot Rats di Frank Zappa (1969) e i due dischi In a Silent Way (1969) ed il doppio album Bitches Brew (1970) di Miles Davis. Tra i protagonisti che seguirono, uno dei gruppi più rappresentativi di questo genere sono i Weather Report di Wayne Shorter e del tasterista austriaco Joe Zawinul, band fondata in Australia nel 1969 anche se è ancora caratterizzata da un jazz-rock ibrido. Ma a definire nel modo migliore il termine "fusion" è il celebre Spectrum di Billy Cobham considerato pioniere poiché è il primo album fusion con un chitarrista rock, Tommy Bolin.
A metà degli anni settanta il genere, ancora in forma prevalente di jazz rock, raggiunge una maturità e diffusione ormai planetaria : accanto ai mostri sacri d'oltre oceano spiccano anche musicisti europei, eccellenti virtuosi, quali il violinista francese Jean Luc Ponty (in realtà di formazione Davisiana), il suo connazionale e batterista Pierre Moerlen (Pierre Moerlen's Gong), gli inglesi, ex Canterburiani, Soft Machine e i giapponesi Casiopea ; in questa fase di transito, iniziano a farsi strada artisti che, intuendo le potenzialità commerciali del genere, propongono composizioni via via più semplici o quanto meno più orecchiabili, in grado di arrivare anche ad un pubblico non necessariamente di estrazione jazz . Il chitarrista californiano Lee Ritenour, i raffinati The Crusaders (celebre la loro Street Life), il tastierista brasiliano Eumir Deodato, già attivo da diversi anni con un jazz (bossa) rock piuttosto accattivante ed immediato e, ancor di più, un suo collega di strumento, l’americano Jeff Lorber, influenzeranno ulteriormente lo scenario futuro. Addirittura, a quest’ultimo si deve, probabilmente, l’adozione ufficiale del termine fusion, inserendolo, nel 1977, nel nome della sua band, "The Jeff Lorber Fusion". Anche il cantante italo canadese Gino Vannelli e il celebre chitarrista Carlos Santana con alcuni suoi lavori, contribuiranno non poco alla diffusione della fusion tra il grande pubblico.
All'inizio degli anni ottanta nasce la GRP Records, casa discografica newyorkese che ben presto diventa la maggiore scuderia di musicisti fusion in circolazione, tutti artisti di grande talento che danno vita ad una produzione caratterizzata da lavori tecnicamente di grande pregio anche se spesso piegati ad un consenso commerciale che vuole essere il più vasto possibile.
Molte le formazioni che si sono cimentate con questo genere, sia capeggiate da nomi famosi come gli Headhunters di Herbie Hancock, i Tribal Tech di Scott Henderson e Gary Willis, Chick Corea (con i Return to Forever e la Elektric Band), John McLaughlin e la sua Mahavishnu Orchestra, sia completamente nuove, come gli Yellowjackets, Spyro Gyra, Uzeb, Steps Ahead, Chuck Mangione, e poi altri musicisti che tra collaborazioni e esperienze da leader hanno reso popolare una branca importante della musica jazz, tra i quali vanno senz'altro ricordati Pat Metheny, Mike Stern, John Scofield, Frank Gambale, Marcus Miller e Allan Holdsworth. A molti di questi musicisti si deve il merito di aver saputo ricondurre questa forma più moderna e commerciale del jazz allo spirito iniziale, salvandolo da una certa banalizzazione e riconferendogli una dignità strumentale e compositiva più autenticamente jazz. Tant'è vero che in taluni casi si parla più propriamente di jazz fusion.
I pionieri del jazz-rock italiano furono gli Area (1972), i Perigeo (1972), Arti & mestieri (1974) e i Napoli Centrale (1975). Lo stesso Pino Daniele ha "venato" di fusion (in molti momenti in modo estremamente personale), almeno la metà della sua discografia. Degni di nota artisti successivi che segnarono la "svolta" fusion in Italia, tra cui alcuni lavori di Roberto Gatto (1980), i Lingomania (1984), Gianluca Mosole (1985), Francesco Bruno (1987) e l'ottimo Nico Stufano. La Turin Jazz Rock School è una delle etichette italiane di artisti appartenenti al genere che ha avuto negli ultimi anni significativi riscontri a livello internazionale con artisti quali Arti & Mestieri, Esagono, Venegoni & co, Beppe Crovella, Furio Chirico, Paolo Ricca Group, Mass media, Combo Jazz, Freelance, Marco Gallesi, Ebano, Enrico Cresci." ( da Wikipedia)
R. Rapaccini
Credevo che mi piacesse il Jazz, per tre anni, ma mi è costato. L’ultima volta che sono stato ad un concerto Jazz era per vedere un mio amico. E’ salito sul palco e ha suonato le più grandi stronzate che abbia mai sentito in vita mia. E prima che finisse il pubblico era ai suoi piedi e ho pensato: “Questo è il cieco che guida i ciechi”. Lui non sapeva suonare e il pubblico non sapeva ascoltare. L’improvvisazione del Jazz ti dà la licenza di cagare in giro
(Lemmy dei Motorhead)
Lemmy Kilmister, cantante e bassista, è inglese. Ha fatto parte degli Hawkwind. Il suo gruppo a partire dal 1977 sono i Motorhead. La sua musica punkmetal è in realtà un rock'n'roll dal suono grezzo e diretto. Egli è ormai una icona del rock duro ma col suo gruppo sforna ancora dischi. Quest'anno è uscito un film su di lui.
ISLAM
Non manca chi dipinge la Spagna islamica come una sorta di paradiso per gli ebrei, bruscamente finito con la riconquista cristiana. E' significativo che tutto ciò che in occidente si fece contro il popolo ebraico non fu che una copia di ciò che i credenti in Allah iniziarono per primi (Messori)
La presenza ebraica nei Paesi Arabi risale a 500 o 600 anni prima di Cristo. Per mille anni, fino alla comparsa di Maometto, gli ebrei vissero in condizioni di parità con le popolazioni locali. Ma con il Profeta le cose cambiarono in modo tragico. Già nel 625-627 Maometto e i suoi annientarono le tribù giudaiche che rifiutavano la nuova fede. Da quel momento insopportabili balzelli, umiliazioni, saccheggi, distruzioni e omicidi hanno costituito il filo conduttore della storia ebraica nel mondo islamico (Associazione per lAmicizia Ebraico-Cristiana)
E' una storia sanguinosa che inizia quindi con il Profeta stesso, il quale proprio nei riguardi dei giudei si macchiò di uno dei crimini peggiori: a Medina i discepoli di Maometto impiegarono parecchie ore per sgozzare tutti i maschi adulti (oltre 600) mentre le donne e i bambini furono venduti come schiavi (Messori)
Chi sparse sangue par la causa dell'Islam non agì affatto contro lo spirito di Maometto; mentre chi lo sparse in nome della fede cristiana ha sempre agito contro lo spirito di Gesù (Francesco Gabrieli)
Io penso che non bisogna aver paura dei musulmani, poichè tutti gli esseri umani, nel profondo, desiderano le stesse cose: un lavoro, una casa, una famiglia, l'amore, e per ottenerla sanno che serve la pace.
Roberto L.
Per quanto importa, sono tra i convinti che, sulla lunga durata, l’Occidente si rivelerà per l’islamismo una trappola mortale. I nostri valori e, più ancora, i nostri vizi, corroderanno e, alla fine, faranno implodere una fede il cui Testo fondante non è per nulla in grado di affrontare la critica cui sono state sottoposte le Scritture ebraico-cristiane (Messori)
Lo credo anch'io.
Roberto L.
TOP JAZZ 2009
Come al solito io preferisco il Jazz più classico e meno strano. Non mi piacciono i brani come “scacco matto” quando usano la ritmica simil-House.
“THANK YOU, COME AGAIN (Rava)
Brano di stile classico. La parte iniziale e finale danno il tema, ma elegante e soffice la parte centrale con gli assoli a doppio fiato, tromba e sassofono. Non c’è mai calo di raffinatezza e tutto scorre con tinte sonore tenui ma di carattere.
REMIX III ASW (Martux/Bosso/Bearzot/Aarsel/Vigorito)
Possiede venature progressive usate anche nel rock. Interessante e leggermente cupa come atmosfera. I suoni non taglienti sono però poco inclini alla commercialità e i fiati non rilassano l’ascoltatore ma portano immagini acide.
“GOD SAVE THE QUEEN” (Betti Van Der Noot)
E’ intrigante, con la tromba squillante e ciarliera e la voce non usuale ma di tono gentile (che a volte mi ricorda tonalità e caratteristiche alla Yes).
“PRAYER” (Moroni)
Si torna al classico con un pianoforte melodico forse non originalissimo ma che non è assolutamente di basso livello, anzi non c’è nulla che debba essere aggiunto. E’ uno stile bluesato e forse per questo uno dei pezzi dell’album che io preferisco.
“COMING TOMORROW” (Petrella Cosmic Band)
Come altre volte, la ritmica non pare essere di mio gusto, e anche la parte iniziale dei fiati è troppo funkeggiante, ma poi il btrano cambia in una linea compositiva che invece è assolutamente suadente e di classe con una sonorità maggiormente orchestrale e piena che abbassa il tono frizzante ma diviene leggermente maestosa.
“UP FROM THE SKIES”(Maria Pia De Vito)
Bella la voce frusciante inserita in una ritmica all’antica. Uno stile tradizionale ma con grande capacità d’attrazione. Il pianoforte risulta assolutamente deciso e pienamente efficace nella linea compositiva. Ad un certo punto alcuni effetti prima della ripresa cantata finale giungono ad una musicalità di quasi psichedelia e niente affatto tradizionale, ma non è una inutilità fine a se stessa, è anzi arricchente.
“MANDI FRIULI” (Bearzatti Tinissima Quartet)
Un clarinetto morbido introduce un brano dolce che ricorda musicalità comuni anche a musiche non Jazz (per esempio il gruppo Progressive rock dei Camel). Più oltre la tromba porta elementi di movimentazione del brano, sorprendendo e diminuendone il carattere tranquillo, che trasmette, in successione, uno stato d’inquietudine che si propaga al clarinetto. Pezzo bellissimo davvero.
Non sono un intenditore di Jazz, ma gusto i pezzi lasciando che sia il mio piacere a decidere, non il risvolto tecnico, seppure mi pare di riuscirne a leggere il linguaggio che aumenta la mia capacità di fruizione.
Roberto L.
Ma se in questi anni c’è stato un modo per combattere il monopolio delle major del disco, sicuramente questo è stato Internet e il download. Senza, probabilmente, saremmo ancora fermi all’età della pietra (Halford dei Judas Priest)
Ci sono molte grandi band, molti show, molte riviste... niente in TV, e si fotta la TV, quasi niente sulle radio, e si fottano le radio! E' solo una questione di magazine e di fan, ma direi che la cosa funziona benissimo lo stesso: d'altronde il nostro mondo va così da sempre (Halford dei Judas Priest)
Queste frasi ci possono introdurre in un discorso interessante...quanto i massmedia concorrono a decidere se un'arte divenga di massa o meno.
Pronti prossimamente per una disquisizione del genere?
ps: Halford è una delle dieci voci migliori dell'Heavy Metal (meglio dire "era"...si è invecchiato, comunque una delle dieci di tutti i tempi).
Roberto L.
Secondo i neodarwiniani e neoidealisti la caratteristica della vita umana risiede nella vita intelligente, nel nesso cervello-mente-pensiero. Se il cervello però non funziona o funziona male da non permetterci la vita della mente ? (mancuso)
Se un disabile mentale sorride...lasciatelo sorridere, e se piange consolatelo. E' comunque umano e vale più degli animali.
Roberto L.
Noi sentiamo che persino nell'ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati (Wittgenstein)
E pare che la gente comune non voglia porsi seriamente alcuna domanda.
Roberto L.
“MEMORIA STORICA”
Rivista del Centro Studi Storici Terni - 2002-01-01
La storia, se scritta bene, offre al lettore, non solo un apprendimento, ma anche un momento di piacere. La rivista “Memoria storica” non è una lettura dilettevole come è quella che offrono, per esempio, i libri della famosa collana di Montanelli, ma gli articoli di tale rivista sono comunque una lettura scorrevole ed efficace.
Luoghi pensati come banali, legati solo ad esperienze di semplice vita quotidiana, o solo di passaggio, talvolta nascondono eventi storici importanti per tutta la cultura nazionale. Nella rivista qui analizzata, si offrono, in un unico volume, periodi storici diversi di una Terni interessante, in cui i luoghi divengono teatro di eventi impensati per noi ternani che abbiamo vissuto quei posti come semplice tran-tran quotidiano. Eppure eventi che sono entrati nella storia comune di tutti gli italiani, come quando Terni e zone limitrofe divengono linea di confine per battaglie e guerre scatenate tra nord e sud.
Veniamo a sapere che nel 1600 la città aveva solo 6.000 abitanti, e che in quell’anno era divisa in 5 rioni. Che il convento delle suore Carmelitane Scalze, oggi presso “La Macchia di Bussone” (strada sopra S.Valentino), nasce nel 1613 a Piazza Europa (in una casa privata offerta da una agiata signora la quale si fa anch’essa suora).
Roberto L. - I parte
“MEMORIA STORICA”
Rivista del Centro Studi Storici Terni - 2002-01-01
Poi ci parla dei moti del 1831 quando tutta l’Umbria si solleva contro lo stato della Chiesa. Il 17 febbraio decadde il potere del Papa sulla città di Terni e fu istituito il Comitato Provvisorio di Governo. Il giorno dopo cade nelle mani dei rivoltosi anche Narni; a marzo viene presa Amelia. Resiste Rieti. Ma il 31 Marzo l’esercito papale entra a Terni, e il diario del Conte Graziani recita che Terni è tornata “all’obbedienza al papa con una tranquillità da fare stordire”.
Ma ancora la rivista ci parla delle lotte antipapali di anni prima, alla fine del 1700, quando Terni entrò a far parte della Repubblica Romana, diventando giacobina. Nel 1798 i soldati bobonici conquistarono Roma che era in mano ai francesi, da qui seguì una avanzata dei Napoletani verso l’Umbria. I Francesi allora scesero a Terni e ivi crearono l’estrema linea difensiva: la battaglia si svolse nella zona di Campomicciolo. E’ buffo, sebbene alquanto triste per i morti e i feriti di quel giorno, pensare a quel luogo come punto storico importante di una battaglia, che per noi attuali abitanti è solo un banale punto di passaggio per andare a Marmore (l’estremo limite collinare della città). Le armate Napoletane (che avevano un numero di combattenti ben quattro volte superiore alle truppe Napoleoniche) si erano accampate sulla piana di Marmore paese, mentre le truppe repubblicane erano appostate sulla contrada di Valenza, e quando i nemici scesero sulla strada da Marmore, francesi e ternani li colsero alle spalle scendendo dai colli (da Miranda?). Vinsero i repubblicani, ma si formò una guerriglia antifrancese, e la storia ci racconta di come vennero prese dai Repubblicani, mettendole a ferro e fuoco con saccheggi, città considerate occupate dai ribelli come Stroncone e Papigno. La crisi della Repubblica con l’insorgenza di rivolte popolari fu causata da un inadeguata valutazione dei problemi economici e sociali che una guerra continua alimenta e una insensibilità alla religiosità del popolo che non capiva la fanatica motivazione ideologica antiecclesiastica e l’intolleranza religiosa dei giacobini più estremisti.
Roberto L. - II parte
“MEMORIA STORICA”
Rivista del Centro Studi Storici Terni - 2002-01-01
E poi la rivista ci racconta delle violenze tra socialisti e fascisti in Umbria prima e dopo la marcia su Roma che fece salire al governo Mussolini. I socialisti legati alle idee rivoluzionarie esprimevano alcuni momenti di forza e provocazione, ma le violenze dei fasci furono statisticamente più rilevanti, considerando anche il fatto che spesso queste ultime erano appoggiate da forze dell’ordine, magistratura e anche uomini politici. Inoltre quelle di sinistra erano maggiormente punite con il carcere o la multa ogni volta che si imponevano processi agli atti di violenza, mentre i fascisti se la cavavano di solito senza condanne. Se si ammorbidiva la pena per i “terroristi” di sinistra lo si faceva con strane motivazioni come quando si arrivava persino a giudicare l’ideologia socialista una forma di malattia mentale: in un processo a sette contadini socialisti di Parrano, rei di aver obbligato due militanti del partito popolare a baciare la bandiera rossa, i giudici del tribunale di Orvieto, nella sentenza di condanna, concessero delle attenuanti agli imputati in quanto agirono “sotto l’impulso delle teorie sociali in cui si trovavano immerse le loro menti incolte; ond’ebbero a derivarne un’incompleta incoscienza di quanto illecitamente commisero”. Inoltre le violenze socialiste difficilmente se la prendevano con giornali e luoghi politici, mentre era diverso per i fascisti che attaccavano, distruggendole, le sedi delle riviste di sinistra e delle sedi di partito.
Per finire cito l’articolo in cui si racconta l’operazione tedesca atta all’eliminazione delle bande partigiane nella zona sud dell’Umbria. Nel ’43 la brigata partigiana Gramsci controllava un vasto territorio nell’alta Valnerina, all’incrocio delle provincie di Terni, Perugia e Rieti, con epicentro Norcia, Cascia e Leonessa. Si tratta di una “zona libera” in cui i partigiani tentarono di costituire un’amministrazione autonoma d’intesa con la popolazione civile. Battaglie tra tedeschi e partigiani si ebbero inizialmente a Leonessa; Monteleone di Spoleto; Poggio Bustone; Colfiorito. Ma dopo il 29 marzo 1944 la “grande impresa contro le bande” partigiane divenne più intensa e vennero distrutte intere frazioni abitate (Poggio Bustone; Villa Pulcini; Albaneto di Leonessa) e scontri con grossi rastrellamenti soprattutto di civili si hanno a Cascia; Morro; Leonessa; Cumulata. Nella seconda fase lo spostamento a ovest della lotta, porta ai rastrellamenti nelle zone di S.Urbano; Vasciano; Lugnola; Configni; Vacone; Rocchette; Calvi; Poggio; monte S.Pancrazio e Monte Cosce.
In realtà i partigiani combattenti uccisi o fatti prigionieri furono pochi, in linea di massima si trattava di popolazione civile inerme accusta di aiutare i partigiani (in parte vero). Quando la situazione di stallo a Cassino fu superata e fu avvenuta la liberazione dell’Italia Centrale, molti partigiani si arruolarono nei Gruppi di Combattimento del risorto esercito italiano.
Tutti questi fatti, dai tempi più lontani a quelli più vicini (come la seconda guerra mondiale), sentirli descritti nei posti che conosciamo fa un certo effetto e rende concreta una storia che sembra lontana da noi singoli individui e che invece ci appartiene tutta.
Roberto L. - III parte
MUSICA
Molte volte l’amore è irrequieto, per questo vengono fuori belle canzoni. Meno male che è irrequieto, quando vedi la cosa da questo lato (Lemmy dei Motorhead)
Come la sofferenza, in questo caso d'amore, crea lo stimolo giusto per creare arte.
Roberto L.
Arte:
Quando l'arte incide sulla società?
Ogni espressione artistica diviene cultura comune solo se viene comunicata e resa pubblica il più possibile. Certa musica invece è solo locale e fa evolvere solo il luogo che la esprime. Ecco perché, parlando per esempio di Heavy Metal, i tedeschi “Helloween” hanno fatto la storia e i giapponesi “X Japan” no, eppure quest’ultimo è veramente di valore. Se un artista si espande nel mondo, può incidere nell’evoluzione stilistica e concettuale di quell’arte, se invece rimane relegata nel luogo d’origine, incide solo nel luogo d’origine. Questo, in un mondo globale, è una grave colpa dei giornalisti e degli operatori che lavorano nel campo. Se si smettesse di far vedere solo film americani la varietà artistica cinematografica crescerebbe con più ampia qualità, perché il fruitore, educato alla visione, si affezionerebbe a certa arte filmica indiana, africana o giapponese. Io, guardando alcuni film giapponesi, o serie televisive di quel paese, trovo che il pubblico italiano ne apprezzerebbe varie se fossero proposte giornalmente in tv. Il boicottaggio a priori (e non solo per motivi politici, ma anche di paura per l’odience) secondo me non è giustificato; anche le “massaie” riuscirebbero a fruirli con piacere. Un esempio è stato il pubblico infantile, che cresciuto con le modalità filmiche e di cartoon orientali, oggi, adulto, segue quella produzione piuttosto in massa. Ma penso che senza ricominciare dai bambini, molto di straniero non americano o europeo, potrebbe entrare senza particolari problemi negli occhi e nelle orecchie del pubblico italiano. Nell’Heavy Metal, i Metallica e i Guns and Roses hanno dimostrato negli anni ’80, il potenziale di massa che il rock duro poteva avere, quando le radio hanno iniziato a pompare questi due gruppi, le vendite in Italia, sono salite, non certo quanto Madonna o i Pooh, ma molto di più di prima dell’attenzione dei Mass Media. Se l’arte non ha chi la fa girare, rimane arte che non incide sulla società e quindi non vive, e la gente rimane ignorante e piatta.
Roberto L.
ISLAM
Molti cattolici hanno parlato di dialogo sempre e comunque, quasi fosse un magico passe-partout in grado di aprire qualsiasi porta. Checchè ne sia delle altre porte, quella musulmana è impenetrabile a questo tipo di chiave. La comunità musulmana è un blocco chiuso perchè nega ogni distinzione tra temporale e spirituale.
Nel caso cristiano-islamico occorrerebbe innanzitutto mettere a confronto Corano e Vangelo. Ma è proprio questo che il musulmano rifiuta. Il maomettano afferma di venerare la scrittura degli ebrei e quella dei cristiani, ma rifiuta di leggerle. Dove Torah e Vangelo non coincidono con la scrittura Islamica, Maometto affermò che ebrei e cristiani li avevano falsificati.
(Messori)
Quello che il cristianesimo fa sin dalla sua fondazione, scrutando e disquisendo su Vecchio e Nuovo Testamento, non lo fa l'islamismo con il Corano neanche adesso (forse c'è qualche sporadico segnale).
Roberto L.
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