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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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264. RECENSIONI 2012 di Sky Robertace Latini


DRIVING TOWARDS THE DAYLIGHT -   Joe Bonamassa (U.S.A.)  -    2012

Siamo all’album numero 13. Ma di lui non ci siamo ancora stufati. Nemmeno ora che in parallelo suona nella band di rock duro insieme al mitico ex-Deep Purple Hughes (i BlackCountryCommunion, che sono alla terza uscita in questo stesso anno). Sono solo cinque i brani inediti, gli altri tutti cover, ma ogni momento di pregevole fattura, tutti di pura energia e causa di dondolamento della testa. Tra i brani composti da Joe, la title-track, “I got all you need” e queste: “DISLOCATED BOYS” apre l’album con un blues di grande effetto. Caldo e quadrato, dove ritmo e voce hanno un peso ben maggiore della chitarra. C’è un ponte rarefatto centrale che è la calma prima della tempesta solista dell’assolo breve, ma polveroso il giusto.  “HEAVENLY SOUL” incalza con un ritmo ballabile e fluido con una verve più poprock ma senza cadere di dignità. Ricorda un po’ le cadenze degli ZZ Top o anche dei Lynyrd Skynyrd, con una pulizia maggiore e un songwriting piuttosto riuscito. La voce tende alla sofficità mantenendosi fresca e dinamica. La ritmica sembra voler portare automaticamente ad un assolo frizzante, che infatti arriva pur se anticipato da un chitarrismo acustico preparatorio e molto azzeccato. Assolo che presenta anche un pizzico di jazzismo. Episodio strepitoso. “SOMEWHERE TROUBLE DON’T GO” scoppietta di hard rock elettrico dal gusto southern. Ritornello accattivante e incisivo, poi gli assoli di una certa vitalità. “Lonely town, lonely street” è una cover di Bill Withers, ottima versione. Vive di un riff ripetitivo corposo e middle-time pesante. Un Rock blues molto hard. Arrangiato con quell’incedere colloso stile Cream di sessantiana memoria ripreso nei settanta anche dai Deep Purple. Un pezzo che non gioca su fraseggi svolazzanti ma fa sentire tutto il peso della chitarra più ruvida con tastiere d’annata in sottofondo. Qui gli assoli chitarra/tastiera si affacciano nella seconda parte e vivono di vita propria donando quella sensazione antica di chi sapeva darci dentro.  Importante accennare a “Who’s been talking”, che è la cover del mitico bluesman nero anni ’50 Howlin’Wolf; un omaggio assolutamente doveroso. Nota: nell’album suona anche il chitarrista degli aerosmith Brad Whitford. Rispetto all’album di un anno fa (“Dust bowl”) appare leggermente più freddo, ma la classe non è acqua, anzi, cola una certa grinta e la solita tecnica. In realtà cola anche un po’ di metallo, che i rivoli di durezza traspaiono senza pudori.  Sky Robertace Latini
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HE STORY OF LIGHT -   Steve Vai  (USA)  -  2012

Questo è uno dei più eclettici chitarristi  metal; e proprio per questo è il mio preferito. Lo adoro. Album numero otto. “VELORUM”, anche se comincia con un riff Heavy, non è un brano metal. E’ si dinamico con molti passaggi e inserti, ma vi si inseriscono molte cose differenti, anche una chitarra dolce, svisate jazz e caratteristiche progressive. La struttura si accende con accelerazioni e si calma in un dialogo continuo; gli stravolgimenti sono solo ipotetici, in quanto il pezzo alla fine risulta un corpo unico. Anche questa è una traccia strumentale, ma è la più bella ed energica dell’album. “GRAVITY STORM” è un metal rockeggiante dallo spirito settantiano, molto Hendrixiano. Contiene una certa epicità, per quanto stravagante. Non si gioca sulla velocità ma la chitarra sa farsi liquida e virtuosa quanto basta. “RACING THE WORLD” è forse il brano più normale ma non per questo è minore. E’ facilmente fruibile perchè possiede una struttura lineare. Il ritmo è leggero ma sostenuto, e supporta un assolo solare con una nota di serena allegria. “NO MORE AMSTERDAM” è un dolcissimo pezzo cantato da due voci: quella maschile di Steve e quella femminile di Aimee Mann. Non è affatto commerciale perché ricco e ricercato. Sa tantissimo di progressive-rock. “SUNSHINE RAINDROPS”è anch’esso un brano che non contiene stravaganze, come “Racing the world”, infatti è fresco e scorre in modo limpido lasciando comunque una traccia intensa e personale. “John the revelator” e “Book of the seven seas”, cover gospel, si uniscono in un superbo momento musicale molto corale e forsennato dal punto di vista strumentale. Una personalissima interpretazione dei due pezzi storici, riuscendo però a non stravolgerne l’essenza nonostante le dissonanze chitarristiche spinte e gli effetti elettrici. Un ottimo esempio della genialità di Steve. Tra gli episodi minori la title-track per il fatto che non ha un inizio memorabile, tutt’altro, sembra solo un intro non entusiasmante, molto prog, e senza caratteristiche particolari. Poi però diviene qualcosa di differente quando entra l’assolo che da solo vince ogni reticenza nell’ascoltatore. Sa di jazz ma anche, stranamente, dell’italianissimo Pino Daniele (ma in fondo Pino ha suonato spesso una musica poco italiana). Il pianoforte accompagna la frizzantezza dolce della chitarra sguaiata e scivolosa, dal suono acuto. Brano strumentale dove la voce è soltanto un chiacchiericcio femminile noioso. In passato Vai ci aveva abituato anche a cose più pazze, ma rimane uno stravagante del suono. La sua chitarra è sempre liquida e predilige lo spruzzare in faccia con schizzi impertinenti. Non è un proliferare di idee sempre allegre, quanto invece ironiche  ma anche disturbanti e un po’ morbose.
Sky Robertace Latini
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“MELTING CLOCKS”   Yossi Sassi (da Israele)  -  201
Il chitarrista degli Orphaned Land si  propone in un album solista non irrestibile, che però contiene spunti interessanti e alcuni brani intensi. Pur risolvendosi in un songwriting non sempre all’altezza, e non utilizzando le atmosfere ricche della band di provenienza, l’album è un lavoro che sa offrire idee buone. Per la maggior parte sono composizioni strumentali. “DRIVE” è un canonico pezzo chitarristico strumentale, però elegantemente piacevole e tonico. Molto liquido, dai suoni puliti e dal ritmo soffice senza essere una ballata, con guizzi freschi e ariosi. I leggeri inserti orientali lo arricchiscono di un certo fascino. Possiede una certa multiforme dinamicità. “NUMBER’S WORLD” vive di un senso descrittivo fluido con iserti orientaleggianti belli ma non sempre presenti. La voce appare appena, la chitarra ha una distorsione molto pacata, e però il tutto contiene l’anima rock. “MELTING THOUGHTS” è invece basato sulla linea vocale. Una bella voce femminile che con la sua linea vocale dà un tono pop-soul-blues. Di raffinata fattura chitarristica e canora insieme, la canzone è dolce e rarefatta.  “ANOTHER DAY” è finalmente un pezzo hard, quasi psichedelico con un assolo però nitidamente Heavy elettrico. Uno strumentale di carattere.  “SIMPLE THINGS” contiene una chitarra giocosa piuttosto hard, mentre la parte cantata è l’unica dell’album che ricorda il gruppo di cui Sassi fa parte. Brano ipnotico e atmosferico.  Rispetto agli Orphaned Land c’è molto poco orientaleggiamento, c’è, ma con leggerezza e sporadicamente. Sempre rispetto alla band madre, non è alta la tipicità Progressive, pur predente. Le buone cose disseminate qua e là non bastano a farne un ottimo disco. Vi si trovano varie influenze anche ben sfruttate. Alcune sonorità sono molto mediterranee (“Fields of sunrise”), e quando viene accostato il jazz, lo si sfiora soltanto. C’è del blues (“Sahara afternoon”), del folk (“Sunste”) e raramente il Metal. C’è del riempitivo (“Ain’t good enough”) e in ognuno di questi episodi si possono trovare variabili un po’ scontate. Un prog-rock (talvolta hard) meno progressive del normale. Insomma, alla fine nulla a che fare con gli Orphaned Land che sono di tutt’altro spessore. Lavoro inutile? Non direi, ma è solo per coloro che amano andare a rimestare nei ripostigli in cerca di cose particolari (e i brani che ho segnalato lo sono).  Sky Robertace Latini

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)