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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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469. IL MUFTI CHE SEMINAVA ZIZZANIA da un'Americana a Venezia
Gennaio è il mese della memoria della Shoah, periodo
che mi pare sempre più scioccante con il passare del tempo. Sospetto ormai che pochi governi, forse
nessuno, possano negare la loro parte di colpa per l'effettiva attuazione dei
programmi di Hitler, annunciati per tempo.
Gli effetti di quell'incubo riverberano ancor oggi. Guardiamo al Medio Oriente. La genesi dell'incubo odierno è
rintracciabile ai tempi dell'ascesa dei Nazisti. Gli ebrei, fra i quali molti dei sopravvissuti
alla "Soluzione Finale" di Himmler e dei suoi accoliti, hanno finalmente
potuto creare uno Stato rifugio, ma la loro strada rimane minata. Nell'articolo NEL NOME DEL NONNO SEM, scrivevo
che ebrei e arabi avevano vissuto assieme in pace in Palestina sotto i turchi e
anche sotto i britannici, per un periodo.
Negli Anni '20, scappando dalla minaccia nazista, gli ebrei europei cominciarono
ad arrivare in Palestina in massa, senza alternativa. Altri paesi li respingevano, inclusi gli USA. In quel periodo, nel 1921, i britannici, allora
in controllo di Palestina, hanno dato il titolo di "Gran Mufti di
Gerusalemme e Palestina" a un ventiseienne rampollo di una famiglia benestante,
di un clan arabo di Palestina che aveva anche venduto una parte dei loro terreni
a coloni ebrei. Questo leader spirituale
si chiamava Amin Al-Husseini (imparentato con Yasser Arafat, suo successore). Senza particolare preparazione religiosa,
Al-Husseini non era il candidato giusto per la leadership spirituale, ma per
qualche motivo, era molto considerato dai contadini, forse per la posizione della
famiglia. La pacifica coesistenza fra
ebrei e arabi palestinesi comincia a vacillare con l'aumento dei nuovi arrivati
che, in realtà, non recavano danno a nessuno.
Il Gran Mufti, però, è xenofobo. Il
numero di ebrei in Palestina nel 1933, quando Hitler va al potere, cresce da
45,000 a più di 200.000. Nel 1937, anno
in cui i britannici rimuovono Al-Husseini dal suo posto a causa delle vigorose agitazioni
politiche da lui stesso istigate, c'erano ormai 396,000 ebrei in Palestina. Espulso dalla Palestina dai britannici, il
Gran Mufti comincia la sua missione: già odia gli inglesi e ora anche gli ebrei. Si reca in Siria, in Iraq e poi in Italia da Mussolini.
In Italia, Al-Husseini pubblicamente
appoggia i poteri dell'Axis. Il 6
novembre, 1941, il Mufti arriva a Berlino.
Hitler, antisemita per eccellenza, non lo volle incontrare. Persuaso dai suoi consiglieri, però, Hitler finalmente
incontra Al-Husseini il 28 novembre.
Sarà il loro unico incontro. Hitler
conviene che i due condividono lo scopo di eliminare gli ebrei. Il Fuhrer ordina il Gran Muftì di "chiudere
nel cuore" questa rivelazione.
Al-Husseini abbraccia la teoria della cospirazione internazionale degli
ebrei. Prova a convincere i fratelli
musulmani che gli ebrei, semiti come loro, appartengono a una razza
inferiore. Fa in modo che il Mein Kampf di Hitler, che denigra tutti
i semiti, sia pubblicato in lingua araba in modo di non offendere arabi, ma solo
ebrei. Impegnato a compiere la missione
conferitagli dal Fuhrer, Al-Husseini accetta uno stipendio e sistemazioni
lussuose in Germania, offerte dal governo nazista, per circa 4 anni. Dirige la 13a. Waffen S.S., tutta musulmana,
con base bosniaca, anche conosciuta come "la Divisione Handzar". I Balcani davano problemi. I tedeschi cominciavano ad avere bisogno di più
soldati laggiù, dal momento che i leader islamici della regione avevano
proibito ai musulmani di combattere. Fu compito
di Al-Husseini quello di convincere i leader ad aderire alla causa. Ci riuscì.
Nel 1943 Al-Husseini andò a Zagabria e a Sarajevo-Banjaluka per condurre
personalmente una campagna propagandistica a favore della Handzar, composta di soldati
islamici in gran parte bosniaci, ma non solo.
Erano vestiti come le S.S. ma con addosso il fez. Venivano addestrati in una villa a Potsdam che
una volta era la casa di una famiglia di ebrei tedeschi; il Muftì li indottrinava
nel Socialismo Nazionale di Hitler in salsa musulmana. In quel periodo Al-Husseini diventa amico di
ufficiali di alto rango, fra cui Himmler, il capo delle S.S. Nel 1944, durante una trasmissione radiofonica,
Al-Husseini ordina agli arabi, "Ammazzate gli ebrei dovunque li trovate. Questo fa piacere a Dio, alla Storia, e alla
religione." Subito dopo la resa dei
tedeschi, il Gran Muftì scappa in Svizzera, dove viene respinto, e poi prosegue
per Parigi. Finirà poco dopo al Cairo
assieme a qualche capo nazista, fra cui Johannes von Leers, dirigente dell'Odessa,
la polizia segreta nazista. Farà
convertire von Leers, esperto di propaganda, all'Islam. La corte di Norimberga non processa Amin Al-Husseini:
mancano prove concrete nei suoi confronti.
Nemmeno della sua Divisione S.S. è stata riconosciuto il coinvolgimento
diretto in crimini di guerra. Il Muftì
ha solo incitato gli altri all'attacco.
Ha pregato i nazisti di inviare uomini e mezzi per compiere atti di
sabotaggio. Ha incoraggiato i leader di diversi
paesi europei a non consentire l'esodo degli ebrei verso la Palestina. Invece, scriveva di mandarli in Polonia. Sapeva benissimo che lì sarebbero finiti nei
forni. Il Gran Muftì non tornerà mai a
casa. Morirà nel 1974 in Libano. Oggi si potrebbe dire che Amin Al-Husseini,
ex leader spirituale di Gerusalemme e Palestina, è stato il fondatore di un movimento
basato sull'odio cieco, una malattia sociale tenuta in piedi dall'ipocrisia dei
suoi leader. Come dice il professor Alan
Dershowitz di Harvard, "Se avessero mano libera i fondamentalisti radicali
dell'Islam, finiremmo con un nuovo Olocausto.
Di questo non manca dubbio."
Che Dio aiuti tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Non importa a quale fede appartengono. E' ciò che è "chiuso nel cuore" che
conta. UN'AMERICANA A VENEZIA
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