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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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284. NON C'E' PIU' RELIGIONE da un'Americana a Venezia
Tanti anni fa, quando ero appena arrivata in Italia,
molte persone mi dicevano, divertiti, "Hai trovato l'America!" Non avevo mai capito a che cosa si riferissero,
se non all'economia veneta, allora prosperosa, e all'inaugurazione del nuovo
vicino ipermercato. Nel primo anno della
sua esistenza, quel negozio veniva affollato ogni sabato da intere famiglie che
credevano, forse, di essere arrivate in America. Era l'epoca del menefreghismo, delle T-shirt
da signora con gli spalloni, e degli anziani che andavano in giro ripetendo ad
ogni opportunità, "Non c'è più religione." Per quanto mi riguardava, quell'Italia assomigliava
molto poco al mio Paese per diversi motivi.
Solo ora, quasi trenta anni più tardi, temo che una certa somiglianza si
cominci a vedere fra l'Italia e l'America.
Ho osservato, anno dopo anno, la trasformazione della cultura italiana
da realtà unica e irrepetibile verso quella che mi sembra una poverissima imitazione
di tendenze "americane." Ho
notato la costante perdita di quell'unicità italiana, specialmente fra i
giovani. Parlo dei bambini e degli
adolescenti che non sono più interessati o capaci di sostenere conversazioni
intelligenti con gli adulti. Poi, c'è in
atto un abbassamento spaventoso degli standard scolastici, una volta molto più
alti di quelli americani. Si va perdendo
la cultura italiana anche in altri modi, meno misurabili: lo scambio dello sguardo fra le persone che si
incrociano per strada, il linguaggio non-verbale, i canti che una volta uscivano
dalle finestre, la dieta rigorosamente mediterranea. Quando sono arrivata, Mediaset non aveva ancora
cominciato a guastare l'etere con pessimi programmi importati dall'America. Era ancora l'Italia degli applausi veri, prima
della risata registrata e superimposta in stile americano. Era l'Italia dei professori della RAI, e l'Italia
dello stato sociale, cosa sconosciuta in America dove i cittadini si arrangiano
da sempre. Era l'Italia dove una persona
camminava da sola ad ogni ora, persino intorno alla stazione, senza
temere. Era l'Italia delle città
monumentali non ancora sfregiate dai graffiti, dove i figli non osavano di aggredire
i loro genitori o pronunciare parolacce davanti ai grandi. Era l'Italia dove i giovani sapevano
distinguere bene fra il tu e il lei. Era
l'Italia della famiglia ancora unita, nel bene e nel male. Era l'Italia dove il miglior psicologo era un
amico o un parente. Era un Paese dove la
gente, una volta sempre discreta, non oserebbe mai di andare in TV e vomitare
tutti i segreti personali davanti a sconosciuti, come fanno gli americani. Ahimè!
Purtroppo, cari lettori, devo constatare che una nuova generazione deve
crescere sulle rovine di quell'Italia che è già stata omogeneizzata e quasi
ingoiata, e che fra poco deve andare alle urne per decidere ancora una volta il
suo immediato futuro. Le tasse rimarranno
opprimenti, lo stato sociale vacillante, e il futuro economico grigio scuro. Eppure, la vita deve procedere. Si deve tirare avanti. Magari, qualcuno è ancora in grado di ridere
per non piangere. Cosa possono salvare gli
italiani a questo punto? Direi che
sarebbe ora di fermarsi nella marcia verso l'ignoto e andare indietro di circa
venti anni, anche se solo nella memoria, anche se solo per meditare meglio sul
futuro. E lì, circa venti anni fa, che
"il genocidio culturale" dell'Italia, termine giustamente usato da
Pierpaolo Pasolini, ha raggiunto una certa velocità, come su una montagna russa
in discesa, prima con l'avvento dei templi del consumismo in periferia e l'uso
esasperato della macchina, e poi con i modelli stranieri poco adatti ai giovani,
per non parlare della costante introduzione del junk food. Sarebbe
semplicistico dire che tutto è cominciato con i vestiti firmati per i piccoli
al posto del grembiule tradizionale, per finire poi piano piano con la perdita
di valori vitali, come il rispetto, l'orgoglio, e del Made in Italy. Infine, c'è la fede, qualsiasi fede, una
volta la cosa più naturale, espressione della maggioranza senza apologia. Forse i nonni avevano ogni ragione quando ci
ammonivano a metà degli anni '80, più o meno intuendo la nuova e più fatale lacuna,
"Non c'è più religione." UN'AMERICANA A VENEZIA
20/2/2013
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