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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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546. UMBRIA IN MUSICA - LARIS E DARKETYPE di Roberto Sky Latini
“UMBRIA
IN MUSICA”- Introduzione alle due recensioni
di
Sky RobertAce Latini
Non si è più a
casi isolati, il panorama umbro della musica d’autore è piuttosto ricco e
vario. Ma la nostra terra sforna musicisti che poi non si spostano, rimangono
qui a macerare. Per parlare di varietà, qui recensisco due album attuali, anno
2016, che sono vari per genere suonato, ma anche diversi per sede geografica.
UADG (Ultimi Abitanti di Giove) per il Jazz da Perugia e Subliminal Crusher per
il Metal da Terni. A parte la battuta che mi viene sugli UADG, visto che Giove
è un comune in provincia di Terni, molto a sud dell’Umbria. In entrambi i casi
la musica dei due gruppi appare del tutto ricca di ispirazione e il livello
della qualità è soddisfacente , se non ottima. Il nord della regione non è però
assente per ciò che concerne il Metal (per esempio i virtuosi Hellraiser) né lo
è il sud per il Jazz (dove i Nergrjbia lo ibridano col Rock). Purtroppo ogni
velleità artistica muore senza vedere uno sviluppo commerciale o assaporare una
minima fama realmente riconosciuta; se è colpa del provincialismo umbro o degli
sclerotizzati meccanismi italiani di promozione, è difficile dire. Di certo da
noi non si può rimanere per fare successo. Nonostante tutto c’è come gli UADG
stanno al terzo lavoro (fra poco il quarto) e come i Subliminal Cruscher al
quinto (compreso il demo). Una costanza che temo non verrà mai premiata. Io
continuo a recensire l’ambiente coi loro prodotti; sembra che non serva, ma non
mi arrendo, e neanche loro a quanto pare. Ad ogni modo in alcune riviste
cartacee e on-line, essi sono recensiti anche a livello nazionale. Ce li
gustiamo in pochi.
***
“LARIS”
(2016) album degli UADG (Ultimi Abitanti Di Giove)
Autoproduzione
Arriva
quest’anno 2016 il terzo album degli Ultimi Abitanti di Giove, ma che in realtà
sono abitanti di Perugia, Umbria quindi. E’ un lavoro che si trova solo in rete
al momento. Il genere è fondamentalmente Jazz, con incursioni molto contenute
in altre sonorità. C’è la tecnica e anche l’ispirazione, prediligendo
l’ammiccamento placido a quello della tensione tonica. Ma non è musica
sonnolenta, dato che si mantiene sempre abbastanza frizzante. Non c’è invece
una vera e propria sperimentazione, quanto invece un percettibile tasso di
improvvisazione. I brani migliori sanno dare ampio spazio alle atmosfere, come
avviene in “ASIA” che come classicamente fa il jazz più improvvisato si appoggia
su una ripetizione circolare, ma in realtà è anche uno degli episodi che dà
spazio ad altri generi, qui rappresentato dal rock anche se solo intravisto, a
cui si aggiungono però fiati malinconici. In “ILYS” gli strumenti a fiato sono
più interessanti, e il rock è maggiormente in evidenzia, sebbene mutuato dalla
modalità fortemente blues, posto nella parte terminale; qui la batteria aumenta
la potenza del sound, ed anche per questo la traccia esce dalla linea
stilistica del disco. Altra perla è “CLOWN” (video:https://www.youtube.com/watch?v=3JOpXW7OEEk
), il cui equilibrio tra acidità e morbidezza appare raffinatamente piacevole;
sono i fiati ad accendere la scintilla sull’atmosfera soft data dal violoncello
aristocratico, mentre il basso punteggia tutto con la sua presenza forte e
netta e il drumming si esprime con la massima autonomia in un solismo costruito
per reggersi da solo senza velleità da freddo virtuosismo, più per essere che
per apparire, in un finale lungo ben due minuti. La qualità è alta anche in
“THA AHT”, che forse è la meno jazz del full-lenght; la song propende
verso il prog, evidenziando più che in
altre tracce il lato sperimentale del gruppo che si racconta tale. Avviene in maniera
naturale grazie soprattutto alla chitarra liquida ed al basso dinamico,
offrendo senza forzature un bel paesaggio sonoro. Ogni brano ha le sue peculiarità. “Pitch” apre
l’album con classica verve jazz, impostando subito l’ascolto sulla tranquilla sofficità.
“Joe” invece pizzica sul basso dialogando con una chitarra altrettanto
frizzantina, in un ritmo dallo spirito sbarazzino. L’aria leggermente funky, ma
per niente volitiva, arriva con “Palazzo di cristallo”. Meno luminoso “Under”
che è l’ultimo episodio, e che trascina l’ascoltatore verso sensazioni
rarefatte e inafferrabili, portandolo come su un altro pianeta, scegliendo per
il fruitore un taglio scuro da lasciargli come sensazione. Brani filler? Solo
“Mobile” che non lascia tracce emozionali. Non si è di fronte alla rivoluzione,
ma comunque ad un taglio moderno. Non è un jazz d’attacco, ma riflessivo, dal
piglio maturo, non adolescenziale; quando movimentato non impetuoso. Fluisce in
modo naturale, la loro leggerezza non è sinonimo di vacuità. Rimanendo
prettamente jazz gli accostamenti di altra natura non mutano l’impostazione; l’elettronica
c’è ma molto sfumata. Un album strumentale che appaga in modo pieno. Il loro
approccio piuttosto tecnico si lega ad una varietà di soluzioni piuttosto ispirate,
cercando di non chiudersi in espressioni precostituite. Manca il pezzo ad
effetto, ma probabilmente la loro idea artistica non prevede soluzioni
commerciali.
1.Pitch
2.Joe
3.Asia 4.Ilys 5.Mobile 6.Clown 7.Palazzo di Cristallo 8.Tha ahT 9.Under
Luca Burocchi - guitar / Giorgio
Panico – bass / Claudio Trinoli - drums
***
“DARKETYPE”
(2016), album dei Subliminal Crusher (Italia)
Etichetta:
Revalve Records
Terni (Umbria) come
al solito sforna metallo estremo. Sono ben quattro album dal 2005 (e prima un
demo) e non muta molto il loro stile, ma nemmeno appare una mera riproposizione
del loro passato. Si sente che cambiare 3/5 della formazione abbia influito sul
suono che incombe più duro e massiccio rispetto a tre anni fa. La forza
espressa si lega ad un bel girotondo di riff, sempre ricercati e scorrevoli,
sia che i pezzi siano elaborati sia che decidano per una più diretta
impostazione. I tre migliori episodi vivono di tre differenti anime, per quanto
la cifra stilistica non sia mai eccessivamente lontana fra le song. “AND THEN THE
DARKNESS CAME” è una cavalcata meno estrema e presuppone una ispirazione del
più classico Heavy Metal, pur sempre imparentandosi col Thrash; e la linea
vocale colpisce nel segno con una espressività di livello. C’è poi un lato
epico ben esplicato con “ETERNAL AND
HOLLOW”, intrigante e pesante. Violentemente arriva il quasi punkcore di
“CONDEMNED TO EXILE”, che si scatena come una scheggia di maggior semplicità
senza perdere un briciolo in efficacia (il contrapposto doom finale lo avrei
sviluppato di più). Questi tre momenti testimoniano come il gruppo sappia
destreggiarsi al meglio in diverse proposizioni di sé. La forma quindi non è monolitica pur rimanendo
in un alveo riconoscibile. Il ritmo è comunque ciò che contraddistingue la
personalità di questa realtà musicale, con riff che ruotano e si dipanano in un
contesto ben delineato, mai scardinando la struttura, ma sempre con dinamica
disinvoltura. Semplicità solo apparente; la semplicità sta nel fatto di non
voler essere elucubrati, però i riff e i giri di chitarra sono in continuo
mutamento. La cosa è chiara in “The Jester who rules the World” e nella più
omicida “Vermin’s Choir”, dove l’attacco è in entrambi i casi letale senza
tanti fronzoli ma nemmeno con una sterile proposizione dello stesso riff dall’inizio
della traccia alla fine. Il perfetto bilanciamento tra Thrash e Death non evita che ci sia anche una
spruzzata oscura di Black Metal quando arriva la malefica “No Future for your
Head”. Ma in tutte le canzoni, per quanto si possa affondare nella più nera
atmosfera o nella più acerrima violenza, un po’ di luce filtra sempre
attraverso un assolo o un passaggio sonoro; sono attimi più o meno brevi ma
evidenti. In Obscure Path”, per esempio, dove il ritmo è ossessivo, la chitarra
offre una certa chiara morbidezza. La vocalità è un altro elemento piuttosto
elaborato. Il Growl, a volte si interseca con lo screaming in un ludico
alternarsi, dove alcune sovraincisioni variano la grumosa presenza delle ugole.
Particolarmente efficace il doppio suono gutturale nella già citata “The Jester who rules the
World”, ma ancora più singolare la triplice ugola di “Archetype” dove una
sinistra voce a volume più basso ma nettamente presente, a volte tremolante, si
combina con le altre voci realizzando un effetto molto inquietante. Tutto è
fortemente intrigante, anche “Violence”, che nel suo essere standard riesce
comunque ad iniziare l’album con la giusta verve da attacco feroce. Un
riempitivo trova comunque posto nel full-lenght: trattasi dell’unico pezzo che
prova il goticismo, cioè “Ashes of Mankind” di cui è buono lo spunto ma povero
lo sviluppo. La chitarra ritmica macina continuamente riff, ma anche quella
solista ha le sue belle parti, pur senza strafare. Solismi che brillano spesso al
modo di Mustaine dei Megadeth. Il sound è aggressivo, a volte arriva fino alla
brutalità senza però esserlo sempre, quindi senza affogare le variabili
compositive in gioco. Le song possiedono un carattere robusto ma mai del tutto
opprimente; e il songwriting, pur articolato, non è
intricato, anzi piuttosto facilmente fruibile. La band merita ben altri
contesti che quello locale, avendo dimostrato di saper vivere in maniera matura
il genere mai abbandonato eppure sempre prodotto in modo da tener lontano le
ripetizioni. Qualitativamente sono degni del panorama internazionale. L’unica
cosa che mi ha deluso è la realizzazione grafica della copertina: un
contenitore inadatto al contenuto.
1. Violence 2. Archetype
3. And Then the Darkness came 4. Ashes
of mankind 5. Condemned to exile 6. The
Jester who rules the World 7. Eternal and Hollow 8. Vermin’s
Choir 9.
No Future for your Head 10. Obscure Path
Emiliano
– vocals / Lorenzo – guitar / Marco
– guitar / Jerico – bass
/ Marco - Guitar
ROBERTO SKY LATINI
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