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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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497. TRECENTO SECONDI di Patrizia Fortunati, recensione di Roberto Rapaccini
Ho
letto 'Trecento secondi' di Patrizia Fortunati. Il senso della vicenda oggetto
del libro è efficacemente riassunto da
questo titolo. Solo trecento secondi
è stato il tempo necessario a Paolo, il protagonista, per leggere gli addebiti
giudiziari, che risulteranno infondati purtroppo solo dopo alcuni anni. Paolo e
Francesca, con i loro tre figli in tenera età, erano una famiglia serena, o,
almeno nulla lasciava presagire il dramma che si sarebbe consumato. Una sera
inaspettatamente Francesca abbandona Paolo portando via con sé i figli. Più
precisamente Paolo al suo ritorno serale dopo una giornata di lavoro trova la
sua casa deserta, senza nessuno che lo aspetti. Dopo aver prospettato nella sua
mente i tanti possibili scenari che potessero giustificare quelle assenze, per
comprendere tutto gli basteranno trecento
secondi, ovvero il tempo che impiegherà per leggere la notifica delle
denuncie sporte dalla moglie nei suoi confronti: violenze morali, fisiche,
psicologiche e poi l'addebito più grave, abusi sessuali nei confronti dei figli.
Paolo si ritrova ad essere un mostro.
Alla fine, gli accertamenti dimostreranno la totale infondatezza degli addebiti,
ma la giustizia impiegherà alcuni anni, troppo tempo. Nel frattempo viene
privato della patria potestà, mentre è sempre seguito dall'alone infamante
delle gravi accuse; la sua vita progressivamente si frantuma. Il tardivo
proscioglimento non potrà riparare i danni che irreversibilmente si sono
prodotti. Patrizia Fortunati racconta i fatti in maniera perfetta, non c'è una
parola di troppo, né una che manca. Con un'espressione apparentemente
contraddittoria direi che riesce a descrivere tutto con una 'soggettività
oggettiva', cioè narra la vicenda trasmettendo l'angoscia del protagonista in
maniera asciutta e dignitosa, senza pietismo o commiserazione; l'oggettività
dei fatti è sempre indissolubilmente complementare alla sensazione della
tragica impotenza che schiaccia il protagonista. La vicenda è narrata da Paolo
e non in terza persona; tuttavia Patrizia evita che sia coinvolta la sua
sensibilità, non cede ad una facile e
banale emotività; non mancano slanci di intensa liricità. Il mio parere naturalmente
non è quello di un critico, ma quello di un normale lettore, che tuttavia non
si accontenta facilmente. La vicenda offre lo spunto per declinare molti temi:
dalla percezione dell'impotenza di fronte ad eventi che si producono in maniera
tragicamente indipendente da noi, alla problematicità di un rapporto con la
Fede che sembra lasciarci nelle difficoltà quando attraversiamo da soli la notte oscura del senso di abbandono, dalla
denuncia pacata ma ferma, mai aggressiva o polemica, dei limiti della società
civile che agisce attraverso poteri spesso troppo
umani, ovvero che si lasciano guidare da intuizioni affrettate che si
radicano facilmente con effetti drammatici, senza che venga fornita una reale
spiegazione, nella convinzione tuttavia che basterà poco per chiarire
l'equivoco. Patrizia Fortunati aveva già ottenuto molto successo con il libro
'Marmellata di prugne', che ha come oggetto una storia autobiografica,
corollario della tragedia di Chernobyl. Un contributo di grande spessore umano
e civile alle problematiche dell'integrazione. Mi era piaciuto molto, ma questo
libro è superiore. Roberto Rapaccini
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