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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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598. POESIE LUCANE DI ROCCO SCOTELLARO di Chiara Passarella
POESIE
LUCANE di Rocco Scotellaro
Fra me e te
voglio piantare un frutteto.
Con le tue braccia intreccerò una vite
e quando la pioggia verrà
non ti lascerò sola.
Appena il sole sarà alto
ti canterò nelle vene.
Ogni sera verrò a bere
ai tuoi grappoli,
poi l’ alba verrà
Rocco
Scotellaro da “Poesie Lucane”
Forse è arrivato il tempo di scarcerare
Rocco Scotellaro. Il poeta, lo scrittore, il politico, il contadino. La figura
di Rocco è stata per troppo tempo imprigionata dalla sua stessa grandezza e appartenenza.
Il regionalismo in cui è stato relegato per troppi anni, ha impedito sia in
passato che oggi di scavare realmente appieno la figura di un uomo e di un
letterato di dimensioni gigantesche.
Sono state scritte centinaia di pagine sul poeta "della libertà
contadina", come lo descrisse Carlo Levi, ma, come spesso accade, poco lo si è letto, colpa anche di miopi
editori che non hanno mai pensato ad un piano editoriale vero sulle opere che
abbracciano il romanzo, la poesia, l'inchiesta e le epistole. Come disse Moravia di Pasolini, i poeti
dovrebbero essere protetti, perché ne nascono tre o quattro in un secolo, e
Scotellaro appartiene a questi tre o quattro del secolo scorso. Cito Pasolini
non a caso, ma per una linea che li unisce, una strada poco battuta dai
critici. Scotellaro ancor prima di Pasolini, se non altro per ragioni
anagrafiche, si occupò dei problemi del sottoproletariato, nel suo caso quello
dei contadini nelle campagne di un Mezzogiorno dimenticato e periferico della
Basilicata dei primi anni del Novecento. Operazione che Pasolini sposterà
meritoriamente nelle borgate anch'esse dimenticate e periferiche delle città
che raccoglievano quegli stessi contadini in fuga come veri e propri profughi.
Poi li accomuna la passione politica attraverso la quale intervenire per
alleggerire le pene materiali di uomini e donne ultimi tra gli ultimi. Non è un
caso che Pasolini sceglierà Matera per dare una casa ai suoi film. Scotellaro nasce nel cuore della Basilicata a
Tricarico, nel 1923 e muore a Portici nel 1953. Campa trent'anni esatti. Nasce
da padre ciabattino e madre scrivana e casalinga. Dalla madre prende l'amore
per le lettere, dal padre quello per il lavoro. Studia per poco tempo a
Tricarico, poi il padre intuendo le sue capacità, e speranzoso in un riscatto
sociale tramite lo studio lo manda a malincuore suo, e soprattutto di Rocco, a Sicignano degli Alburni, dai preti come si usava allora,
unica strada per chi avesse in animo lo studio. Continuerà poi a Cava dei
Tirreni, Trento, Roma. Con passaggi a Tivoli, Matera e Potenza. Alla morte del
padre decide di tornare nella sua terra, e qui comincia il suo lavoro politico
e sociale. La condizione dei contadini è di miseria pura. La paga quando c'era
lavoro era di circa 5 lire al giorno e un chilo di pane costava 1 lira e mezza.
Rocco organizza le prime occupazioni delle terre. Organizzare. Questa parola è
una delle più importanti per Scotellaro in quel periodo. Si rende conto che la
necessità di organizzare i contadini, il popolo, è la priorità assoluta per
poter esigere e contemplare una speranza di realizzazione delle richieste di
dignità, lavoro e giustizia, ormai così urgenti da non poter essere
procrastinate nemmeno di pochi giorni. I contadini lo ascoltano, sentono che le
loro necessità sono nelle mani di questo minuto e colto ragazzo con la faccia
da bambino e i capelli rossi. Si rendono conto che Scotellaro sta dando voce ad
un popolo sinora muto. Si rendono conto che la cultura è azione, realtà, vita.
La poesia come viatico per una vita migliore e non solo dal punto di vista
intellettivo ed intellettuale. Ma nella concretezza che le parole sanno
esprimere e sanno chiedere. Il racconto, la poesia come arte e pane. Poi accade
che la guerra finisce, nel 1946 ci sono le prime elezioni libere, Rocco
Scotellaro diventa il più giovane sindaco d'Italia a soli 23 anni. Bisogna
costruire un ospedale, i nosocomi più vicini sono troppo lontani, la gente ha
bisogno di curarsi, non morire per malattie banali. Rocco non ha nessuna
aspettativa da uno stato centralista e scarsamente interessato a regioni che
contano pochi voti. Si inventa la "questua" laica. Raccoglie i soldi
dalla gente, ognuno secondo la propria possibilità. Si fa dare un ala del
palazzo vescovile e il primo ospedale civile costruito e mantenuto dal popolo
nasce nel 1947. Si batte per la riforma agraria che arriverà nel 1950, ma
snaturata delle richieste reali di cui necessitano i braccianti. Nel frattempo
la sua produzione letteraria continua e gli apprezzamenti arrivano da tutta
Italia, specie da colleghi e critici che scoprono un vero talento. Montale,
Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Amelia Rosselli ed altri ne tesseranno le lodi.
Scotellaro a questo punto ha un'altra intuizione, far conoscere i problemi
sociali del Mezzogiorno coinvolgendo non solo intellettualmente ma anche
fisicamente queste illustri figure, in rispetto al concetto di parola e
concretezza, da lui praticato. Si recano in Basilicata Henri Cartier Bresson,
che fotograferà le condizioni reali della gente, Adriano Olivetti che si
impegnerà nel risanamento di Matera città vergogna d'Italia, Manlio
Rossi-Doria, e lo stesso Carlo Levi, di ritorno dopo il confino iniziato a
Grassano, il paese confinante con Tricarico che darà, piccola nota di colore, i
natali alla madre del futuro sindaco di New York, Bill De Blasio. Il fermento che nasce in
questo periodo porterà poi dibattiti e azioni concrete, sulla "questione
meridionale" che diventerà tema centrale della politica e del mondo della
cultura. Nella vita di Rocco Scotellaro, non mancano i guai. Conoscerà anche il
carcere. Questo episodio va introdotto con una nota di carattere storico. Il
fatto che un giovane socialista, per giunta poeta e onesto, fosse diventato
sindaco, non era cosa gradita a quella classe politica che sostanzialmente era
rimasta immutata dal fascismo con delle minime operazioni di spolvero
superficiale. I nuovi "mazzieri", si prodigarono con l'altra arma,
oltre alla violenza, che conoscevano; la calunnia. Scotellaro fu accusato di
peculato. Quella del carcere fu una dura esperienza da cui uscirà devastato.
Rimase nella cella 7 del carcere di Matera per 45 giorni. Giorni in cui leggeva
ai suoi compagni di reclusione il Cristo si è fermato ad Eboli di Levi e la
Divina Commedia di Dante. Una volta che la corte d'Appello di Potenza decretò
il non luogo a procedere per inesistenza del fatto, Scotellarò uscì e decise di
dimettersi, deluso dalla politica, ma non esausto del suo ruolo realizzò che
avrebbe potuto continuare a lottare tramite la letteratura, la poesia e l'inchiesta.
Questo è il periodo più fecondo e di maggiore attività. Viaggia molto e scrive
molto, fino alla morte che avverrà nel 1953, per l'occlusione di una vena
generata da altra malattia non adeguatamente curata. Stava scrivendo L'uva
puttanella, quando muore, infatti il romanzo se pure di senso compiuto e maturo
rimarrà incompleto. In esso si realizza la materia letteraria dello Scotellaro
narratore. I volti dei suoi contadini diventano vividi talmente toccanti da
apparire magici, con rughe vere e capelli bianchi che cadono sulla terra rossa
e danno un contrasto materico e graffiante, come un filo d'erba che ti taglia
le dita quando lo strappi male. L'uva puttanella diventa iconografia del
sottoproletariato, i piccoli uomini come piccoli acini, di dimensioni ridotte
ma mature, che confluiranno nel mosto insieme a tutti gli altri. Con le parole
dell'autore: "L'ordine che non c'è non lo troverete come appunto è nel
grappolo d'uva che gli acini sono di diversa grandezza anche a voler usare la
più accurata sgramolatura. Questi sono acini piccoli, apireni, se pur maturi,
che andranno ugualmente nella tina del mosto il giorno della vendemmia. Così il
mio piccolo paese fa parte dell'Italia. Io e il mio piccolo paese meridionale
siamo l'uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco di succo
che abbiamo." Lui stesso sembrava presagire che non avrebbe finito il
romanzo, lo definirà "...il romanzo che non finirò" in una lettera
all'amico Alberto Carocci, lettera del 14 Dicembre 1953, il giorno prima di morire.
Montale lo accostò a Chagall, Luchino Visconti suo grande estimatore diede il
suo nome al protagonista del film Rocco e suoi fratelli. Dunque rivalutare la
figura di Rocco Scotellaro, anzi no! Non bisogna rivalutare Scotellaro, bisogna
solo dare a tutti la possibilità di leggerlo, non c'è bisogno di rivalutarlo,
basterebbe diffonderlo, parlarne, recitarlo e più di ogni altra cosa
ripubblicare le sue opere.Anche perché come avrebbe detto Rocco stesso:
"Nessuno può rivivere con la sua scrittura. Tutti restano nella nicchia
d'aria che muovono." Un’altra
poesia:
Sempre nuova è l'alba
Non gridatemi più dentro
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l'oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra ...
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova.
CHIARA PASSARELLA
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