R. Rapaccini -'Scarpette rosse' (particolare) |
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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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503. FEMMINICIDIO: A TERNI UNA SENTENZA CHE FA STORIA MA CHE PROVIENE DALLA STORIA di Chiara Passarella
Il
29 ottobre 2014 a Terni nella sua abitazione veniva uccisa dal marito con
undici coltellate Laura Livi, alla presenza delle due figlie di 2 e 7 anni. Il
22 luglio 2015 presso il Tribunale di Terni si è svolta l’udienza del processo
per rito abbreviato che vede imputato per l’omicidio di Laura Livi il marito
Franco Sorgenti.
“Noi saremo davanti al Tribunale di Terni – fa sapere in una nota l’associazione
Terni Donne – con
un presidio a chiedere libertà e giustizia per tutte le donne e invitiamo tutti
i cittadini e le cittadine ad essere presenti per dimostrare la nostra
solidarietà alla famiglia di Laura e alle sue figlie, per chiedere che venga
fatta giustizia, per ricordare che solo una vera alleanza tra tutte le
istituzioni del territorio, a partire dalla scuola fino ad arrivare ai
tribunali può mettere fine a questa tragedia. La nostra società è
impregnata di una cultura maschilista, che ci imprigiona tutti, donne e uomini,
in ruoli stereotipati. Una cultura che nega l’unicità di ognuna di noi, il
diritto delle donne di essere diverse, di essere ciò che siamo e vogliamo
essere. È arrivato il momento di diffondere una nuova cultura del femminile e
del maschile, di rispetto e valorizzazione della diversità. È il momento di realizzare
reali pari opportunità, proporre nuovi linguaggi e una cultura del rispetto dei
diritti, compreso il diritto ad una vita sessuale fondata sul piacere e la
libertà di scelta e non sul sacrificio, il dolore e la dominanza. Questo è possibile solo se
tutte e tutti insieme, donne, uomini e istituzioni ripudiamo questa cultura
maschilista e patriarcale in cui nasce, matura e viene perpetrata la violenza
contro le donne. Il femminicidio non è mai
un raptus di follia: è l’atto finale e consapevole dell’esercizio di potere che
l’uomo e la società esercitano sulla donna. Sentiamo il vuoto lasciato
da Laura come quello lasciato da troppe altre donne vittime della violenza
degli uomini. Il contrasto alla violenza è un processo culturale che si basa e si
attiva con azioni concrete di due tipi, la prevenzione e l’informazione. Invitiamo le istituzioni e gli enti a sostenere
azioni educative e informative da attuare prima di tutto nelle scuole e in
tutti gli spazi che abbiano finalità aggregative o educative e di diffondere
capillarmente i contatti e la conoscenza dei servizi antiviolenza attivi sul
territorio, in modo da arrivare a tutte le donne e metterle nella condizione di
potervi accedere. Chiediamo, per l’ennesima volta, che il Consiglio Regionale
giunga all’approvazione della legge regionale sulle “Politiche di genere e per
una nuova civiltà delle relazioni tra donne e uomini”, affinché si dia certezza
ai finanziamenti dei servizi antiviolenza attivi nella nostra Regione ed anche
affinché tutte le istituzioni a partire dai comuni fino ad arrivare alla
Regione possano costituirsi parte civile ogni volta che si celebrano processi
come quello del 22 luglio p.v. Il femminicidio costituisce una profonda ferita
per la società tutta. Nel momento in cui a una donna, nell’ambito di una
relazione sentimentale, non viene riconosciuta la dignità di persona, ed in
quanto tale viene fatta oggetto di violenza, fino alla morte, l’intera
collettività è responsabile per l’eliminazione di quella cultura e di
concezione distorta delle relazioni che ancora oggi minano
l’autodeterminazione, la libertà e finanche la vita delle donne”. Diciotto
anni di carcere per le undici coltellate alla moglie Laura. Così il gip del
tribunale di Terni Massimo Zanetti ha condannato Franco Sorgenti per l’omicidio
della moglie. Niente arresti domiciliari, come richiesto dalla difesa, ma
carcere e risarcimenti per le due figlie e per i parenti della vittima. In più
la soddisfazione delle associazioni a tutela delle donne, che saranno
risarcite, insieme al Comune di Terni, con 5.000 euro ciascuno. Sorgenti dovrà anche risarcire in sede civile
le due figlie della coppia, il fratello e i genitori della moglie uccisa,
stabilendo una provvisionale di 100 mila euro per le due bambine e di 30 mila
per gli altri familiari. Ma la sentenza del giudice Zanetti segna anche una
svolta per certi versi storica per Terni, visto che per la prima volta il
Comune si è costituito parte civile in un processo per femminicidio e sarà
risarcito, così come ognuna delle due associazioni, con 5.000 euro. Prima della
camera di consiglio la requisitoria del
pubblico ministero, poi repliche e controrepliche delle parti. Il pubblico
ministero Camilla Coraggio, al suo primo caso di omicidio a Terni, chiede la
condanna con una pena di 27 anni come base, ridotta di un terzo per l’accesso
al rito abbreviato richiesto e ottenuto dalla difesa, quindi in totale 18 anni
di reclusione. Le accuse nelle carte parlano di omicidio volontario aggravato
dal rapporto coniugale, ma senza premeditazione. La ‘partita’ prima della
camera di consiglio si gioca su aggravanti e attenuanti: da un lato i
famigliari con l’avvocato Roberto Spoldi chiedono l’inclusione dei futili
motivi e dell’abuso di coabitazione (il fatto cioè che l’imputato avesse
sfruttato il nido famigliare per commettere il reato); dall’altro la difesa,
con i legali Manlio Morcella e Enrico De Luca, chiedono l’attenuante della
provocazione. Alla fine la sentenza sposa la tesi sostenuta dall’accusa:
Sorgenti avrebbe ucciso sua moglie Laura con una decina di coltellate. Le
perizie dimostreranno poi che due di queste risulteranno letali, colpendo il
fegato della donna. I familiari della vittima parlano di sentenza «equa e
soddisfacente» e quelli delle due associazioni in difesa delle donne, Suzana
Korriku e Raquel Grifoni spiegano come l’imputato nel corso del procedimento
non abbia mai «mostrato alcun pentimento».
Si tratta di una sentenza storica per vari aspetti. E’ stata accolta la richiesta di costituzione
di parte civile che il Comune di Terni ha avanzato tramite la propria
avvocatura. E' la prima volta che il comune di Terni si costituisce parte
civile in un processo per femminicidio. Il sindaco Leopoldo Di Girolamo si è
recato a far visita al presidio delle associazioni di genere che hanno voluto
far sentire, insieme ai familiari della donna assassinata, la loro presenza
davanti al tribunale. "Ho voluto portare la vicinanza ai parenti di Laura
Livi. Come Amministrazione Comunale abbiamo accolto con convinzione - dichiara
il sindaco Leopoldo DI Girolamo - l'invito delle associazioni a difesa delle
donne e per le politiche di genere di costituzione del Comune come parte civile
nel processo a carico della persona accusata dell'omicidio di Laura Livi, la
giovane donna uccisa il 29 ottobre del 2014. E' un atto doveroso da parte del
Comune in quanto il femminicidio è una ferita per tutta la società civile,
l'omicidio di una donna alla quale viene così negata anche la propria dignità e
la propria volontà contrasta con le norme di una comunità basta sul rispetto e
il diritto, danneggia tutta la comunità ad iniziare dall'Ente, il Comune, che
meglio di ogni altro la rappresenta. L'omicidio di Laura Livi ha distrutto una
vita umana ma ha anche leso le finalità per le quali il Comune agisce, finalità
previste nello Statuto dell'Ente e nell'attività quotidiana per le politiche di
genere, per la prevenzione dei reati contro le donne, per l'assistenza a chi è
vittima di abusi, compresi i minori legati alla donna. Nel Comune di Terni è
attivo il centro pari opportunità, una casa rifugio per le donne maltrattate,
così come è attiva la casa delle donne e il centro antiviolenza. Un lavoro
intenso, che può non bastare ma che doveroso mettere in campo nell'ottica della
prevenzione e della educazione. I servizi sociali comunali si attivano per
fornire assistenza e aiuto ogni volta che giunge una segnalazione di
maltrattamento o abuso. E' su questi elementi giuridici che l'avvocatura
comunale ha basato la sua istanza di costituzione di parte civile. Esprimo
soddisfazione per l'accoglimento da parte della magistratura di questa nostra
richiesta. Colgo l'occasione per ribadire, soprattutto in un frangente come
questo, momento di ricordo e di grande dolore, la vicinanza dell'Amministrazione
Comunale alle figlie di Laura Livi, ai parenti tutti e a tutte le persone che
le sono state amiche e che hanno avuto modo di apprezzarla nella sua breve
esistenza". La sentenza di ieri di condanna dell’omicida di Laura Livi –
dichiara la vicesindaco del Comune di terni con delega al Welfare Francesca
Malafoglia – accolta con soddisfazione dai familiari della
giovane donna assassinata, dalle associazioni a difesa delle donne e per le
politiche del genere, è apprezzata anche dal Comune di Terni che si è
costituito parte civile. Il verdetto di ieri, al di la delle riduzioni previste
dal codice penale, sancisce in maniera chiara la gravità del delitto commesso,
innanzitutto nei confronti della vittima ma anche delle figlie di Laura Livi,
dei parenti, delle parti civili. Viene
riconosciuto anche se, naturalmente con modulazioni diverse, per tutti un
risarcimento provvisionale, a testimonianza che l’uccisione di una donna, di
una mamma, di una moglie, non è solo un grande, immenso dolore privato, ma è
una ferita per tutta la comunità, una ferita per chi tutti i giorni è impegnato
a promuovere e a sostenere politiche basate sulla parità di genere, sul
rispetto della persona. Il comune di Terni si impegna a utilizzare i 5 mila
euro per contribuire a sostenere i servizi e le attività che porta avanti su
questo fronte. E sempre stando agli
impegni, ritengo che ci siano le condizioni affinché il Comune si assuma il
dovere di richiedere la costituzione di parte civile in ogni altro processo che
punti a punire il femminicidio, ferma restando la speranza, e l’impegno per la
prevenzione, che casi del genere non abbiano a ripetersi. Mi auguro che
quanto prima si arrivi alla definizione della legge regionale per la
parità delle relazioni di genere, a consolidamento della rete di servizi e
delle azioni che, in accordo con le associazioni, dimostrano che l'approccio
integrato e traversale è una ricchezza e un grande potenziale per una società
più equa”. Devo però dire, ad onor del vero, che la “pratica politica del
processo penale” che sottende la costituzione di parte civile delle
associazioni femministe non è nuova al movimento delle donne, e nasce nella
seconda metà degli anni settanta facendo cassa di risonanza al delitto del
Circeo, dove gli aggressori stuprano e uccidono Rosaria Lopez e stuprano
Donatella Colasanti. In questa prima fase il movimento femminista elabora
una costruzione concettuale del problema della violenza contro le donne
puntando sul significato simbolico della legge penale, attuando la “pratica
politica del processo penale” al fine di raggiungere alcuni obiettivi tra i
quali il passaggio dello stupro da evento privato a fatto politico, la messa in
discussione della cultura dominante sia sociale che giuridica che trasforma le
donne da parti offese a imputate in virtù della conservazione di stereotipi
sociali oppressivi e inaccettabili. Questo primo percorso fu senz’altro
responsabile di importanti evoluzioni, quali il lungo dibattito politico, il
passaggio del delitto di stupro dal titolo contro la morale familiare al titolo
dei delitti contro la persona e l’approvazione della legge sulla violenza
sessuale nel 1996. In ogni caso questa pratica fu prodromica a questioni e
dibattiti importanti ed essenziali, tra i quali il problema della rappresentanza
delle donne nei luoghi dove si decide. Nel decennio successivo una forte
critica del movimento femminista porta al disuso della pratica del processo
penale in virtù delle contraddizioni dell’uso politico dello strumento,
semplificativo e riduttivo del fenomeno della violenza, strumento che relega le
donne allo stereotipo della vittimizzazione. Le forme processuali prestabilite
dalle leggi, risultano infatti del tutto incapienti ad essere effettivi
contenitori della complessità afferente la condizione delle donne che subiscono
violenza. Più recentemente è stato detto che la scelta del processo penale
quale luogo privilegiato di azione simbolico-culturale dove rappresentare il
conflitto fra i sessi ha unicamente prodotto la criminalizzazione degli aggressori,
anziché la loro responsabilizzazione quale autori di violenza di genere. Dall’esigenza di sviluppare elaborazioni e
strategie politiche del pensiero sulla differenza sessuale nascono i Centri
Antiviolenza con la pratica innovativa della relazione tra donne. Tale pratica
sposta il piano simbolico dalla repressione del reato e punizione del colpevole
al piano della progettualità femminile per il riconoscimento della differenza
come soggettività sessuata, e presupposto della libertà delle donne per riprogettarsi
e liberarsi dalla violenza. Da ciò
deriva il radicamento del rifiuto della condizione di vittima attuata nel
processo penale, poiché nessuna donna può accettare di essere ridotta alla
violazione subita. In questo contesto il
diritto penale come campo d’azione non viene però abbandonato del tutto, ma
viene riproposta una “pratica del processo” non incentrata sull’effetto
mediatico e sull’affermazione di un protagonismo femminile attraverso la legge.
La strategia processuale viene interpretata come strumento per produrre risorse
per le donne, attraverso la relazione donna-avvocata diretta a far crescere
consapevolezza e autonomia. Da questi presupposti si perviene all’assenza di
enfasi posta oggi dal femminismo italiano all’intervento repressivo penale,
quale risposta parziale e non sistematica a ridurre il fenomeno della violenza
alle donne. Il contesto attuale è caratterizzato da una assunzione complessa
del problema della violenza di genere nelle varie componenti, quella sociale,
sanitaria, educativa, di politica criminale e legislativa formata dalle
molteplici componenti che vengono trattate dalle agenzie-soggetti di
riferimento. Le associazioni femministe “ fanno rete “, i centri antiviolenza “
fanno coordinamento nazionale”. Le politiche nazionali iniziano a considerare
il problema della violenza solo alla fine degli anni novanta, con dichiarazioni
di principio sulla necessità della prevenzione e della repressione della
violenza di genere, e viene posto il problema della ricerca statistica dei dati
e quindi della creazione di un Osservatorio Nazionale. Contestualmente alla assunzione di
responsabilità istituzionale e al dibattito sulla necessità di politiche
sociali ed economiche strutturate con destinazione di risorse pubbliche agli
interventi sia istituzionali che dei centri antiviolenza si inizia a parlare di
“piani di azione contro le violenze di genere”.
I piani vengono poi tradotti nel testo legislativo del 2007, che assume
l’importanza di una strategia nazionale integrata tra le varie agenzie che
intendono affrontare insieme, in rete, la violenza di genere, ma l’approccio
generale resta centrato sulla maniera repressiva, con logica emergenziale che
riduce la portata e ne limita l'intervento. CHIARA PASSARELLA
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