http://www.aur-umbria.it/public/images/donne_INVITO-seminario18gennaio2012.pdf
per trattare un argomento che mi sta “frullando”in testa da qualche giorno: la violenza psicologica sulle donne, ma anche in generale la violenza psicologica di un essere umano su di un altro, come ad esempio la violenza psicologica sul posto di lavoro definita attualmente col termine “mobbing”. Possono essere violente le parole? Possono i toni di voce o i silenzi ferire e, se protratti, togliere ogni sicurezza e gioia di vivere? Sì, ci sono parole che possono ferire profondamente come pugnali, possono essere usate per umiliare e giorno dopo giorno possono distruggere una persona. Ci sono aggressioni che non agiscono direttamente sul piano fisico come uno schiaffo, una spinta, un pugno, un calcio, ma giorno dopo giorno creano un clima invivibile ed attuano un processo di distruzione psicologica attraverso parole denigratorie continue . E poi ci sono i gesti ed i silenzi accusatori, gli sguardi e i toni di voce di continua disapprovazione che ridicolizzano ogni cosa detta o fatta. Può uno sguardo fare paura? Può confondere, togliere ogni sicurezza rispetto al proprio modo di essere in relazione alle situazioni? Può la semplice presenza di 'quella' persona, farci sentire inadeguati ad ogni contesto, incapaci di affrontare e risolvere qualsiasi problema? Uno sguardo che ci accompagna e ci giudica in ogni minimo gesto quotidiano, che ci fa sentire di non essere mai come 'dovremmo' essere. Può uno sguardo, quello sguardo, essere su di noi anche se quella persona non è con noi in quel momento? Mi riferisco in particolare, adesso, alla violenza psicologica sulle donne: può essere che quello sguardo appartenga ad una persona cara, ad un fidanzato, un marito, un padre o un famigliare? Penso di sì e credo che spesso dentro la sensazione di essere inadeguate, sbagliate, inopportune e incapaci, dietro agli sguardi sfuggenti o al contrario sfidanti e disperatamente provocatori di molte donne, si possano celare situazioni di violenza psicologica, esercitata all'interno della sfera privata. Non ci sono solamente le violenze ed i maltrattamenti fisici che segnano profondamente le persone, ma anche quelli psicologici che non lasciano lividi ed escoriazioni visibili nel corpo, ma non di meno producono ferite in luoghi non visibili, dentro le persone, e segnano profondamente la loro vita. In realtà la violenza psicologica è sempre esistita anche se definita in termini diversi. Basti pensare al cosiddetto capro espiatorio, alla violenza nei manicomi, nelle carceri, al nonnismo, a quella sottile violenza nella famiglia, nella scuola, nei collegi, in tutte le Istituzioni. Violenza così definita dall’antropologo francese Renè Girard: “ la violenza non consiste tanto nel ferire e nell’annientare, quanto nell’interrompere la continuità delle persone, nel far loro recitare delle parti nelle quali non si ritrovano più, nel far loro mancare non solo a degli impegni ma alla loro stessa sostanza, nel far compiere degli atti che finiscono con il distruggere ogni possibilità di atto… nel distruggere l’identità dello Stesso. Gli individui sono ridotti ad essere portatori di forze che li comandano al loro insaputa”. Questo tipo di violenza, spesso si differenzia dalla violenza ritenuta e codificata come illegittima e passibile di condanna da parte del sistema giudiziario; e si riferisce a quella “legittima” che attraverso i rituali, la prassi, i regolamenti, i comportamenti pseudomorali si impone e teoricamente mira alla non violenza , per tramite della violenza. In quest’ottica i luoghi di lavoro, oggi, diventano luogo primario di questo tipo di violenza, ritualizzando la violenza come legittima, forzando l’accettazione di regole e convenzioni, divieti e punizioni: questo tipo di violenza si camuffa sotto il profilo del doverismo, della rigidità verticistica, fa leva sulla paura, sulla debolezza, sull’ignorare e sul non informare e quindi impedisce la libertà di scelta, e di decisione consapevole reificando costantemente la dipendenza, la sottomissione e la non differenza, e distrugge la possibilità di identità e di individualità e la capacita’ di relazione, formando una specie di pallido rapporto di natura impersonale regolato da pregiudizi, convenzioni, obblighi, in cui la violenza diventa strumentale e prototipo di convenzionalità, dissimulando l’entità reale della violenza legale ed illegale. In questa definizione della violenza si possono poi ritrovare una serie di comportamenti vessatori ed emarginanti che a saper ben guardare e vedere esprimono atti illeciti civili, penali, amministrativi atti ad “uccidere” la vittima designata. Per cui nell’accezione attuale “violenza psicologica sul luogo di lavoro”, che produce “terrore psicologico sul luogo di lavoro” sono termini che ben esprimono i reali accadimenti. E ricordando anche che il termine Mobbing viene ad indicare in analogia con l’aggressività degli uccelli “l’assalire circondando e tumultuando in massa con finalità di eliminazione dell’avversario”, voglio citare la definizione di mobbing data ad un convegno sui problemi medico legali legislativi e giuridici del mobbing stesso, dalla Prof. Dr. Emilia Costa, titolare 1^ cattedra di psichiatria dell’Università “La Sapienza” di Roma e dal Dott. Massimiliano Costa Avvocato del Foro di Roma: “Violenza psicologica e molestia morale sul luogo di lavoro che conduce al degrado delle condizioni di lavoro ed è atta a ledere la salute, la professionalità, la dignità della persona lavoratore e si attua con svariate modalità comunque individuabili, comunque aggressive e vessatorie, verbali e non, con finalità tese all’emarginazione ed all’isolamento, alla dequalificazione professionale ed umana, al demansionamento, allo svuotamento o perdita di ruolo con l’obiettivo finale di bloccare la carriera e/o eliminare uno o più dipendenti, con conseguenze sulla salute, sull’attività professionale, sulla vita privata e sociale, di grado variabile secondo l’entità del danno subito nonché danno economico e culturale allo stesso ente ed alla società in generale.” Per concludere penso che ci sia necessità di informare, educare, parlare, battersi, creare opinioni, comunicare, aiutare chi non può difendersi da solo, sensibilizzare l'opinione pubblica e fare in modo che le istituzioni, in particolare i gruppi formatisi a sostegno dei più deboli si pongano come obiettivo la salvaguardia dell'inviolabilità e del rispetto della personalità; come credo che ci sia bisogno di validi strumenti legislativi che affrontino questo tipo di problematiche e aggiungano ulteriori tasselli per un più ampio e complesso sistema volto a garantire adeguate forme di tutela per le vittime di violenza sessuale e violenza psicologica in generale. CHIARA PASSARELLA
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