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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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218. VIAGGIO IN ISRAELE – la sensazione emozionale (I parte) di Sky Robertace Latini
Gli odori, le immagini, il movimento, sono dentro la
testa. Si è tutto succeduto in dieci giorni molto intensi, ma non sono stati
archiviati nel cervello in modo confusionario. Sembra invece molto chiaro,
grazie ad una esperienza vissuta col cuore. Io sono credente, ma va specificato
cristiano cattolico, poiché tanti sono i pellegrini che accorrono in Terra
Santa, visto che è il centro di molte fedi diverse (monoteiste diverse ma anche
cristiane diverse). Così quello che poteva essere perso con la mente, è
trattenuto dalle emozioni, che ne hanno sottolineato i passaggi. Quei territori
hanno un passato storico travagliato, ma è l’unico posto in cui la storia è
narrata da un libro religioso: storia e religione coincidono. Da questo si può
capire come sia difficile per gli ebrei separare le due cose. Per un cristiano
non palestinese (europeo come me per esempio) il libro di fede e il libro di
storia sono differenti, ma il libro di fede, laggiù diventa terra e roccia,
polvere e profumi. Tornare da quei posti vuol dire portare via il dono della
concretezza; abbracciare meglio una realtà, che è stata quella di Cristo ma che
è anche dei credenti. Se il fedele cristiano vuole farsi grande perché si crede
convertito, un viaggio in Oriente, verso la terra natia di Gesù, non può che
renderlo umile. Non ci può essere esaltazione al ritorno, ma solo dolcezza;
quella che si riceve calcando il suolo che Egli ha calcato. Seguendo i suoi
anni di predicazione, luogo dopo luogo, si capisce l’amore di Cristo per gli
uomini, per ogni singola persona, per me. E come si fa ad esaltarsi, ad
inorgoglirsi, quando vediamo meglio che è una storia che porta al sacrificio.
Una storia detta di Salvezza che potremmo definire di fidanzamento, e poi di unione,
in una tenerezza umana (e divina per chi ci crede) che lascia solo un senso di
dolce vicinanza. Non sono un amante dei santini e delle devozioni
superstiziose; ma per me mettere la mano nel foro dove si dice fosse stata
infilata la croce o inginocchiarmi nel Santo Sepolcro, sono un segno da usare
come memoriale per cercare di vivere appieno il mio rapporto con Dio. Sulla
Bibbia, il messia è chiamato segno di contraddizione, e davvero lo si
percepisce in Israele dove anche i cristiani, divisi nelle loro confessioni
(Armeni/Ortodossi/Cattolici/Protestanti/Copti), litigano per un pezzo di santuario.
Gesù di Nazareth è tale segno in tutto il mondo, ma lo è ancor di più nella
Terra Promessa degli ebrei, perché invece dell’unione d’amore c’è la
separazione culturale e religiosa. Ognuno pretende per sé un pezzo di Cristo,
quando con l’ostia un pezzo di Cristo diventa invece un tutto Cristo. Poi io ho
bevuto birra, mangiato bene e acquistato musica metal israelita; quindi ho
vissuto anche il lato vacanza. Ma sono tornato con una nostalgia che non mi
lascia, vivendo soprattutto un pellegrinaggio. Dieci giorni (sono tornato il 26
agosto 2012) pieni di contatti forti, e con me la sensazione di essere amato; i
vangeli lì si sono raccontati con l’irruenza dell’amore. Del resto la Terra
Santa è detta il “Quinto Vangelo” poiché pare che parlino anche le pietre. Tornare
alla vita quotidiana non è pesante, pesante è il timore di dimenticare questa
amorevole attenzione di Dio verso di me.
SKY ROBERTACE LATINI
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