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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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529. ATELIER DELLA PAROLA, DALLA SOLITUDINE AL LEGAME SOCIALE di Silvana Leali
Premessa
Trentotto anni di lavoro, presso un Servizio pubblico infantile, mi
hanno permesso di osservare come un intervento di diagnosi precoce modifichi la
domanda di accesso degli utenti ai servizi. La risposta dei servizi è il
risultato:
·
di un processo storico e culturale,
·
di una pluralità di soggetti,
·
di formazione di metodi,
·
di rete,
·
di comunità
che attualmente si rispecchia nel modello bio-psico-sociale.
I servizi offrono una molteplicità di tecniche riabilitative ma - tra le
teorie e il fare - gli eventi, nel lavoro istituzionale, funzionano
diversamente: tra l’asse centrale della cura, basata sul sapere scientifico, vi
è la pratica del terapista che deve
rispondere ai protocolli organizzativi, all’urgenza, all’emergenza, alla caduta
di ideali e alla propria soggettività. Un
mio desiderio: testimoniare una personale esperienza non come una esperta,
ma come una
interrogante o meglio una cantastorie
che ha raccolto - nella rete del linguaggio - i discorsi dei bambini.
L’orientamento scelto non è quello immediato della risposta, ma è l’intento
dell’operatrice di divenire una partner di ascolto: di un ascolto non
qualunque, di un ascolto particolare secondo l’orientamento della psicanalisi
di Freud e di Lacan. Un’esperienza nata per caso in un gruppo di bambini e
preadolescenti; luogo nel quale
l’esperienza è maturata: il Centro Baobab, del quale riferirò, in seguito,
alcune caratteristiche.
Breve
parentesi sul linguaggio
Linguaggio è una funzione adattiva
caratteristica e specifica dell’uomo che si sviluppa in un arco breve della
vita, richiede:
·
competenze comunicative
·
capacità funzionali (prassie e gnosie)
·
produzione linguistica (aspetti formali e funzionali )
·
comprensione linguistica.
Ma, "…affinché un bambino entri in questo
mondo linguistico, bisogna che sia esposto a una lingua che qualcuno parli con
lui e acceda in lui il desiderio di comunicare …" (Sabbadini, De Cagno, Vaquer, Michelazzo - 2000). Vorrei riportare,
a partire dal concetto di desiderio, due celebri aforismi di J. Lacan: "Il
desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro" - "L’inconscio è il
discorso dell’Altro"
Che cosa significano i due aforismi?
·
I due aforismi indicano verità di cui servirsi, nei vari percorsi terapeutici, per la cura
del linguaggio?
·
Quale utilità operativa si può ricavare dalle
lezioni freudiana e lacaniana sul linguaggio?
Presenterò, come ho già accennato e
come risposta alle parole di Lacan, l’esperienza di un atelier
di parola
Apro alcune questioni sulle quali interrogarci:
·
Psicanalisi e neuroscienze alleate o
antagoniste?
·
Cosa accadrebbe se la psicanalisi trovasse
conferma nelle neuroscienze?
·
Nel modello bio-psico-sociale: plasticità
neuronale, traccia psichica e sinaptica, rete neuronale e inconscio possono
diventare elementi non antagonisti ma alleati?
Freud, come afasiologo e neurologo, ha sempre cercato di scoprire i
fondamenti della Sua base teorica. Nel 1920 (in Al di là del principio di piacere, p. 243) scriveva che,
"...probabilmente, le carenze della nostra esposizione scomparirebbero se
fossimo già nella condizione di sostituire i termini psicologici con quelli
della fisiologia o della chimica. La biologia è davvero un campo dalle
possibilità illimitate dal quale ci dobbiamo attendere le più sorprendenti
delucidazioni, non possiamo quindi indovinare quali risposte essa potrà dare,
tra qualche decennio, ai problemi che le abbiamo posto …". La scoperta dei
neuroni a specchio (mirror-neurons -
avvenuta agli inizi degli anni novanta all’Istituto di fisiologia di Parma - ha
permesso di comprendere i fenomeni:
·
dell’ identificazione,
·
della teoria della mente,
·
dell’ empatia,
·
della comprensione di stati mentali altrui,
·
dell’ autismo.
Le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività (Gallese, Paolo Migone
e Morris Eagle) aprono connessioni possibili con la psicanalisi. Recenti autori
come F. Ansermet (medico psichiatra infantile, psicanalista) e P. Magistretti
(neuroscienziato) scrivono: "La plasticità partecipa all’emergere dalla
individualità del soggetto …Ogni esperienza è unica, il fenomeno della
plasticità non è un fenomeno esclusivamente psichico, esso coinvolge anche il
corpo …". Tali autori propongono l’ipotesi di un modello d’inconscio che
integri i dati della neurobiologia con i principi fondanti della
psicanalisi (A ciascuno il suo cervello, plasticità neuronale e inconscio, Bollati
Boringhieri, 2008).
Come ultimo frammento, infine, si possono ricordare i lavori :
·
sulla immagine speculare, nella ricerca
storico-psicanalitica di J. Lacan,
·
sullo stadio dello specchio,
·
sugli schemi ottici ed i fenomeni che si
stratificano nell’inconscio (J. Lacan, Fabrizio Palombi, Carrocci, 2008).
Diagnosi e
riabilitazione: un compito impossibile ?
Diagnosi è un termine di origine greca, deriva da dia - per mezzo e gnosis
- cognizione, conoscere; per il vocabolario di psicologia di Galimberti
significa: riconoscimento.
L’aspettativa - degli utenti e degli operatori - dei servizi, nei confronti
della diagnosi, è quella che sia
oggettiva, ma può accadere di dover maneggiare diagnosi con alcuni
costrutti teorici (diagnosi medica,
psichiatrica, neuropsicologica, funzionale, sociale,…). Per questi motivi uno degli scopi del sistema ICF è quello
di migliorare la comunicazione tra gli
operatori in un linguaggio comune e condivisibile. La diagnosi, se non è
solo un’applicazione di codici o etichette, può essere l’incontro di saperi professionali diversi? Riabilitazione - con le sue pratiche terapeutiche ben delimitate,
con l’attenzione alla persona e al sistema familiare/sociale nell’incontro con
il corpo reale - può essere:
riparabile o non riparabile. L’irrompere
della verità, nella relazione di
cura, può essere una risorsa possibile.
Atelier
E’ un termine francese che indica: opificio, laboratorio, studio di
pittura, incisione.
·
Può diventare, in laboratorio, un’esperienza di tecniche preliminari alla
parola del bambino?
·
Può diventare una raccolta di utili dati
sul territorio, nella scuola, nei servizi ?
·
Può dar vita ad una pratica a piu voci (pratique
à plusieurs definizione data da J.Miller in Italia)? Una pratica da anni già sperimentata con successo da
una mia carissima amica.
Tecnica
E’ un termine che deriva dal greco (techné),
indica: arte (collegato alla poiesis, ovvero produzione artistica).
Significa anche: tessere, stendere la tela, fare testo. Nell’ideogramma
della lingua cinese tek significa: processo;
origina dagli ideogrammi: crocevia, cammino, strada, comunicazione.
Che cosa si incide in un
atelier ?
Che cosa - tra bambini disturbati,chiusi in se stessi in una solitudine
onnipotente - lascia traccia nell’incontro con un Altro?
Il movimento può incidere una traccia grafica
e lasciare, nel bambino, un segno che
preceda la parola?
L’atelier è,
contemporaneamente, un dispositivo:
·
di gioco,
·
di narrazione,
·
di possibili terapie utilizzando anche lo
psicodramma,
·
può rappresentare un ritaglio istituzionale che comprende una
pluralità di pratiche che, in questi anni, si sono svolte sotto diverse forme
nel territorio ternano: sportelli di ascolto per adolescenti nelle scuole
medie; atelier 'Panna e Cioccolato' per disabili cognitivi del Centro 'Il
Faro'; gruppi di formazione per genitori, insegnanti e operatori nell’ambito
dello psicodramma analitico anche per bambini. L’atelier può rappresentare
anche un children-triaing, termine coniato per indicare un gruppo di
lavoro con adolescenti (il nostro gruppo è condotto dalla dott. Allegretti).
Origine (nascita) dell’ Atelier della
Parola
L’ Atelier nasce dal desiderio di un incontro possibile tra psicanalisi e riabilitazione. I discorsi dei
bambini, con i loro disordini comunicativi e fonologici, indicano delle tracce
minori (diciamo minori, ma non lo
sono) di riabilitazione che trovano conferma nel modello bio-psico-sociale. La
posizione dell’operatore non è quella di esperto ma ha, principalmente, il
compito di privilegiare l’ascolto,
non un ascolto qualunque: un ascolto orientato alla raccolta di significanti (secondo la semantica lacaniana); un ascolto orientato all’attenzione; orientato alla ricerca non dell’errore ma delle dissonanze; un ascolto orientato alle
fratture e discrepanze del discorso del Soggetto. Soggetto che non è la persona (intesa come
maschera, o ruolo …) ma è un soggetto che
emerge dal discorso ed emerge attraverso il sintomo, esprimendo
una domanda.
Centro
Baobab
ll Centro Baobab, è un contesto semiresidenziale collocato all’interno
della S.C. di Neuropsichiatria Infantile della Asl n.4 di Terni; è uno spazio
operativo di accoglienza di bambini e preadolescenti con problemi
psicopatologici, disturbi dello sviluppo, problemi comportamentali, gravi
disturbi dell’attenzione, della comunicazione e dell’apprendimento; è una casa
pomeridiana dove il bambino compie insieme ad altri attività quotidiane:
artistiche, ricreative, di studio, uscite esterne,
preparazione dei pasti e
delle merende (anche il cibo può diventare una condivisione e un legame
con gli altri). Bambini e preadolescenti, in tali varie attività della vita
quotidiana, possono incontrare dei momenti di difficoltà in cui esprimono la
loro solitudine, la rabbia, la fatica ad
aprirsi a varie forme di legami sociali. La
partenza è avvenuta per caso (diciamo per 'irruzione'), non è stata
programmata a tavolino: è arrivata di corsa e dai bambini stessi, è stato un inizio breve e fugace. La
partenza è accaduta (penso all’accaduto psichico di cui parla
Freud) nella palestra adiacente al Baobab: il Baobab è un luogo che - per motivi
organizzativi - è proibito e, perciò,
fortemente desiderato. Nonostante ci
fossero altre stanze, per la legge dell’attrazione, bambini e preadolescenti
erano incuriositi dalla palestra e, un giorno, hanno fatto irruzione.
La palestra
Una stanza ampia, luminosa, ricca di specchi, tappeti, un pianoforte
bianco e numerosi attrezzi ginnici colorati: ogni mercoledì seguivo due gruppi
con un intervallo di quaranta minuti tra un gruppo e l’altro. Nell’intervallo,
nel parco, avevo già corso con gli ospiti del Centro la cui età variava dai
cinque anni ai sedici anni. Dal diario
della cartella clinica colgo i seguenti elementi: "…bambini e
preadolescenti arrivano uno alla volta timidamente, oppure tutti insieme
irrompono di scatto e iniziano a toccare tutto, passano da un gioco all’altro,
non sanno usare gli strumenti, aprono le scatole, perdono i campanelli degli
strumenti musicali, disfanno
l'ordine della stanza. Sono contenti, ma possono fermarsi?
Possono sostare?…"
Il posto
La questione di trovare un posto,
anche se limitato, sembra essere importante. Il posto scelto è una palestra, un
luogo regolato da una Legge. La palestra non è una risposta immediata, ma dovrà
essere contrattata (quanto, come, quando?) …I bambini potranno venire e
giocare, ma avranno soltanto un tempo di quaranta minuti. Avere un luogo e un posto - scelti dai bambini - è un passaggio centrale, ma tra luogo e posto " vi è una profonda differenza …", come ci
ha fatto notare Miller.
I bambini, nelle trame riabilitative-educative, si muovono in vari
luoghi: scuola, servizi, ecc. I luoghi
che incontrano sono molteplici e legati alla cultura, al linguaggio, all’ordine
simbolico…Il posto, invece, è quello scelto dal soggetto e legato a
una classificazione dove l’Altro non parla al posto del bambino. Il posto limita l’eccesso di godimento ed è un
limite all'angoscia persecutoria. Il godimento,
per Lacan, non è il piacere ma è una istanza negativa: è una nozione
complessa che rimanda al linguaggio. Lacan afferma che solo se si perde un po’ di godimento si entra nel linguaggio. Il
desiderio viene dall’Altro, mentre il
godimento viene dalla Cosa (Das Ding). (N.B - Lacan afferma che il desiderio inconscio ruota attorno ad un vuoto di senso: Freud lo chiama Das
Ding - Lacan lo chiama la Cosa).
Freud ('Progetto di una psicologia') designa la Cosa come un apparato psichico, una configurazione di neuroni
investita dal ricordo dell’oggetto: l’oggetto
di soddisfacimento. Il rapporto tra percezione
e oggetto è rilevante nell’osservazione dei comportamenti infantili.
"La questione del posto è fondamentale, solo se un bambino trova un posto
in un Altro-regolato, che non gli si impone
e non sa per lui, ma lo sostiene
in modo rigoroso nella sua posizione soggettiva, è possibile un ancoraggio" (Martine Egge).
Il tempo
Un posto preliminare alla parola ed un tempo
: un tempo per guardare, capire,
concludere. “Il tempo della cura non è un tempo lineare e cronologico, ma è
un tempo intersoggettivo” (Lacan). Il posto occupato dai bambini del Baobab è
stata la palestra: un posto in cui buttarsi a capofitto sugli oggetti, sui
tappetini, sulle palle grandi e rotonde, affamati di stimoli e desiderosi di
produrre caos, rumori e suoni. Muoversi
e produrre suoni è importante, perché la voce si genera dal corpo in movimento
e, inoltre, non è una voce “educata”: è una voce rumorosa, esplosiva o soltanto
sussurrata, impercettibile. Una voce che nasce, come indicano le esperienze
teatrali e vocali di Anna Maria Civico, da un
corpo reso strumento, se
attivato da opportune e adeguate pratiche. Ma prima di essere un corpo strumento, per quei bambini, il corpo
era una macchina da riparare:
·
un corpo attraversato dal linguaggio degli altri
e fragile (morbido, rilassato) o rigido, assente, piegato
nel proprio isolamento;
·
oppure
era un corpo pulsionale, agitato,
iperattivo e senza
limite.
Bambini e preadolescenti, per diversi incontri-scontri, hanno riempito l’ordine della palestra con
schemi di rottura: un farsi e disfarsi di un linguaggio non ancorato a un discorso,
fatto di agiti, passaggi all’atto…Ma chi sono i
protagonisti di questa storia?
I protagonisti
Presenterò alcuni protagonisti attraverso le parole ascoltate lungo i
corridoi dei servizi, ascoltate in fretta e orientate sul mito di un romanzo-familiare, non misurabile e confermato dai
dati delle cartelle cliniche…Perché, come ha sottolineato Miriam De Bernart
(stupenda piscodrammatista): "Il bambino, come effetto significante del discorso, non è il
bambino reale e, perciò, può assumere una funzione metaforica o metonimica ed occupare la posizione di oggetto nei
fantasmi dell’altro familiare …".
·
Nofè, un
bambino africano di anni 8, con diagnosi di disturbo
autistico, dimostra fisicamente dodici anni per peso e altezza; figlio di
genitori separati, padre musicista e una madre che lo lava, lo profuma e lo
accudisce come un bebè.
·
Prato fiorito, un bambino di 5 anni, assolutista
e dispotico che presenta estrema povertà linguistica.
·
Andrej,
un bambino di 12 anni, diagnosticato dislessico;
vive con il padre e la nonna materna con problemi psichiatrici (disturbi
dell’umore) sembra che possieda (la nonna) grandi capacità d’osservatrice e
analitiche.
·
Titti-calze-lunghe, una bambina di 9 anni,
iperattiva, dislessica, ritenuta da più persone “carismatica”, piena
d’iniziative che - nei suoi tratti - ricorda il personaggio di Viola (Calvino, Il
Barone Rampante).
·
Lolli, un bambino di 10 anni, è un bravissimo
attore, riesce anche a cambiare la sua voce (potrebbe fare il doppiatore).
·
Emma, una ragazza straniera di 17 anni,
presenta un ritardo lieve, già
convivente con un coetaneo.
Dal caos
al Tribunale della Libertà
L’impressione era di assistere a
una scarica motoria collettiva, fatta
di slanci, urla incontrollate, energiche battaglie difficilmente riconducibili
alla regola del far finta: porte che
si aprivano e si chiudevano all’entrata di altri ospiti del Baobab, non
invitati agli incontri. Tu sì e tu no
era la parola d’ordine, ma l’entrata di un nuovo arrivato generava un altro
crollo (il caos!). Il nuovo arrivato era una minaccia: ritornavano i terremoti,
le sabbie mobili, le onde pericolose. Per difendersi da questi attacchi
violenti i cuscini diventavano barche…Ma entrava l’acqua e le scialuppe erano
fragili, non tutti si salvavano. Nofè restava fuori dai cuscini ad ondeggiare
con il grosso corpo sulla palla e si rifletteva nello specchio; Prato Fiorito
si chiudeva le orecchie mentre si accendevano e si spegnevano le luci e le
tapparelle si alzavano e si abbassavano; Emma si metteva nel posto
dell’autorità mancante: sgridava, urlava silenzio
e cercava di rincorrere i disubbidienti. Sembrava una scena magica: gli oggetti
animati da forze sopranaturali cadevano e si rompevano, palline che rotolavano,
una ricerca continua di nuovi oggetti, una scena senza parola e senza senso.
Una strana violenza poteva esplodere, nessun personaggio, nessun pensiero ma
solo oggetti malefici…del resto … il gioco, secondo M. Klein, è come il sogno: E’ la
via regia dell’ inconscio. Di fronte
ad un adulto impotente a fermare il caos ma potente nell’uso della parola sono
iniziati altri movimenti dove l’oggetto, non distrutto, ha la funzione di paletto, di ponte, di torre da difesa. I
protagonisti, spinti da Titti-calze-lunghe, iniziano delle costruzioni: i tappeti
diventavano letti e lettini o culle in cui dormire tutti insieme, ma di fronte
a quella calma pacificante … (o eccesso di godimento?). Arriva un contro-ordine: “Devo uscire, devo stare
zitta e non guardare”. Il Tribunale della
Libertà, al quale i bambini sono
ricorsi per regolare le azioni (e regolamentarle
nell’ambito della Legge), aveva deciso che l’adulto - incapace a contenere il
caos, ma potente e sapiente nell’uso delle parole - doveva essere messo alla
porta.
Una scena
rovesciata
La parola dei bambini presa sul serio apre a un nuovo teatro della
mente: apre un Tribunale della Libertà.
Un Tribunale che cosa tutela?
·
E’ un Tribunale-giustiziere
di un danno fisico e psichico?
·
E’ una buona legge che sostiene il desiderio?
Se l’adulto sa giocare, come ricorda Winnicott, si apre uno spazio creativo, uno spazio transazionale; per Lacan è
importante che l’operatore agisca nella direzione della cura e, principalmente,
sappia mantenere il suo posto. Fuori
dalla porta: inizia un tempo-lungo-d’attesa;
in palestra che cosa
accade ?.. Andrej lancia l’invito: “Puoi entrare … entra … entra … entra
…” La scena è cambiata: il teatro dei
sogni si è materializzato attorno all’assenza-presenza
… nessuna traccia di battaglia … nessun protagonista … nessun mostro né acqua minacciosa … nessun
lettino-tappetino. Il lavoro, ormai, è partito attorno a un vuoto nel quale si nascondono i soggetti del gioco? “Dove sei ?” … “Eccomi Nofè” … “Eccomi Prato Fiorito” …
“Andrej, Titti … dove siete ?”…E’ soltanto un’altra scena, ora si può formulare una nuova diagnosi: i Soggetti
sono stati, finalmente, riconosciuti e
nominati…I Soggetti si sono appellati all’Altro e proseguono il loro cammino tra un significante e l’altro. La diagnosi è un lavoro che coinvolge: l’operatore, nell’approccio
bio-psico-sociale, incontra competenze e professionalità diverse; ora egli è in
grado di utilizzare la diagnosi intesa
come traccia di una trama di rete costituita da familiari, operatori,
attori protagonisti principali e minori. Tutto questo accade perché il concetto di cura, scienza, di riabilitazione e
d’arte passa attraverso livelli diversi (sociali, biologici,
intrapschici e interpsichici). Ogni
professionalità - se correttamente pensata e riconosciuta - ha un senso nel
progetto riabilitativo. La presa in carico del singolo non è un atto
individuale, ma deve essere un atto realizzato da un gruppo di lavoro che opera
in piena armonia e collaborazione. F. Stoppa sostiene che lo psicanalista ed il
docente di Clinica Istituzionale conducono una equipe curante: non rappresentano soltanto la risposta tecnica ai
problemi, ogni operatore esprime la sua vocazione e realizza la costruzione e la manutenzione all’interno delle quali il
paziente dà forma al suo lavoro di cura. La diagnosi deve evidenziare la
posizione di un soggetto al lavoro: la
diagnosi delinea e mette in luce la posizione esistenziale del Soggetto che si
apre al legame sociale.
Silvana LEALI
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