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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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394. SE QUESTO È UN UOMO/SE QUESTA È UNA BAMBINA; PASSATO E PRESENTE NELL’ORRORE di Chiara Passarella
Non è
facile decodificare il groviglio di sentimenti, sensazioni, pensieri più o meno
rabbiosi, più o meno pietosi che affollano la mia mente da alcuni giorni.
Un
binomio: Primo Levi/Adriano Sofri
Un altro
binomio: passato/presente
Un unico
comune denominatore: l’orrore
Se questo è un uomo, è il romanzo testimonianza di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. Rappresenta la
coinvolgente ma riflettuta testimonianza di quanto fu vissuto in prima persona
dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz.
“Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no”
Sono questi alcuni dei versi introduttivi del
romanzo, ispirati all'antica preghiera dello Shemà e ne spiegano il titolo. Lo Shemà
in ebraico שמע, Ascolta (a volte detto Shemà Israel, שמע ישראל) è una
preghiera della liturgia. È in genere considerata la preghiera più sentita,
forse assieme al Kaddish. La sua lettura (Qiriat Shema) avviene due
volte al giorno, nella preghiera mattutina ed in quella serale. L’orrore della Siria negli occhi di una bimba
è l’articolo uscito su “La
Repubblica” sabato 18 gennaio u.s. a firma di Adriano Sofri. Ne
riporto integralmente il testo:
“Considerate
se questa è una bambina... Era una bambina, si chiamava Israa al Masri. È stata
filmata, secondo quello che se ne sa, lo scorso sabato, pochi minuti prima di
morire di fame. La fotografia è stata
inoltrata, con il video da cui è tratta, all'Associated Press da Sami
Alhamzawi, un venticinquenne abitante del campo di Yarmuk, a sud di Damasco.
Quattro giorni fa era stata pubblicata dal Times of India e da altri siti, ieri l'Independent l'ha ripubblicata con un lungo servizio sulla morte per
inedia nella località siriana assediata. Yarmuk è da più di mezzo secolo un
insediamento di profughi palestinesi, e vi abitavano poco meno di 200 mila
persone. Allo scoppio della guerra civile, benché la maggioranza dei suoi
abitanti cercasse di tenere una neutralità, ci furono scontri armati fra
fazioni di fautori e di nemici di Assad, e le condizioni si fecero così dure
che, dopo tre anni, solo in 18 mila, i più poveri di risorse, soprattutto
vecchi donne e bambini, sono rimasti. A loro si sono aggiunti, in un numero
incalcolabile ma di decine di migliaia, siriani a loro volta fuggiti da città e
case distrutte e minacciate. Yarmuk è stretta in un assedio spietato dall'esercito
"lealista", che impedisce l'ingresso di aiuti umanitari, di cibo,
coperte, medicine, bombarda le case, tiene sotto il tiro dei cecchini le radure
in cui madri disperate si attentano a strappare erba, malva, foglie di ibisco!
Da novembre, dicono, sono morte di fame e disidratazione 50 persone. Donne sono
morte di parto, non c'è elettricità, l'ospedale non può lavorare. L'esercito di Assad
denuncia la presenza nel campo di milizie ribelli e islamiste, e i negoziati
per il cessate il fuoco o per aprire un corridoio umanitario vedono
paradossalmente contrapposti i dirigenti di Hamas a quelli di Hezbollah e
iraniani. Gli abitanti hanno mangiato gli animali domestici, hanno bruciato gli
infissi per scaldarsi, si sono rassegnati, si dice, a sacrifici più terribili e
indicibili, perché qualcuno sopravvivesse. Del resto non ci sono testimoni
esterni in un luogo destinato deliberatamente allo sterminio e precluso anche ai
convogli sanitari impegnati a portare il vaccino contro la polio, ritornata in
Siria, com'è appena successo. Ho letto che a Yarmuk ci sono insegnanti che
insistono a fare scuola a bambini, smunti e sfiniti gli uni e gli altri. Yarmuk è una
voragine, ma anche nel resto della Siria, dove il conto delle vittime è salito
di altre migliaia dopo la crisi delle armi chimiche, si muore oltre che di
bombe e proiettili, di fame freddo e malattie curabili che diventano fatali, e
gelo e fame sono sfruttate deliberatamente come armi di una guerra che non
vuole tregua. A metà dicembre, il medio oriente è stato colpito da una tormenta
di neve eccezionale, che ha infierito su un popolo di sfollati ed esausti.
Bambini e vecchi sono morti di freddo perfino nei campi dei rifugiati fuori dal
paese, in Giordania, in Libano, in Egitto. La Siria, alla vigilia di una trattativa patrocinata
internazionalmente, il 22 gennaio a Montreux, sul lago di Ginevra, è più che
mai in preda a una guerra a oltranza di tutti contro tutti che travolge la
popolazione civile. Nell'ultimo periodo, in coincidenza con una recrudescenza
del terrore in Iraq, dove lo scontro ingovernato fra sciiti e sunniti si è
tramutato, nel centro del paese, in quello fra governo e qaedismo, è divampata
in Siria la guerra fra i ribelli islamo-nazionali e le armate del jihadismo
internazionale, soprattutto dell'ISIL, lo Stato Islamico dell'Iraq e del
Levante. La moltiplicazione dei contendenti e il richiamo che la Siria dilaniata esercita su
bande e uomini dell'universo islamista, oltre agli interessi di innumerevoli
potenze di ogni rango che vi giocano e vi vengono giocate, hanno messo al bando
la pietà. L'Unicef stima che siano più di 5 milioni e mezzo i bambini bisognosi
di aiuto. A dicembre, Amnesty International ha reso noto che "gli stati
europei hanno dato la disponibilità per accogliere solo lo 0,5 % dei profughi
(12.000 persone rispetto ai 2.300.000 che hanno lasciato il paese)". Poi
ha aggiunto che "dovrebbero abbassare la testa per la vergogna".
Tutte queste parole, e le altre che occorrerebbe dire
e accompagnare con le mappe, le cifre, il dizionario dei barili esplosivi e il
registro delle decapitazioni di musulmani di un'altra affiliazione e di
cristiani cui viene conficcato il crocifisso sul cadavere - sono necessarie e
insieme superflue, non appena torniamo a guardare la fotografia. Lì si dice
tutto questo, e qualcosa d'altro, che non si può dire. Ci sono alcuni di noi
che, quasi per professione, o per averlo fatto altre volte, o per chissà quale
altra combinazione, si trovano a commentare immagini come questa, e a
interrogarsi sulla sincerità propria e di chiunque guardi con loro. Se la si
fosse studiata, questa rappresentazione dell'infanzia tradita e violata, non
avrebbe saputo essere più eloquente. Uso a posta questo termine, eloquenza, che
è una perversione del dolore, della commozione e della rivolta. Gli occhi della
bambina, la bocca riarsa e la lingua gonfia, il doppio cerchio del copricapo e
della maglia che la avvolgono preparandosi a restarne vuoti: è un manifesto
formidabile. Lo stiamo guardando così? E non è vero che i manifesti formidabili
del male, del dolore e dell'ingiustizia sono ormai destinati a restare tali,
per noi spettatori, a inumidire forse i nostri occhi, ma a tenere ferme le
nostre mani? E la bambina Israa, per giunta, non ci sta chiedendo aiuto, non ci
sta chiedendo niente. E poi è morta. Guardiamo lei, non la prossima. Lei, anche
in questa foto, anche quando è ancora viva, dagli occhi spalancati e le ciglia
diventate troppo lunghe, come se non fossero state avvertite della fine, non
guarda noi. E caso mai ci guarda da molto lontano, sapendo una cosa che noi non
sappiamo del tutto, e che comunque non ci sembra tutto. Ci sembra
un'esagerazione, se davvero si pretenda che ne diamo un giudizio. Quella cosa è
che il mondo ha raccolto tutte le sue forze, il suo passato e il suo presente,
per raggiungere e colpire la piccola Israa al Masri, nel campo di Yarmuk, il 14
gennaio del 2014. Questa esagerazione è la verità, se solo per un momento sappiamo
toglierci dal cospetto della fotografia e scivolarle dietro, e guardare anche
noi da lì. Poi torniamo al nostro divano e ai nostri affari: era
un'esagerazione.” (Adriano Sofri)
Ho
scelto di riportare integralmente il testo dell’articolo di Sofri semplicemente
perché, essendo attuale, può essere sfuggito all’attenzione mentre, per Primo
Levi, ogni aggiunta sarebbe ridondante, non necessaria, oserei dire eccessiva. Il
nostro blog dedica questo mese di gennaio al ricordo della Shoah. Personalmente
in poesia quest’anno ho scelto di
focalizzare l’attenzione sullo sterminio dei bambini nei campi di
concentramento. Una speranza nel mio cuore: il
27 gennaio si celebra il giorno della memoria, che in futuro
il 14 gennaio 2014 non diventi un altro giorno della memoria, la memoria
dell’infanzia tradita, violata, sterminata. CHIARA PASSARELLA
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