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Nel film, ricordando la tua adolescenza, parli della tua famiglia, emigrata in Canada negli anni quaranta dopo aver subito le persecuzioni dei nazisti ed essere sopravvissuta all’olocausto. Ricordi che essere di famiglia ebrea all’epoca comportava frequenti risse e pestaggi con i tuoi compagni di scuola…
Ai tempi l’antisemitismo era molto comune dalle parti di Toronto, soprattutto nella campagna, dove la maggioranza della popolazione era bianca, anglosassone e protestante. Non c’era quasi multi etnicità. Vivevamo in un piccolo villaggio che era una enclave di famiglie ebraiche. I figli degli agricoltori non ci apprezzavano per niente, né avevamo familiarità con le nostre tradizioni, così eravamo stranieri anche per loro. I litigi, le risse e gli agguati erano all’ordine del giorno. Era una cosa abbastanza scontata non avventurarsi mai da soli nei quartieri dei farmers. Comunque si riuscivano anche a stabilire relazioni amichevoli con le persone più tolleranti. Le nostre famiglie erano molto aperte culturalmente e non facevano nulla per imporre le loro visioni religiose a noi e alla gente del nostro vicinato. Però l’atmosfera del posto non era molto eccitante e i Rush nacquero proprio per evadere dalla monotonia.
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Nel film dichiari che uno dei pezzi più intensi che abbiate mai scritto è “Red Sector A” (su “Grace under pressure” del 1984), direttamente ispirato alle memorie di tua madre, Manya Rubistein, sopravvissuta al campo di concentramento di Bergen-Belsen nella II guerra mondiale…
Vero. Quando lavorammo a quel pezzo, spiegai a Neil la storia della liberazione di mia madre così come me l’aveva raccontata lei. Mi diceva che lei e gli altri prigionieri credevano che il mondo fosse stato completamente distrutto. Era l’unica spiegazione che riuscivano a darsi del fatto di essere rinchiusi in quel posto e che nessuno venisse a liberarli. Così mi spiegò che, quando vide le truppe inglesi che irrompevano nel campo e li liberavano, la prima cosa che chiese loro fu se il mondo esistesse ancora. Neil rimase molto impressionato da questa storia e cominciò a scrivere le linee guide di “Red sector A”, ambientandola, però, in un futuro apocalittico. La parte centrale del pezzo è il pensiero: “Dov’era il mondo quando tutto questo è successo?”.
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Gìà…dov’era, secondo te ?
Non lo so e ancora non riesco a capire come sia potuta accadere una cosa simile. Però è successo e niente ci assicura che non potrà accadere di nuovo. I miei genitori furono entrambi imprigionati prima ad Auschwitz e poi mia madre fu deportata a Bergen-Belsen e mio padre a Dachau. Nel 1995, durante le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della liberazione, ho accompagnato mia madre, mio fratello e mia sorella in Germania e in Polonia, visitando quei luoghi; per me è stata un’esperienza molto toccante, anche se mia madre invece era euforica nel tornare in quei posti. Mi spiegò che il fatto di essere sopravvissuta, le dava la certezza di aver vinto; e poi, essere in quel momento lì con i suoi figli era il massimo trionfo su chi la voleva morta. Quando arrivammo in Polonia, addirittura diventò un’altra persona e guidò lei stessa il nostro tassista per i luoghi dove era cresciuta come se non fosse mai andata via da lì.
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Sulla base di tutte queste esperienze della tua famiglia e dell’educazione che hai ricevuto, quali sono stati i tuoi sentimenti quando sei andato per la prima volta in tour in Germania ?
La prima volta che andammo in Germania in tour fu durante il “Tour of the hemispheres” nel 1979 ed ero attraversato da un sacco di sensazioni contrastanti entro di me. Da una parte avevo sentito da mie madre tutte le storie sull’Olocausto e sugli orrori che quei posti evocavano nei miei parenti; dall’altra, però, facevo parte di una generazione che non aveva mai conosciuto la guerra e che non aveva niente a che fare con quelle idee. La gente, soprattutto i giovani, erano come me e mi accoglievano in maniera gentile; insomma, non c’era più nulla di quell’atmosfera che evocavano i racconti di mia madre e dei miei parenti. Ma sono orgoglioso di come la mia famiglia abbia saputo affrontare il proprio passato così duro e come abbia insegnato a noi a mettercelo alle spalle per costruire il mondo .
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ROBERTO LATINI
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