Amore dopo amore
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,
e dirà: Siedi qui. Mangia.
amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via allo specchio la tua immagine.
Siediti. E' festa: la tua vita è in tavola
da
Mappa del Nuovo Mondo
Derek
Walcott è un poeta e scrittore santaluciano, insignito nel 1992 del premio
Nobel per la letteratura, noto principalmente per le sue opere
poetiche e teatrali in lingua inglese. Una vocazione, quella per la poesia, che
in Walcott arriva già in tenera età, anche grazie alla madre insegnante, e si
sviluppa in un contesto geo-politico particolare; il poeta nasce nel 1930 a
Castries, capitale di Saint Lucia, nelle Antille Minori, una piccola isola
vulcanica, ex-colonia britannica, dove si mescolano culture e lingue
differenti. “Noi poeti iniziamo nella giovinezza con la gioia, e finiamo la
nostra attività nella tristezza e nella pazzia”. Walcott per spiegare la sua
poetica cita William Blake, l’artista inglese che nelle sue poesie esaltava
l’emozione della “gioia dei bambini”, lo stato d’innocenza in cui tutto è più
chiaro, vicino al divino. “I poeti cercano nelle loro poesie di arrivare
all’Innocenza Essenziale, una felicità non personale e non legata alla vita
terrena. Ogni bambino è un poeta, ma molti di loro crescendo perdono la propria
innocenza a causa di cattivi insegnanti”. In “Amore dopo amore”, il poeta parla della solitudine dell’uomo che, alla
ricerca di sperimentazioni e novità, si distacca da tutto ciò che riguarda la
propria persona. Walcott auspica che la coscienza di ognuno arrivi a
comprendere la necessità di una nuova fase, quella in cui si recupera se
stessi. “Tempo verrà in cui, con esultanza, saluterai te stesso arrivato alla
tua porta, nel tuo proprio specchio, e ognun sorriderà al benvenuto dell’altro
e dirà: Siedi qui. Mangia […] Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola”.
"Dopo violenta pioggia le grondaie sgranano
il loro rosario
quegli alberi esalano il tuo dubbio come ceri
ammantati,
goccia su goccia, come il pallottoliere
di un bambino
grani di sudore freddo sfilano da cavi
ad alta tensione (...)"
Gli eventi
naturali ritornano spesso all’interno delle poesie di Walcott. “I primi poeti
lodavano la potenza degli eventi naturali. Attraverso la poesia gli artisti
vogliono riprodurre la loro forza”. Eventi naturali come gli uragani, definiti
dallo stesso autore devastanti, emanazione della potenza di Dio in Terra, ai
quali Walcott ha dedicato una poesia, intitolata appunto Hurucane. Dai versi
emerge come essi siano in grado sia di distruggere, sia di ritracciare e
conservare quel passato così importante, rappresentato dalla lingua, che può
tramandare la memoria di una civiltà intera. “La morte non ha dominio sulle
nostre vite, non ha potere sulla memoria di chi muore, che sopravvive grazie al
ricordo degli altri”. Uragano definito nei versi della poesia “flagello,
ammonitore, antenato, e, quando il giorno entra in scena, pallido come un
agente di assicurazioni”. Una poesia, quella di Walcott, detta “meticcia”
perché l’appartenenza a un luogo preciso non le ha precluso la vastità del
mondo e l’incombere del Progresso. Il progresso è lo sporco scherzo della
storia”, scrive il poeta, ma rispondendo a una domanda di Davide Rondoni,
aggiunge: “Il progresso non è una minaccia per la poesia. Anzi, la rende più
intensa. La poesia non è influenzata dalla macchina”. E continua: “L’artista
dell’età della pietra è come quello di oggi: entrambi affrontano il problema
della rappresentazione. L’arte non è misurabile con il tempo, non ha una
cronologia. L’unico tempo dell’arte è il presente, non il passato”. Ma dare una
definizione ridurrebbe la grandezza dell’opera di Walcott: “A lui non si adatta
nessuno degli «ismi» disponibili (…). Non appartiene a nessuna scuola”,
scriveva Josif Brodskij nel 1983. La poesia di Walcott con “il linguaggio
elementare del vento” riesce a essere pura, innocente, “immune dalla
disperazione”. L’essere poeta, per
Walcott, sta nella conservazione
e salvaguardia dell’innocenza, quell’ Innocence che William Blake
contrapponeva all’Experience. E nella ricerca della joy, che
non ha nulla a che vedere con l’happiness o con il laughter: è
uno “stato” o un “luogo” che non dipende da fattori esterni, che non necessita
di nessuno, che non riguarda la felicità personale. Quel “paese” che a noi
ricorda la ricerca di Giuseppe Ungaretti e che San Francesco d’Assisi definiva
“perfetta letizia” Walcott ci dice anche che oggi le nuove generazioni leggono
pochi libri, ma leggono molto su internet e scrivono tanto, basti pensare a
quanti sms vengono inviati al giorno e a quanti testi vengono postati sui
social network. La nostra è un’epoca della parola, ma povera. Nonostante oggi
si legga poco, la lingua non muore, ma continua a crescere e ad evolversi anche
grazie alla poesia”. Ed infine:
Il negro rosso che ama il
mare
Io sono solamente un negro rosso che ama il mare,
ho avuto una buona istruzione coloniale,
ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese,
sono nessuno, o sono una nazione.
I’m just a red nigger who love
the sea,
I had a sound colonial education,
I have Dutch, nigger, and English in me,
and either I’m nobody, or I’m a nation
CHIARA
PASSARELLA
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