Noi di Anne
Sexton
Noi
Ero avvolta nella pelliccia
nera, nella pelliccia bianca
e tu mi svolgevi
e in una luce d’oro
poi m’incoronasti,
mentre fuori dardi di neve
diagonali battevano alla porta.
Mentre venti centimetri di neve
cadevano come stelle
in frammenti di calcio,
noi stavamo nel nostro corpo
(stanza che ci seppellirà)
e tu stavi nel mio corpo
(stanza che ci sopravviverà)
e all’inizio ti asciugai
i piedi con una pezza
perché ero la tua schiava
e tu mi chiamavi principessa.
Principessa!
Oh, allora
mi alzai con la pelle d’oro,
e mi disfeci dei salmi
mi disfeci dei vestiti
e tu sciogliesti le briglie
sciogliesti le redini,
ed io i bottoni,
e disfeci le ossa, le confusioni,
le cartoline del New England,
le notti di Gennaio finite alle dieci,
e come spighe ci sollevammo,
per acri ed acri d’oro,
e poi mietemmo, mietemmo,
mietemmo.
Anne Sexton
(traduzione di Rosaria Lo Russo)
da “Poesie d’amore”
Us
I was
wrapped in black
fur and white fur and
you undid me and then
you placed me in gold light
and then you crowned me,
while snow fell outside
the door in diagonal darts.
While a ten-inch snow
came down like stars
in small calcium fragments,
we were in our own bodies
(that room that will bury us)
and you were in my body
(that room that will outlive us)
and at first I rubbed your
feet dry with a towel
becuase I was your slave
and then you called me princess.
Princess!
Oh
then
I stood up in my gold skin
and I beat down the psalms
and I beat down the clothes
and you undid the bridle
and you undid the reins
and I undid the buttons,
the bones, the confusions,
the New England postcards,
the January ten o’clock night,
and we rose up like wheat,
acre after acre of gold,
and we harvested,
we harvested.
Anne
Sexton da “Love Poems”,
Boston: Houghton Mifflin, 1969
Anne Sexton è sata una poetessa statunitense. Approdata
alla scrittura come forma di psicoterapia dopo lunghi periodi di degenza (in
concomitanza con la maternità era rimasta vittima di gravi squilibri), entrò in
contatto con W. D. Snodgrass e R. Lowell. Da queste esperienze nacque la
raccolta di versi To Bedlam and part way back (1960), cui seguì All
my pretty ones (1962). La sua poesia, di tipo “confessionale” come
quella dei suoi maestri e dell’amica S. Plath, è attraversata dal motivo
dell’assenza e da immagini ricorrenti di morte, non di rado filtrate da
un’ironia che ne stempera l’aggressività. Confermate le sue doti con Live or
die (1966), Love poems (1969) e Transformation (1971), negli
anni che precedono la morte per suicidio pubblicò altre raccolte di versi (The
book of folly, 1972; The death notebooks, 1974) che tuttavia
tradiscono un’involuzione del linguaggio. Al postumo, disperato The awful
rowing toward God (1975), si aggiunsero 45 Mercy Street (1976)
e Anne Sexton. A self portrait in letters (1977), entrambi a cura della
figlia Linda. In Italia una scelta delle sue poesie è apparsa in La
doppia immagine e altre poesie (1989). La poetessa e scrittrice Anne Sexton è morta suicida il 4 ottobre del 1974. La Sexton si
sposò giovanissima, probabilmente per fuggire da un contesto familiare violento
e da un percorso di studi ostico, a causa delle difficoltà di concentrazione e
dei suoi primi disturbi non diagnosticati. La poesia e la scrittura furono il suo rifugio dalla malattia e la
sua fama sconfinò presto oltreoceano. Forse alcune malattie sono
particolarmente rappresentative della condizione femminile, dell’impossibilità
di poter essere intera, una sola, senza per questo essere crocifissa dal
presunto amore delle famiglie, dalla moralità del contesto sociale in cui si
vive, dagli schemi ricorrenti in cui l’essere umano si muove per poter
mantenere l’illusoria certezza di un senso.Anne Sexton nei suoi versi parlò delle donne in modo esplicito, trattando
temi considerati imbarazzanti e moralmente inaccettabili come l’aborto, le
relazioni extra coniugali, l’autoerotismo. Oggi storciamo il naso sentendo
parlare di poesia confessionale eppure lei, come la Plath, ne furono un
emblema. Non erano però i loro versi dei diari in frasi spezzate, ma la
possibilità di eleggere il singolo essere umano narrante a soggetto/oggetto
poetico e di esplorazione. La vita di una donna, le sue passioni, le sue paure,
la malattia, gli istinti suicidi, avevano la stessa nobiltà di temi considerati
universali. Nel dolore di Anne Sexton come nel suo desiderio, nella sua
impossibilità di definire la morte che desiderava, ritroviamo anche il nostro
dolore e i nostri desideri. I grandi poeti sono uno specchio per ogni lettore,
ma le poetesse e le scrittrici hanno un bonus in più perché la loro voce diventa
quella di tutte le donne inascoltate e messe a tacere. Dei dolori che non hanno
patria e riconoscimento. Esistono scrittori senza biografia o
con biografia leggendaria e scrittori, come la Sexton, la cui vita diventa
parte integrante della loro opera letteraria. Tutti gli scrittori in quanto
tali hanno una figura pubblica che non coincide con la loro identità privata,
ma la Sexton fu più di altri un personaggio. La sua estrazione era quella di
una famiglia altoborghese del puritano New England, anche se di puritano il
padre e la madre ebbero poi molto poco: in realtà, l’una con la sua freddezza,
l’altro con la sua assenza e la sua violenza non seppero ricoprire in modo
adeguato i rispettivi ruoli nei confronti della figlia, la quale ne pagò a caro
prezzo le conseguenze. Studentessa mediocre, Anne fuggì dal college con Alfred
Sexton, che poi sposò e dal quale ebbe due figlie. Il punto di svolta nella
vita della Sexton fu il 1956, anno in cui, qualche mese dopo il secondo parto,
i suoi problemi psichici esplosero in un primo tentativo di suicidio. La
poetessa nacque per una geniale intuizione dello psicanalista alle cui cure fu
affidata, il dottor Martin Orne, il quale le suggerì la scrittura in versi come
terapia. Il successo, già notevole dopo la pubblicazione delle prime due
raccolte, raggiunse il vertice nel 1967 con l’assegnazione ad Anne Sexton del
Premio Pulitzer per Live or Die e da allora fu un crescendo di
riconoscimenti pubblici. Purtroppo il successo aveva solo messo tra parentesi i
gravi problemi psichici della poetessa, che continuarono a manifestarsi, pur se
in modo discontinuo, fino a prendere il sopravvento negli ultimi due anni della
sua vita, stroncata dal suicidio nel 1974. Sostanzialmente, il personaggio
Sexton rifraseggia la figura del poeta romantico “maledetto” in termini
femminili e americani in stile secondo-dopoguerra: così la sua biografia
trasmette da un lato il fascino dovuto all’estrosità del personaggio e alla
bellezza estetica dei suoi testi, dall’altro un certo sconforto prodotto dalla
catena di ricoveri in clinica psichiatrica, dalle sue isterie e dai suoi
comportamenti irresponsabili in famiglia e con gli amici, il tutto alla
squallida onnipresenza di alcolici, pillole e sigarette. La follia, nei suoi aspetti anche
ospedalieri, non è il solo argomento ampiamente presente nella poetessa
americana che fece scandalo all’epoca della sua uscita in volume. Alla Sexton
spetta infatti il merito storicamente dimostrabile di aver parlato per prima in
poesia di una serie di tematiche, legate in particolar modo alla corporeità,
che sono oggi materia corrente, se non spesso luoghi comuni, della poesia che
vuole caratterizzarsi come femminile, mentre negli anni Sessanta suscitarono un
certo clamore da parte di pubblico e critica benpensante. Questo aspetto della
ricezione della poesia sextoniana non va però estremizzato, poiché la Sexton
divenne rapidamente una figura popolare, per quanto può esserlo una poetessa, e
fu certamente più celebrata che osteggiata dalla metà degli anni Sessanta in
poi (l’esordio ricordiamolo avvenne nel 1960). Essenzialmente la sua
poesia si concentra da un lato sull’esistenziale, raffigurando i rapporti
interpersonali dentro e fuori la famiglia, dall’altro sul metafisico,
esaminando il rapporto con il divino in un’epoca di crisi della religiosità
tradizionale. Il punto di vista è sempre, con coerenza, individuale, sia che la
poetessa dica “io”, sia che si avvalga di una maschera tramite qualche
personaggio. La Sexton e altri poeti dell’epoca sono di solito chiamati confessional,
un termine usato da M.L. Rosenthal nel 1959 in una recensione su Lowell proprio
per la presenza di un “io” chiaramente riconducibile all’autore come persona
reale. Il termine si estese in seguito a indicare un modo poetico che illustra
con franchezza il vissuto anche negli aspetti più personali e intimi. Non si
deve però credere ingenuamente che la trattazione in prima persona di tali
argomenti implichi una verità biografica. La Sexton affermò in diverse
interviste di aver modificato nei suoi testi i fatti realmente accaduti per
renderli poeticamente più efficaci. L’ambito della sua scrittura è sempre, e
consapevolmente, il verosimile, non il vero come corrispondenza esatta con
l’accaduto, poiché, come lei stessa affermò, la verità poetica non è
necessariamente autobiografica. Nucleo della vicenda umana e artistica
della poetessa fu il rapporto con una madre che a suo parere non le diede
l’affetto necessario e le fu anzi “rivale” nell’adolescenza, e con un padre sul
quale si riversarono tutte le sue aspettative benché lui si dimostrasse
insofferente, sprezzante e violento nei suoi confronti. Un punto cruciale ma
irrisolvibile della questione è che non si sa se il suo attaccamento morboso
per il padre avesse un fondamento in fatti realmente accaduti; l’unico elemento
sicuro è che la Sexton, clinicamente isterica, esagerava volentieri, anche (e
forse specialmente) su argomenti così delicati, tanto che la sua amica più
stretta notò come Anne tendesse ad ingigantire sia le sue carenze affettive sia
quelle sessuali. La Sexton era una personalità, come si suol dire, non risolta,
infantilmente bisognosa di qualcuno a cui appoggiarsi incapace di sviluppare un
comportamento adulto e narcisisticamente desiderosa di rimanere
adolescente. Problematica e angosciosa appare nell’insieme anche la vita
matrimoniale. La Sexton, del resto, si descrisse come una vittima del sogno
americano, secondo il quale sposarsi, avere dei figli e fare la brava madre di
famiglia era la strada sicura per la felicità, mentre, come lei stessa scoprì,
quello fu l’inizio dei suoi problemi. La vita da donna di casa, quale la
poetessa americana fu, le era in ogni senso inadatta, e la raffigurò in toni
polemici in Casalinga, testo – uno dei pochi di impostazione
espressamente sociale - che per l’epoca conteneva una protesta innovativa,
mentre oggi il suo messaggio appare addirittura scontato; va inoltre aggiunto
che, se la Sexton fu da un lato vittima di una società che le impose un ruolo
tradizionale a lei non consono, dall’altro vittime sue furono il marito e le
figlie. Pur vantandosi di non aver incluso neanche una lirica d’amore
nella sua prima raccolta, Anne Sexton produsse il suo libro di maggior
successo, Love Poems (1969), sull’onda della relazione
vietatissima con il suo analista di quel periodo. Esaminando, infine, le
raccolte poetiche in ordine cronologico, si nota una crescita di interesse
verso i temi della religione e della metafisica; lo stimolo alla riflessione,
come raccontò la stessa poetessa, fu dovuto alla sua incertezza di fondo in
questo campo, incertezza che le si ripresentò con forza quando nell’educare le
figlie si rese conto di poter rispondere facilmente alle domande riguardo la
sessualità, mentre temi come la morte e Dio la misero in difficoltà. Il legame
che indicò tra la sua poesia confessional e quella religiosa è
la sofferenza e la vicenda di Cristo costituiva per lei il più grande atto di
confessione mai compiuto, anche se risulta difficile condensare in poche righe
l’idea sextoniana del divino e della fede, poiché tale idea non giunse mai a
una formulazione definitiva, ma fu in costante evoluzione. Per onestà
intellettuale concludo dicendo che quanto scritto finora
su Anne Sexton è stato da me estratto e riadattato da “Scavandosi l’anima
con il martello pneumatico”: sulla poesia di Anne Sexton di Edoardo
Zuccato in A. Sexton, L’estrosa abbondanza, Crocetti Editore,
Milano, 1997.]
Chiara Passarella
Nessun commento:
Posta un commento