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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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134. RECENSIONE SPECIALE (QUANDO LA MUSICA ABBATTE LE BARRIERE) di Roberto Latini



 QUANDO LA MUSICA ABBATTE LE BARRIERE

L’esistenza di due band come i Myrath e gli Orphaned Land è una notizia che va oltre il fatto musicale. Naturalmente è la musica il valore, e nel panorama mondiale si ritagliano un posto di tutto rispetto. I Myrath sono un gruppo tunisino che ha all’attivo tre album. Il primo è del 2007, l’ultimo è del 2011. Si tratta di cinque musicisti che fanno un metal imparentato col Progressive, e utilizzano molte sonorità arabe. Riescono bene nell’intento, in modo molto moderno e attuale, con la carica giusta e una maturità elevata. Non appaiono assolutamente provinciali, anzi, si situano perfettamente nel panorama internazionale. Nessun arzigogolamento ma invece una comunicatività dinamicamente diretta.  Gli Orphaned Land sono invece israeliani. Hanno pubblicato quattro album tra il 1994 e il 2010, molto prima quindi dei Myrath. Anch’essi stanno all’interno del genere Prog-metal, anzi, sono assolutamente e totalmente dentro questa tipologia, anche se con inserti Death  e Doom. Le composizioni hanno anche un minutaggio elevato come appunto nella migliore tradizione Progressive. Rispetto ai Myrath i suoni appaiono leggermente più datati, ma la personalità dei sei membri (cambiati nel tempo) riesce a renderli attuali e freschi. Anche in loro le atmosfere, molto affascinanti, spesso si tingono di mediorientalità. Mantengono sempre un carattere di internazionalità.  Entrambi i gruppi hanno una forte dimensione geografica di appartenenza, ma senza esagerare, e l’anima rock-metal rimane inalterata.  Ma qual è il fatto extra-musicale che li lega?  Eccolo. Essihanno iniziato insieme un tour europeo dalla fine del 2011. Dalla Francia alla Romania passando anche in Italia e in Germania. Lo hanno fatto con due band francesi, gli Artweg che suonano Hardcore (un solo album all’attivo), e gli Arkan (tre dischi). Gli Headliner naturalmente sono gli Israeliani poiché hanno una carriera più ampia, ma il fatto stesso che metallers tunisini e israeliani vadano in tour insieme è già di per sé una notizia (in realtà è una notizia anche solo l’idea di metallari dalla Tunisia). Il rock, e più in particolare in questo caso il Metal, si afferma ancora una volta come mezzo anticonformista e di rottura con la cultura prevalente. L’arte in generale ha questo potere, ma la musica giovanile spesso contiene molto meglio questo tipo di espressione…l’espressione di superare schemi e abitudini.   ROBERTO LATINI


“TALES OF THE SANDS”   Myrath   (2011)

Se può apparire sorprendente, l’esistenza di un gruppo metal tunisino per me lo è. La libertà e l’arte, la capacità espressiva e la creatività. Il fatto che sia musica con sonorità orientaleggianti non è di per sè una novità, ma quando essa diventa l’impronta molto forte di un disco e per giunta è realizzata da chi orientale lo è già di cultura, allora la cosa prende un altro aspetto. “UNDER SIEGE” inizia come un normale pezzo tra il gotico ed il sinfonico, la voce segue una linea vocale dinamica e assolutamente non orientale sopra riff chitarristici secchi e corposi, ma l’arrangiamento  possiede quella verve mediorientale che dà il sapore di esotico e di magico.  “BRAVING THE SEAS” sembra proseguire il discorso compositivo del pezzo precedente discostandosi poco dal punto di vista dei riff, della ritmica non veloce e dell’atmosfera rock, lasciando da parte le tematiche più orientaleggianti sebbene si sentano nelle sfumature vocali e tastieristiche. Sembra un pezzo più solare nonostante il pezzo centrale strumentale leggermente cupo.  “TALES OF THE SANDS” è molto orientale. Violini, percussioni e cori femminili suadenti evocano il vero e proprio mediooriente, ma stavolta è il cantante, col ritornello, a gettarsi anima e corpo nella propria cultura, e lo fa con tale maestria da mantenere l’internazionalità della proposta assolutamente convincente. E’ un pezzo middle-time che si velocizza con l’assolo di chitarra. Il tutto sinuosamente in una fluidità emozionale d’altri tempi.  “SOUR SIGH” possiede un morbido violino iniziale, ma poi il brano si indurisce mentre l’arrangiamento torna all’oriente magico. La linea vocale è passionale e struggente, il ritmo è a volte cadenzato, a volte medio.  “WIDE SHUT” vive di una linea vocale che nel ritornello è orecchiabile ma non commerciale, l’arrangiamento invece è del di tono forte. Il carattere è globalmente deciso e ben tagliato. In particolare mi piace quel breve momento di gioco secco tra i riff e i violini effettuato due volte. C’è anche il deserto che viene fuori spesso, anche per l’assolo che fa venire in mente i beduini, del resto l’album parla di sabbie.  Una band al suo terzo disco che non insegue le proprie radici a tutti i costi nonostante l’impronta in tal senso sia esuberante; infatti alcuni brani sono senza orientaleggiamenti. Ma è proprio nell’essere orientaleggiante in maniera così rockeggiante, il valore aggiunto. In effetti i brani meno orientali sono anche da considerare i minori. La band è prog-metal solo in alcune composizioni. Possiede anche accenni gothic e symphonic. In realtà si sentono anche caratteristiche commerciali americaneggianti degli ultimi anni. Voglio aggiungere che la presenza di una metal band tunisina ben si colloca nel movimento culturale-politico che ha voglia di modernizzazione in questo periodo storico, e di democrazia chiamata a gran voce da molti in quelle terre. La libertà di espressione passa anche per borchie, pelle e catene.  ROBERTO LATINI


“THE NEVER ENDING  WAY OF ORWARRIOR”     Orphaned Land    2010

Non si trova alcuna traccia di facile appetibilità. Non è un disco aperto al grande pubblico, ma solo a chi ha gusti raffinati. Qui c’è vero Progressive-Metal, spesso anche più rock e meno metal.  “SAPARI” è un dinamico pezzo altamente etnico, inteso come fortemente radicato nella tradizione del territorio mediorientale. Meno metal di altre tracce del disco, pur possedendo distorsione, riff e ritmo serrato. La cadenzata coralità vocale maschile e femminile è legata alla tradizione dei luoghi; e il tutto è reso in maniera solare.  “THE PATH PART 1 TREADING THROUGH” è inizialmente una dolce ballata acustica con associata strumentazione che usa suoni geograficamente orientaleggianti. Poi entra il ritmo e la chitarra progressive rock che abbandona l’oriente, accompagnata da una voce limpida ma anche da una quasi growl, seppure leggera, la quale scurisce l’atmosfera verso una situazione simil-Death. La chitarra usa un fraseggio fluido e continuo che riempie la linea melodica con insistenza e centralità. Senso di grande fascino e ariosità, anche se non luminosa, prediligendo una certo alone di malinconia e mistero. L’oriente torna nel finale. La parte due non è all’altezza di questa.  “OLAT’HA TAMID” è del tutto mediorientale ma ricorda cose già usate nel mondo rock (anche di gruppi prog italiani degli anni ’70 e persino dei Jethro Tull). Brano breve ma di intensa emotività in cui la distorsione chitarristica non è assolutamente in secondo piano, anzi vive anche il riff stile cavalcata, super rodata da tutte le band metal.  “THE WARRIOR” inizia con suoni epici per presentare un pezzo sontuoso ma  non gridato in cui la voce calda sorretta da tastiere procede con un andamento dal ritmo lento pieno di pathos e di soffice pienezza. La linea vocale sta solo nella prima parte della song, poi si cede lo spazio alla chitarra che è tutto un assolo di classe che guida una lunga parte della composizione, assolo non veloce ma melodioso. Forse la traccia più elegante dell’album.  “DISCIPLES OF THE SACRED OATH II” è un metal oscuro con growl, che cede in modo sfumato al black metal, e voce limpida nera. I passaggi che danno variabilità sono numerosi, e i giochi di chitarra sono continui. C’è l’oriente  ma anche tanto prog-metal. In parte si percepisce una atmosfera epica (anche rumori di spade ben inserite nella ritmica batteristica). Brano davvero interessante. Con “The warrior” la migliore prova del lavoro. “NEW JERUSALEM” è la dolcezza di una canzone che apre uno spiraglio di luce nella sonorità della band non sempre ottimista; non è allegria  ma almeno dà una sensazione di contemplativa rilassatezza. Una voce femminile non smielata accompagnata da un mandolino leggiadro, una voce maschile intensa e una ritmica dinamica, il tutto per un momento sonoro quasi folk-country e meno metal. Con “The warrior” e “Disciples of the sacred oath II” forma una splendida tripletta.  “IN THY NEVER ENDING WAY” leggermente più accattivante del resto dell’opera (insieme forse a “Sapari”, ma di più) è però bella e suadente, anch’essa orientaleggiante, non esagera in tal senso, e infila un efficace assolo di chitarra non originalissimo eppur gustoso. La fine di questo brano è pianistico e serve a terminare l’album come per lasciare una memoria malinconica e struggente.  Certo il lato orientale è parecchio sviluppato ma assolutamente accessibile alle orecchie occidentali. Non si può negare che tali suoni siano un valore aggiunto, però la storia del rock duro ha abituato i metallari a questo tipo di linee melodiche, e pur frequenti, in questo disco non eccedono.  Non tutto l’album viaggia sui livelli dei brani citati, però non ne esiste uno senza valore. Alcuni momenti necessitano di ripetuti ascolti, ma la magia si incrementa man mano che tali ripetizioni proseguono.  .  ROBERTO LATINI

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)