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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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220. RECENSIONI 2012 di Sky Robertace Latini
La band, capitanata dall’unico membro originale Kevin
Heybourne (singer), compare dopo 25 anni di silenzio (l’ultimo disco era
“Frontal assault” del 1986). Solo 4 album dal primo mitico del 1980, saltando a
piè pari anni 90 e 2000 fino ad oggi. Si tratta della più pura
NewWaveOfBritishHeavyMetal, realizzata nell’anno odierno dal gruppo che fu tra
quelli che la inventò. “DEAD SEA
SCROLLS” parte leggiadra con una ritmica chitarra-batteria che fa venire in
mente lo stile degli Ufo del brano “Doctor Doctor”. Una bella song fluida e
costruita senza alcuna sbavatura, ricordando quell’Heavy Metal di inizi anni
’80, che percepiva ancora il feeling degli ultimi ’70. Linea vocale personale e
bell’assolo di chitarra, solare e melodico. “THE HORLA” è uno splendido momento
soft acustico il cui ritornello in realtà non è dolce, anzi tira fuori una
anima dark e meno dolce. Si sente una atmosfera magica che trasporta
l’ascoltatore in un mondo altro. Il brano si accende indurendosi nel finale,
aumentando il ritmo ma anche rinforzando il lato oscuro del pezzo e infilando
un assolo chitarristico intenso. “WITCHING HOUR” è una cavalcata degna degli
Iron Maiden. Si percepisce un senso di malinconia nonostante la durezza, in un
pathos ben sottolineato sia da voce che dall’arrangiamento. Classica la
performance e classici gli assoli. “UPON THIS CORD” inizia in modo molto
corposo in un riffing dark che prende un tempo cadenzato su cui si staglia la
voce più Angel Witch possibile, in una composizione ossianica che dona quel
senso stregonesco tanto caro alla band. Si aggiunge la parte solista delle
chitarre, la quale è un momento dignitoso in se stesso per la sua forte
personalità. “BRAIWASHED” è il brano
finale per chiudere in bellezza. Ritmo cadenzato per un Heavy Metal puro e
incontaminato, dove interviene un’inscurimento sonoro nell’assolo finale. Gli
A.Witch sono una band che è diventato culto, rimanendo nella storia metal per
quel primo album del 1980 che è considerato uno dei lavori emblematici della
N.W.O.B.H.M. Le prove successive non hanno mai raggiunto i livelli di quello.
Qui invece possiamo dire che il risultato è veramente eccellente. Non si può
paragonarli davvero alle cose attuali dato che la band appare ancorata al 100%
al loro periodo di nascita. Ma ciò è avvenuto con successo esprimendo canzoni
degne di allora, con la stessa medesima atmosfera e verve caratteriale, legata
al senso del fantastico e del tenebroso. Una opera che mi ha trasportato in un
meraviglioso viaggio nel tempo. Sky Robertace Latini
***
ELATION di Great White – 2012
Di acqua ne è passata sotto i ponti metal da quel loro
mitico primo album (anno 1984, dove svettava la bellissima “On your Knees”).
Poi c’è stata anche la fase più blues dal ’01 al ‘99, ma questo è un album di
sano e sporco Street Metal. “(I’VE GOT) SOMETHING” è la track iniziale e sferza
subito col suo riff Led Zeppeliniano, cantando maleducatamente e senza tanti
fronzoli. Ritmo sostenuto e feeling rockenrolleggiante pieno di grinta. “FEELIN’ SO MUCH” è nel solco del più
classico sound rock, ma si sente maggiore raffinatezza e minore cattiveria. “LOVE
TRAIN” fa venire in mente l’hard rock sudista dei Lynyrd Skynyrd ma anche una
spolverata di L.Zeppelin nell’interpretazione canora. L’armonica a bocca esalta
l’americanità e la chitarra sottolinea la polverosità di questa calda
atmosfera. “HEART OF A MAN” vive di un riff fortemente Ac/Dc, ma il ritornello
vira verso il pop metal senza per questo cedere in valore. “LOWDOWN” corre
lineare facendo dondolare la testa dell’ascoltatore. Non vi sono picchi di
tensione, ma in tutto il pezzo c’è un continuo ritmo cadenzato che afferra e
non lascia più. La linea melodica è accattivante e non c’è soluzione di
continuità con l’assolo di chitarra che fluidamente lega la prima parte della
song con la seconda quando riparte il ritornello. Un po’ Rolling Stones; un po’
AC/DC; un po’ Lynyrd Skynyrd; un po’ Tesla; un po’ Led Zeppelin; un po’ tanto
di tutto dato che la band è totalmente nel solco tradizionale del tipico Metal
che si rifà all’america più vera. Nessuna originalità ma tanto buon sound,
anche se talvolta un po’ troppo levigato. Quest’anno forse i Crazy Lixx e
sicuramente Slash hanno fatto meglio, ma “Elation” chiude alla perfezione il
terzetto ed insieme, per chi ama il genere, fanno godere. Peccato per le
quattro ballate che abbassano il livello del disco essendo esse piuttosto
scontate. Non basta che in due di loro (“Promised land” e “Complicated”) si
senta una interpretazione alla Tesla, band
Street Metal tra le migliori al mondo, le ballate così prevedibili
annoiano a morte. Sky Robertace Latini
***
APOCALYPTIC LOVE di
Slash (USA) - 2012
Non so cosa si aspetti la gente da Slash (l’ex guitar
hero dei Guns&Roses); musica classica forse o una opera di teatro? Ho letto
delle critiche insensate su questo disco, non deludente per molti ma comunque
ritenuto di basso profilo. Qui c’è un lavoro di carattere dalla forte matrice
Street Metal come si conviene al chitarrista in questione: proprio la musica
che ci si dovrebbe aspettare da uno come lui. Inoltre con una personalità
particolarmente intensa. A differenza del disco del 2010, dove le tracce erano
state destinate ognuna ad una voce diversa (molti ospiti) in un collage
riuscito ma non sempre omogeneo, in questo c’è una collaborazione a due dove
Slash ed il chitarrista/cantante Myles Kennedy (membro degli Alter Bridge) riescono a creare sia un ottimo songwriting
che un ottimo arrangiamento; cercando di non strafare con la tecnologia ma
usando lo studio per avvicinarsi il più possibile ad una registrazione live. “APOCALYPTIC
LOVE” è title-track ed apripista contemporaneamente per dire subito che il
disco non scherza. Brano sullo stile che più Guns and Roses non si può, anche
la voce fa un po’ il verso ad Axel. Puro Street Metal, energico e grintoso,
anche se al centro c’è un ponte soft alla Bowie. “ONE LAST THRILL” è a metà strada tra un
fulmine G&R e la sguaiatezza punk, quasi cantata alla Sex Pistols. Gran
bella scarica di adrenalina, tirata e famelica, anche nel breve assolo
chitarristico. “STANDING IN THE SUN”
possiede una verve di ampio respiro con un bel chitarrismo sia ritmico che
solistico. Senza contare un cantato fluido e limpido, dall’ottimo feeling. Una
traccia cadenzata ed elettricamente accattivante. “HALO” si muove su un ritmo ballabile; usa un
riffing un po’ denso per accompagnare una linea cantata leggermente teatrale. “SHOTS FIRED” inizia con un riff che taglia
come una sega. Ritmo cadenzato ed ossessivo per un brano corposo e duro. Gli altri brani qui non segnalati? Tutti
molto gustosi. Minori si ma di poco e probabilmente solo per i miei gusti.
Veramente quelli che ho scelto non rappresentano bene il disco, poiché essi
sono quelli più tirati (che volete, è la mia anima rock); in realtà c’è un
gruppo di song che sono più articolate e dall’atmosfera leggermente meno
diretta regalando emozioni meno violente che possiamo dire raffinate. Ecco
quelle che posseggono forte intensità: “You’re
a lie” e “No more hero” si fanno suadenti e volitive, però poi entrano bene
nella testa dell’ascoltatore. “We will roam” invece sembra costruita negli anni
di fine ’60, come quei brani hippy dove i Figli dei Fiori ballano agitandosi
tutti dinoccolati; ne è tipica la ritmica ed anche il modo di cantare che in
alcuni passaggi sembra quella di david Bowie.
“Anastasia” invece prende la musica classica ma non vi resta invischiata
perché poi se ne sgancia, trascinandosi dietro però la magia che si è prodotta,
in una canzone seriosa e di pathos. Il risultato non è molto Slashiano, ma è
ottimo. Il titolo del disco fa
riferimento alla fine del mondo (dato che è stata prevista per quest’anno) e a
cosa fare il giorno prima dell’evento in questione (magari una donna?). Alla fine molta chitarra anche perché sia
Slash che il cantante sono esperti chitarristi. A tal proposito è interessante
l’intervista a Slash nella rivista Rock Hard di maggio. Alla domanda se i
due si influenzassero a vicenda, egli
afferma di aver imparato molte cose da Myles sul come suonare la chitarra, che
essendo Myles migliore sullo strumento è Myles che ha influenzato Slash e non
viceversa, nonostante Slash sia più vecchio. Bè, ragazzi, grande umiltà del
nostro. Sky Robertace Latini
***
“A DIFFERENT KIND OF
TRUTH” di Van Halen (USA-Olanda)
- 2012
La domanda che mi sono fatta dopo l’ascolto è: era
l’album che desideravo da tanti anni? Risposta: No, ma era l’ottimo album che
mi aspettavo. Dico questo perché l’album che desidero dai Van è un
prolungamento della sonorità e della verve dei primi tre:“I”(1978); “II”(1979)e
“Women and children first”(1980); quella tipologia che mi ha dato l’imprinting.
C’è, tra i critici, chi separa l’evoluzione della band tra prima e dopo il
cantante David Lee Roth; io direi invece che più correttamente si può pensare a
tre fasi:
1.
Primi quattro album (in cui il quarto,“Fair Warning”,
è a metà strada tra il terzo ed il quinto). E’ lo scoppio del nuovo fuoco
metal, in cui la chitarra, e la scatenata follia della band, creano una
elettricità rovente, dai suoni molto metallici.
2.
Poi due album (“Diver Dowm” e “1984”) con ancora Roth
alla voce. In cui si evince una sterzata Hard Rock, dal suono moderno ma meno
metal.
3.
Infine gli album dal 1986 senza David, dove l’hard si
percepisce ancora di più.
Questo lavoro è del tutto sullo stile iniziale, dove
le due prime fasi si amalgamano, anche se io vi vedo più l’atteggiamento sonoro
di “Diver Down” e “1984”. Perciò sono felice del risultato, ma la furia dei
primi tre dischi manca, anche se pure là vivevano essenze blues e orecchiabili,
ma con una forza più primitiva e istintiva.
“SHE’S THE WOMAN” è addirittura un brano composto nel 1976
(sponsorizzato da Gene Simmons, il vampiro dei Kiss). Infatti il suono riporta
agli album sopracitati, anche se con una registrazione meno elettrica. La
ritmica entra subito nelle vene, e rimane dentro pur stando in una struttura
semplice. “BLOOD AND FIRE” inizia con la chitarra acustica e prosegue con un
sound morbido, ma basso e batteria mantengono sempre un ritmo incalzante. Una
bella interpretazione calda e melodica di David Lee Roth, ricordando molte sue
vecchie espressività. Urlo a presentare il breve assolo chitarristico che
sguscia via, oliato e inafferrabile. “BULLETHEAD” è una traccia d’attacco, di
quelli classicamente Van Halen, che poteva stare in “Fair Warning” del 1981, lo
stile è quello. Linea melodica che non spazia molto rimanendo piuttosto
granitico e monocorde, e proprio per questo efficace in questa canzone,
mantenendone la durezza del carattere. “HONEYBABYSWEETIEDOLL” è la traccia più
originale e moderna. Riff cupo e ritmo cadenzato. Non so che cavolo significhi
lo strano titolo, ma qui il lato musicale è assolutamente particolare; il tutto
risulta anticommerciale a pare voler dare spazio ad una chitarra quasi
sperimentale che ricorda certi arrampicamenti del super-iper Steve Vai. “OUTTA
SPACE” è un brano veloce e piuttosto Heavy. Cori di vecchio stampo VanHalesco e
una linea vocale semplice e diretta. Assolo chitarristico tagliente e pulito. “STAY
FROSTY” è rockenrolleggiante come altri pezzi sfornati dai van Halen; come
esempio si può accennare ad “Icecream man” dal I album. Divertente, ironico,
tirato e pieno di brio. “BIG RIVER” è un cadenzato 4/4 corposo. Ritmica
prettamente Van Halen. Accattivante ma energica composizione. Di brani brutti
neanche l’ombra. E anche il tanto denigrato pezzo d’apertura, “Tattoo”,
considerato commerciale, tanto commerciale alla fine non è, sebbene
orecchiabile. Non assomiglia mica a certe banalità AoR, o a certo Hair metal
meno duro; siamo al cospetto di un rock dalle forti basi blues; è il brano che
non ha mai composto gente come Eric Clapton e compagni. Ho l’impressione che il
desiderio di roba dura non faccia apprezzare le cose ben fatte di altri generi
rock. Anche per me è un brano minore nel contesto dell’album, ma del tutto
godibilissimo. Altro brano minore è “You
and your blues”, ma va segnalato poichè è una delle tracce più attuali e più
lontane dai Van Halen, con un’anima americaneggiante sullo stile dei Nickelbach
e di certo Punk adolescenziale. Chi
vuole parlare male dei Van Halen lo faccia, ma a parte i preconcetti o i gusti,
su questo disco la band non cade. Le radici blues si percepiscono, tra Hard
Rock anni ‘70 ed Heavy Metal anni ’80, riconosciamo le caratteristiche che
fecero dei Van Halen degli innovatori; ora fedeli a se stessi e poco
avvicinabili ad altri gruppi ancora adesso. Sebbene la metà delle composizioni,
per loro stessa ammissione, sono ripescati da brani mai usati negli anni del
loro passato, si vede che non si sono limitati al compitino, anzi, siamo di
fronte ad un lavoro mai scontato. Ho sentito una persona dire di non averlo
apprezzato poiché troppo pieno di cose; in effetti è pieno di movimento e di
passaggi elaborati, ma è proprio questo il valore aggiunto dell’opera. Non
siamo di fronte ad un risultato plastificato, ma ad una verve raffinatamente
artistica, quindi anche tecnica. Sky Robertace Latini
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