Nicola Zegrini è nato a Roma nel febbraio del 1970. Giovanissimo si era già distinto per creatività letteraria scrivendo frammenti di poesie trasformati oggi in melodie musicali. Poliedrico di passioni, si è laureato in Giurisprudenza all’Università della Sapienza a Roma; successivamente ha aperto un negozio di surf. Negli ultimi anni ha scoperto la fisica quantistica e, con grande interesse, si è dedicato alla lettura di molti saggi accorgendosi di quanto la scienza in questione abbia in comune con la filosofia e con alcuni aspetti della religione, a cui si è sempre interessato. Ritiene opportuno diffondere in ogni modo le conoscenze acquisite. (RR)
1. L'importanza dell'accettazione e del non giudizio e il segreto della felicità.
Una delle tendenze più innate nell'essere umano e una delle più dannose è la tendenza a giudicare: siamo portati a giudicare tutto, dalle persone che ci troviamo davanti al modo in cui sono vestiti, da quello che fanno al loro modo di parlare e di atteggiarsi. Giudichiamo anche le cose: la macchina di un amico, la sua casa, lo stipendio di un superiore o la barca di un personaggio famoso. Il giudicare è uno dei vortici più turbolenti in chi ama immergere la nostra mente quando è intenta nel suo instancabile e inarrestabile dialogo interiore, veniamo trascinati in questo turbine di opinioni e di pensieri riguardo a tutto ciò che è esterno rispetto a noi e, il più delle volte, lo facciamo senza neanche rendercene conto; una parola tira l'altra un pensiero negativo se ne porta dietro un'altro peggiore e alla fine della giornata ci troviamo di cattivo umore senza neanche renderci conto del perché. Ci troviamo anche ad essere senza energie e privi di stimoli per portare avanti qualunque progetto. Il motivo di ciò è uno solo: quando giudichiamo ci priviamo della nostra energia per proiettarla all'esterno. Da qui deriva il senso di spossatezza quando la sera ci troviamo a casa davanti alla tv; proviamo allora a dare la colpa al lavoro ma quando arriva il fine settimana o le vacanze ci accorgiamo che questa mancanza di energie continua ad opprimerci. Allora dov'è il problema? Come detto sopra il problema è esattamente la nostra tendenza a giudicare, una tendenza che ci priva di energie e ci rende inermi di fronte ai problemi della vita. Ora però vorrei porre l'attenzione su di un'altra tendenza meno conosciuta ma, per molti versi, anche più distruttiva: quella del giudicare non tanto le persone e le cose quanto gli eventi. E' proprio questa la tendenza che ci priva dell'entusiasmo e della voglia di andare avanti. Ogni volta che ci aspettiamo un certo risultato che non avviene, ogni volta che le nostre aspettative vengono disattese, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un avvenimento diverso da quello che ci eravamo prefigurato ci troviamo ad essere delusi e sconfortati. Questo perché stiamo giudicando: giudichiamo quello che è successo nel suo essere differente da quello che ci aspettavamo; giudichiamo gli avvenimenti e tutto ciò non fa' che condurci verso il basso in una spirale inarrestabile. La verità è questa: raramente la vita ci concede quello che ci aspettiamo senza riservarci sorprese, le sorprese sono una costante della nostra esistenza e il trucco per affrontarle è semplice: l'accettazione. Sto parlando di accettare quello che ci succede, del non giudicarlo, del non rimanere delusi perché i risultati sono differenti da quelli che ci aspettavamo. Solo così lasciamo la strada aperta all'universo perché realizzi i nostri desideri nel modo che è veramente migliore per noi e non nel modo che, nella nostra visione ristretta, giudicavamo essere più favorevole. Solo così riusciremo a renderci conto che, con il tempo, le cose possono andare persino meglio di come ce le eravamo prefigurate. L'accettazione è un grande strumento che fa' sì che i nostri desideri possano essere realizzati e che l'universo possa continuare la sua opera. Con il giudizio, al contrario gli chiudiamo la strada e priviamo di energia positiva la scia di avvenimenti che l'universo ha predisposto per la nostra realizzazione. Anche se può sembrare difficile all'inizio, con la pratica l'accettazione diviene sempre più facile e alla fine diverrà una condotta naturale. Uno dei modi migliori per aprire la via all'accettazione è quello del riconoscere il giudizio. Dobbiamo porre l'attenzione ai nostri pensieri tutte le volte che interviene il giudizio. Facendo questo, con il tempo, gli togliamo energia ed esso finirà per presentarsi sempre meno. Dobbiamo inoltre accettare tutto quello che succede nella nostra esistenza senza etichettarlo o giudicarlo. Dobbiamo insomma riservare lo stesso trattamento agli avvenimenti graditi e a quelli che, per il momento, non ci appaiono tali. Agendo in questo modo poniamo le basi per la nostra realizzazione in due modi: apriamo la strada all'universo per realizzare la sua opera e priviamo della nostra energia gli avvenimenti negativi che così tenderanno a presentarsi sempre meno. Alla fine di tutto, ciò che bisogna fare è rendersi conto che il male non esiste di per sé, ma è solo la nostra percezione che ci fa' giudicare qualcosa bene o male, giusto o sbagliato, buono o cattivo, positivo o negativo. Un perfetto esempio di questi insegnamenti è presente nella bibbia: nella Genesi quando Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso Terrestre per avere assaggiato il frutto del giudizio del bene e del male, perché con il distinguere il bene dal male hanno creato la distinzione e quindi il male. Prima di assaggiare il frutto proibito Adamo ed Eva camminavano nudi per i giardini dell'Eden, in seguito, vergognandosi, sono stati costretti a coprirsi perché con il distinguere il bene dal male, in un mondo dove regnava solamente l'armonia, hanno creato il male che, potrebbe dirsi, non è altro che la distinzione tra le due forze antitetiche. In poche parole il male non è altro che il giudicare ciò che appare diverso da te; con il giudizio noi creiamo il male e gli diamo energia. Si dovrebbe invece agire come se bene e male fossero espressione della stessa forza, uno antitetico all'altro. Renderci conto quindi che se non esistesse il male non riusciremmo a sperimentare neppure il bene; come è per il freddo e per il caldo, per la luce e il buio e così via. Secondo me questi concetti sono raffigurati magistralmente nell'affresco di Michelangelo Buonarroti della "cacciata di Adamo" presente nella Cappella Sistina, dove lo stesso individuo impersona il serpente tentatore, che rappresenta il male, e l'angelo, simbolo del bene. Non sono altro che due differenti aspetti della stessa realtà. Questo naturalmente non significa che dobbiamo accettare un avvenimento negativo come faremmo per uno positivo, ma soltanto che se smettessimo di giudicare e di demonizzare il negativo questo non si presenterebbe più con tutta la sua energia ma ci arriverebbe più fiacco e diluito, in un modo che ci renderà più semplice accettarlo. Tutti noi arriviamo in questo mondo per sperimentare il bene e il male: sia esso gioia e dolore; buono e cattivo; amore e odio o ricchezza e povertà. La scelta sta a noi, possiamo accettare questi due opposti per come si presentano o resistergli, in questo secondo caso avremmo un eccesso dell'uno o dell'altro. Un eccesso di male, che in questo caso potremmo definire dolore, porta a conseguenze che possono essere facilmente immaginate; mentre un eccesso di bene ci porta a non sapere apprezzare quello che abbiamo: di qui la tendenza all'uso di droghe, a qualunque tipo di eccessi fino al suicidio di chi, per come la vediamo noi, ha raggiunto tutto quello che si possa desiderare. Senza il male non riusciremmo ad apprezzare il bene, come senza il buio non si apprezza la luce e così via. Il segreto, anche qui, si trova nell'accettazione e nel non giudizio: nell'accettare che la vita si presenterà a noi in una forma diluita di bene e male, nell'accettarla ed amarla per quello che è e nell'astenersi dal giudizio per tutto ciò che ci è poco gradito. Il segreto della felicità, quindi, si trova forse proprio nel mezzo: nel saper apprezzare quello che si ha.
E' stato facile amare Dio in tutto ciò che era bellezza.
Le grandi lezioni di conoscenza, però, mi hanno insegnato ad amare Dio in tutte le cose.
San Francesco d'Assisi
2. Il bello della vita, forse, è la vita stessa.
Immaginiamo di trovarci in una situazione in cui tutto va nel migliore dei modi: qualunque cosa tentiamo di fare quella non potrà che andare in maniera perfetta, esattamente come desideriamo. Potremmo immaginare di essere un famoso giocatore di calcio, per esempio. Immaginate quindi di giocare per una famosa squadra di serie A. Immaginate poi di sapere che ogni partita che giocate non possiate fare altro che vincerla, siete in assoluto i più forti e, per quanto gli avversari si impegnino, non hanno alcuna speranza contro di voi. Immaginate poi di portare questa situazione anche nella vita privata, di avere, così, un compagno o una compagna che vi adorano, dei figli bellissimi che si comportano in maniera ineccepibile e sono i primi della classe. Pensate poi di avere una casa immensa con una vista da fare venire i brividi. Tutto insomma quello che si possa desiderare. Provate ora a fare un piccolo esercizio mentale. Fermatevi per un po' di tempo a riflettere seriamente su questa situazione, su quello che ho detto. Interrompete la lettura, chiudete gli occhi e riflettete. Fatelo finché non riuscirete a visualizzare per bene lo scenario proposto. Quando avrete finito ricapitolate quanto provato e, in seguito, riprendete pure la lettura. Non vi è sembrato di vivere in un incubo? Non avete desiderato di poter perdere, per una volta almeno, una partita? Non vi siete sentiti oppressi dal successo? Se siete riusciti ad immaginare bene questo scenario capirete quello che voglio dire: in questa finzione ogni nuovo successo lo vivreste come l'avverarsi di un incubo. Una sensazione come quella della mancanza d'aria, del sentirsi oppressi. Una sensazione paradossalmente molto simile a quella dell'insuccesso, della sconfitta. Non arriverete, magari, a sentire un senso di disperazione paragonabile a quando và tutto male o a quando non potete permettervi di sfamare i vostri figli; ma il vuoto interiore e il senso di mancanza è lo stesso. Se poi vi siete immedesimati alla perfezione nel personaggio, vi sarà capitato di sentire una sensazione nuova che mai avete provato nella vostra attuale vita di difficoltà e privazioni: il senso di inutilità, una sensazione che vi farà sentire di stare vivendo la vita inutilmente. Probabilmente non avete mai provato prima quella sensazione: questo perché, finché viviamo nella mancanza siamo convinti che, con il benessere e l'abbondanza, le cose si debbano sistemare per forza. Siamo troppo impegnati, allora, a perseguire questi obiettivi, certi che siano l'unica cosa che ci manca per vivere bene. Non ci preoccupiamo allora di dare un senso alla nostra vita. Senso che invece diventa preminente nello scenario proposto: dove abbiamo tutto ciò che si possa desiderare. Questa sensazione di inutilità e di vuoto interiore può persino essere peggiore e più distruttiva delle sensazioni che si provano quando non si ha; perché in questo caso non vediamo la luce in fondo al tunnel o, in altre parole, mentre in un caso pensiamo che, raggiunto il successo ci sentiremo meglio; nel secondo caso non sapremmo più a cosa aggrapparci perché questa sensazione di vuoto e di inutilità parrà non avere una cura. Potremmo provare allora a fare del volontariato e questo ci darà un certo sollievo ma sarà momentaneo e fittizio perché, una volta che avremmo capito sulle nostre spalle che non è il benessere a darci la felicità, il regalare beni materiali a qualcuno ci darà quasi l'impressione di usare queste persone per il nostro tornaconto. Questo esempio era finalizzato a far comprendere quanto accennato nell'articolo precedente, ossia che negli assoluti non vi è felicita; la felicità possiamo trovarla soltanto nel relativo, nell'equilibrio, nel bilanciamento tra due stati, siano essi bene e male; ricchezza e povertà; amore e odio o gioia e dolore. Cosa vuol dire? Che non c'è niente di male nel perseguire la ricchezza o il successo ma per raggiungere la pace interiore e l'appagamento non conta il traguardo ma la strada per arrivarci. Quello che dobbiamo fare allora è gioire delle piccole cose come del sorriso di un bambino o di un soffio di vento che ci accarezza il viso. Vuol dire svegliarci con il buonumore anche in un periodo in cui tutto va male; vuol dire saper sorridere alle difficoltà come alle gioie; vuol dire saper apprezzare quello che abbiamo. Quando riusciremo a tenere un atteggiamento come questo, a non fare quindi più distinzioni e a non porre più il giudizio di fronte ad ogni avvenimento, ci renderemo conto che il male non busserà più alla nostra porta in tutta la sua drammaticità, ma ci arriverà attenuato, diluito. In questo modo riusciremo a trovare l'armonia dell'equilibrio e con essa ci allineeremo in maniera più lasciva all'energia dell'universo che non potrà fare altro che condurci verso la gioia vera, verso la vita. Questo non vuol dire lasciar perdere i propri obiettivi e fregarsene ma capire che il bello non sta nel raggiungerli ma proprio nel perseguirli. Il bello della vita, forse, è la vita stessa.
Qualunque cosa l’uomo desidererà
Potrà averla davanti ai propri piedi quando amerà di pari amore la strada che si è lasciato alle spalle.
1 commento:
Molto interessante, ma dopo aver letto mi è rimasta la sensazione che manchi qualcosa a questo discorso, però non so bene cosa. Devo assimilare meglio e rifletterci.....
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