scorr
...in altre lingue...
...in altre lingue...
LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
Questo blog non ha finalità commerciali. I video, le immagini e i contenuti sono in alcuni casi tratti dalla Rete e pertanto sono presuntivamente ritenuti pubblici, pur restando di proprietà del rispettivo autore. In ogni caso, se qualcuno ritenesse violato un proprio diritto, è pregato di segnalarlo a questo indirizzo : rapacro@virgilio.it Si provvederà all’immediata rimozione del contenuto in questione. RR
475. VIAGGIO NELLA MIA VITA - PRESENTAZIONE: INTERVENTO DI PAOLO RAFFAELLI
Roberto Rapaccini,
scrittore, lavora da anni su una serie di temi scottanti e inquietanti,
attualissimi, la cui attualità diventa ogni giorno più bruciante: i suoi libri
precedenti scavano sulle guerre di religione e la rivoluzione tecnologica, i
pregiudizi trasformati in arma offensiva e i rischi e le potenzialità della Rete,
l'Islam e l'Ebraismo, la sicurezza e l'accoglienza, con un'idea forte e
pacifica di dialogo e comprensione, di cultura come bene comune. I suoi due
libri precedenti per le edizioni della Cittadella di Assisi sono belli e utili,
leggeteli. Questo però, il terzo in tre anni, è un libro del tutto
diverso. Si intitola "Viaggio nella mia vita - Appunti disordinati per un
De Profundis" e contiene esattamente quello che il titolo promette, anzi
il titolo vero è il sottotitolo e il De Profundis è intessuto di appunti che
disordinati non lo sono affatto, anzi. Ed è il De Profundis in vita di un uomo
che ha come attraversato la morte ma che, insieme alla sua famiglia, ai suoi
cari, che di questo libro sono discreti co-protagonisti, è riuscito, privato di
quasi tutto quello che era la sua vita, ad eccezione degli affetti, a
restare in vita, per merito di quegli affetti e della propria ferrea
tenacia, più ancora che per merito delle tecnologie biomedicali. Puoi essere
inchiodato a una sedia rotelle e a un respiratore e rimanere un uomo verticale,
con la schiena dritta e la testa alta: Roberto non le dice mai queste parole ma
ognuno che voglia, che accetti di entrare nel libro con la stessa assenza di
ipocrisia con cui Roberto lo ha scritto, le coglie ad ogni pagina. Non è solo
un libro bello, molto bello: è soprattutto un libro duro, carico della durezza
di una condizione ma anche di quell'amore che non si piega ai compromessi. E'
una lettura che non si può fare alla leggera, per passatempo, è una lettura che
impone una assunzione di responsabilità: se non quella di entrare dentro una
condizione materiale da cui non si è afflitti, almeno quella di liberarsi di
tutti i pietismi e le superficialità di valutazione. Se non accetti di essere
compiutamente coinvolto in questo lavoro, questo è uno dei punti di durezza,
puoi anche leggerlo il libro, ma non ti serve, ed è difficile che tu lo
capisca. E' un piccolo libro che parla di un grande tema, di un tema immenso:
fino a dove arriva la vita nell'esistenza. La durezza di una scrittura che è
comunque una scrittura amorosa, carica di amore, sta proprio nel fare i
conti senza fronzoli, senza compromessi con la durezza di una
condizione. E' un "io" quello che scrive, in apertura, a mò
di premessa, che scrive di sè: "Oggi sopravvivo grazie a dei
dispositivi che, in maniera rassicurante, sono definiti presidi; altri non sono
che un respiratore, una carrozzella, una tracheostomia, un sistema di
nutrizione artificiale. La mia vita è innaturale in quanto, secondo le leggi
economiche dalla natura, e cioè senza i sussidi creati dal progresso, avrei
dovuto soccombere. In altri termini se questa deriva del destino fosse capitata
prima dell'invenzione del respiratore, sarei morto, in quanto in nessun modo
sarebbe stato possibile garantirmi la sopravvivenza nella condizione di
paralisi polmonare. Per questo affermo tuttora che la mia condizione è
incompatibile con la vita". Appunto: fin dove arriva la vita
nell'esistenza? Chi scrive queste parole, chi certifica questa condizione di
non vita, è lo stesso "io" che attraverso tutto il libro ripensa a se
stesso capace di sentire la terra sotto i piedi nudi, lo stesso uomo attivo che
è stato chitarrista e pittore abituato a manipolare la materia dura, uomo di
cavalli ed elettricista, diplomatico e poliziotto, giurista sportivo e
appassionato praticante di arti marziali, naturalista e collezionista, velista
e viaggiatore instancabile, intellettuale cosmopolita e rigoroso perfezionista.
Dopo una vita così piena, quando uno stupido accidente ne stronca la pienezza e
la riduce ai minimi termini, cosa resta della vita nell'esistenza? E' questa la
domanda dura che resta sul tavolo di lettura e per una risposta non ipocrita
non basta un pò di introspezione, bisogna seguire Roberto fino dentro la parte
più cruda del suo interrogarsi e interrogare sulla libertà e i suoi limiti,
nella sua ricerca, religiosa, etica, filosofica, sulla libertà e i suoi limiti
tanto che cedendo a una deriva psicanalitica in più di una pagina torna alla
memoria l'alternativa (angosciosa, fatalistica) di Georg Groddeck: in che
misura agiamo? In che misura siamo agiti? Per Roberto, tuttavia la dialettica tra
l'agire o l'essere agiti, che attraversa non solo la psicanalisi ma tutta la
cultura novecentesca, fino alla post modernità, non si riduce, anche nel caso
di una risposta negativa, radicalmente negativa, ad angoscia o a
fatalismo. La parte del libro che Rapaccini intesse dei suoi temi
esistenziali chiave, la religione, la musica, la filosofia, l'arte è quella
apparentemente meno scabrosa, meno radicale, meno dura e tuttavia qui si
trovano alcuni dei nessi fondamentali di questi appunti, spesso a
partire da spunti apparentemente eccentrici, o addirittura svagati, come quello a cui l'autore presta il
volto arcitaliano dell'Alberto Sordi di Quelle strane occasioni, il Monsignore
opportunista chiuso in ascensore con una bella donna che cerca nella
situazione di costrizione provvisoria l'alibi impossibile per il suo cedimento
morale e comportamentale. La risposta al dilemma di fondo del libero arbitrio
che Roberto si da in queste poche pagine, che partono dall'esame di una
macchietta cinematografica, è straordinariamente pregnante: "Per
l'uso di questo margine sarò giudicato. (...) La predestinazione è un tracciato
dal quale ci possiamo discostare esercitando con forza la potenzialità di una
scelta". C'è un modo di credere, forte, profondo e, ancora una volta, duro
in questa visione cristiana, ed era essenziale, nella situzione di costrizione
data, che le parole responsabili di questo piccolo libro fossero scritte
da Roberto. Per me è stato essenziale leggerle. Nessuna di esse, malgrado le
mille digressioni che si dipanano e si richiamano pressochè ad ogni pagina, è
parola inutile perchè ognuna di esse conserva lo sforzo di connettere il
vissuto che sarebbe stato possibile a quello che è concretamente possibile,
attraverso il legame fortissimo degli affetti: la presenza della famiglia,
degli amici - sia quelli che sono restati nella condizione avversa, sia quelli
che non ce l'hanno fatta - è uno dei temi di fondo, vero filo
conduttore, del libro ed è ben comprensibile che questo si chiuda con una
garbata invettiva contro la dittatura della mediocrità, se si pensa a come
queste parole pesanti scritte con levità si intreccino con un presente in
cui l'assunzione di responsabilità (dell'atto ma anche della parola e della
creazione artistica, in definitiva dell'esistenza) è diventata moneta
svalutata. Queste pagine dure, dolorose e piene di vita le scrive un uomo a cui
la sorte ha tolto tutto tranne gli affetti, la dignità, l'intelligenza, la
volontà, la capacità di dialogo, la scrittura. PAOLO RAFFAELLI
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
* * *
IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI
(Michael Ende)
* * *
HOME PAGE DEL BLOG (clikka qui)
***
ELENCO DEI POST(clikka qui)
ULTIMA NEWSLETTER(clikka qui)
***
IL FILM, IL LIBRO, IL BRANO, LA POESIA DEL MESE (clikka qui)
***
WEBMASTER: Roberto RAPACCINI
A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
Nessun commento:
Posta un commento