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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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459. NEL NOME DEL NONNO SEM da un'Americana a Venezia
Il 29 Novembre marca un anniversario per un popolo a
lungo considerato "vagante": in quella data, 67 anni fa, si
festeggiava il ritorno a "casa" dopo la grande dispersione, la
Diaspora, ufficiale dalla distruzione del tempio di Gerusalemme dall'Imperatore
Tito nel 70 d.c. Ma il prossimo compleanno
del piccolo Stato di questo popolo, Israele, sarà celebrato in un clima di altissima
tensione. Gli israeliani non sono per
niente d'accordo sull'espansione dei loro settlers
(colonizzatori) dentro la Città Santa, una mossa già discutibile perché costruiscono
centinaia di nuovi appartamenti in luoghi santi per i musulmani, ma soprattutto
perché il World Court la giudica illegale.
Gli israeliani non sono tutti d'accordo nemmeno sulle iniziative
belliche del governo né sul trattamento manesco nei confronti degli israeliani di
etnia araba che convivone con loro. Gli
israeliani sono divisi in fazioni come tutte le società democratiche. Purtroppo, l'esperienza li ha proiettati ad anni
luce di distanza dall'era ottimista di quando erano "pionieri" ebrei da
tutto il mondo, benvenuti in Palestina.
Alla fine del 19° secolo arrivarono nel porto di Haifa con il sogno di
costruirsi un futuro libero dalle persecuzioni di cui la loro etnia è sempre
stata bersaglio. Quindi, ben prima della
fondazione dello Stato di Israele nel 1947 (approvato dall'ONU nel 1948), gli
ebrei hanno abitato in pace vicini agli arabi.
Arabi e ebrei sono Semiti in ugual misura, discendenti di Sem (Shem), uno
dei tre figli di Noa. All'inizio del 20°
Secolo gli ebrei palestinesi avevano già cominciato a bonificare la terra. Costruirono la città-giardino di Tel
Aviv. Crearono canali d'irrigazione per
produrre le famose arance di Jaffa.
Organizzarono le prime fattorie e allevamenti che diventerebbero poi i
famosi kibbutz. Aprirono le cave per costruire case e
strade. Insomma, fecero fiorire il
deserto, come si ama dire. I fratelli Semiti,
cioè, gli arabi, non protestarono. Spesso
si sono arricchiti vendendo loro terreni e prodotti. Anche la famiglia di un certo giovane mufti che predicava l'odio nei confronti
di ebrei in genere, e che un giorno sarebbe sulla lista paga di Hitler, approfittò
dell'arrivo dei primi colonizzatori. Decenni
più tardi sono arrivati i rifugiati della Germania nazista, poi i sopravvissuti
dei campi di sterminio e quelli fuggiti dai campi brittannici del dopo-guerra. Anche oggi ebrei continuano a recarsi in
Israele con la speranza di vivere in un ambiente accogliente dove tutti si
trovano nella stessa barca. Ora i figli
e i nipoti dei primi pionieri devono far conto con estremismi politici e religiosi
di fede ebraica che alcuni non esitano a chiamare fascisti. Anche Rueven Rivin, il nuovo Presidente di Israele,
uomo di destra, è critico nei confronti dei suoi compatrioti. Di recente ha detto in un'intervista sulla
rivista The New Yorker (17.11.14),
"Non è solo una questione di ebrei contro arabi. Sono gli Ortodossi contro quelli che non
credono di poter osservare tutti i 613 comandamenti della Bibbia. Sono ricchi contro poveri. Ad un certo punto, qualcosa è successo in
Israele che fa in modo che ognuno ha le proprie idee--e tutti gli altri
diventino il Nemico. E' un dialogo fra
sordi e la situazione diventa sempre più pesante." I liberali e i progressisti di Israele perdono
influenza; le loro proposte pacifiche appaiono sempre più flebili. Si dice che il paese si trova circondato da
nemici. Siamo tentati a credere che
certi problemi sono stati creati da una parte soltanto. Non è così.
Il rapporto di causa-effetto regge anche in questa zona martoriata. Siamo testimoni di conflitti sanguinari fra diversi
gruppi semitici, conflitti a volte istigati dall'interferenza di grandi interessi
provenienti da altre parti del mondo. Nel
caso del Medio Oriente, la posta in gioco rimane il petrolio. Arabi di diversi Stati, non solo Palestinesi, sono
votati a guerre fratricide per diversi motivi, soprattutto a causa dell'interpretazione
della loro religione se non per le loro allianze. Nella Palestina, che non è mai stata
considerata uno Stato fino alla nascita di Israele, gli arabi e gli ebrei hanno
abitato assieme senza conflitti quando i turchi dell'Impero Ottomano la
controllavano. La stessa pacifica convivenza
esisteva in altre zone del Medio Oriente nello stesso periodo. In molti casi, era esistito per secoli. Oggi, l'intera regione brucia, e il piccolo
Israele assieme all'affollata Striscia di Gaza, una specie di campo di
concentramento bombardato, sono sempre ai ferri corti. Grazie prima alle promesse confuse a entrambi i
gruppi da parte dei britannici che seguirono ai turchi, poi all'influenza del crudele
e intransigente mufti che collaborò
con i nazisti, e infine a causa della risoluzione formale delle Nazioni Unite
nel 1948 che ha dato la Palestina, ora Israele, in mano ai colonizzatori, la
convivenza fra i Semiti di quel territorio non può che essere difficile, se non
addirittura impossibile. Magari questi
popoli potessero ritrovare vecchi punti di contatto, cominciando con il loro
senso di appartenenza a quella terra e la loro devozione a Gerusalemme come
meta spirituale per tre, non due, fedi diverse.
Sappiamo che qualche ebreo e qualche arabo si trovano. Diventano amici, soci, collaboratori artistici,
persino familiari. Quando si sposano,
provano con difficoltà a crescere famiglie in un ambiente che pretende la
divisione. Ma è una divisione
falsa: sono sempre Semiti. Applaudiamo il coraggio di questi Semiti
eccezionali. Preghiamo affinché, nonostante
tutti gli ostacoli che affrontano, possano aumentare i loro numeri. Magari un giorno festeggeranno, arabi e ebrei
assieme, la loro grande famiglia infelice ma sopravvissuta, nel nome del vecchio
Bis-Nonno Noa e del super-fecondo Sem. UN'AMERICANA A VENEZIA
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