lo compie
e chi lo subisce. Hanna Arendt giunge alla conclusione che il male è l’opera di
un qualunque essere umano, condizionato dai meccanismi sociali nei quali è
inserito. In proposito, Primo Levi menziona l’esempio dei compiti di controllo
e comando che talvolta nei lager venivano imposti ad ebrei nei confronti di
altri ebrei: si tratta di un crimine particolarmente odioso poiché si fanno diventare colpevoli le vittime
stesse. Inoltre, i nazisti al processo di Norimberga cercarono di discolparsi
proclamandosi passivi ingranaggi della macchina dello sterminio, cioè meri esecutori
di ordini: questo, secondo Hanna Arendt, confermerebbe che i gerarchi nazisti
erano dei mostri,
mentre gli esecutori erano uomini normali. Tuttavia non si
deve dimenticare che obbedire equivale ad appoggiare, anche se non tutti hanno
le potenzialità per essere eroi e praticare una resistenza attiva (come notava
don Abbondio il coraggio non ce lo possiamo imporre), o rifiutarsi di obbedire mettendo in atto una resistenza passiva.
Le fabbriche della morte infatti furono caratterizzate dall’impersonalità dei
singoli comportamenti analoga a quella delle grandi burocrazie nelle quali il
singolo spesso non è cosciente del significato del suo parziale contributo, la ‘parcellizzazione’
delle condotte come nelle catene di montaggio, la più spinta gerarchicità. Paradossalmente,
da questo punto di vista, Auschwitz presenta i tratti della società moderna,
nota Arendt. Se si porta alle estreme conseguenze questa teoria il male è un
fardello che pesa su tutta l’umanità, e su ognuno in quanto membro del
consorzio umano. Il lager inoltre non sembra avere una finalità specifica se non
quella di essere un luogo di ‘disumanizzazione’; per questo, secondo Hanna
Harendt, il lager ha solo il fine
concreto di plasmare un’umanità diversa,
analogamente a quello che si propongono le ideologie totalitariste. Infatti, se
l’umanità non subisse questa spersonalizzazione, si opporrebbe al totalitarismo.
Hanna Arendt partendo dall’analisi del lager come società umana elabora un
concetto di ‘male radicale’ molto più articolata di quella kantiana, che
consente anche di comprendere fenomeni complessi come gli elementi della
società moderna e la genesi del totalitarismo. ROBERTO RAPACCINI

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