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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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411. RECENSIONI 2014 di Sky Robertace Latini
“HEROES” - 2014 Sabaton (Svezia
Nel panorama Power epico, ormai questa
band è una rassicurazione. Ma qui si offre un album che è rafforzato da una
epicità ancora più spinta rispetto ai lavori precedenti, sebbene semplificato
nella struttura dei brani. Si è teso a costruire episodi che facciano presa in
modo diretto ed eliminando variazioni sul tema. Non che prima il gruppo fosse
cerebrale, ma ora è estremamente lineare e orecchiabile. Riff; frase;
ritornello; assolo; e via di nuovo ritornello, afferrando l’ascoltatore con
immediatezza. “NIGHT WITCHES” impronta subito l’album all’attacco selvaggio.
Brano perfetto in sede live come pezzo da battaglia sotto il palco. Strofa con
accompagnamento corale di risposta e poi un ritornello sotto un cambiamento di
ritmo. Brevità a tre minuti come un flash irruento. “NO BULLETS FLY” usa un
ritmo cadenzato quasi ballabile che appunto è similare alla song di C.D’Averna
e come nella sua song, troviamo un ponte centrale con degli “ooooh” ad effetto
che rarefanno l’atmosfera. Uno degli assoli di più ampio respiro e freschezza.
Bella composizione. “INMATE 4859”
presenta una voce più roca e scura. Il ritmo medio aumenta il pathos della
canzone, aggiungendo forza alla malinconia della linea cantata. “TO HELL AND
BACK” scorre divertente, con la sua aria americaneggiante. Il ritmo varia tra
cadenzata ballabilità e tempo medio. Il sound riesce a colpire per la sua
energica adolescenzialità. A tal proposito devo farvi partecipe della mia
impressione in quanto fruitore di cartoni animati della fase paterna, quando i
propri cuccioli sono ancora bimbi. Con l’ascolto di questo album (non mi era
mai venuto in mente prima) è subito sorta l’associazione con il brano “L’Isola
del tesoro” cantato da Cristina D’Avena per la sigla del cartone omonimo; un
pezzo che mi ha afferrato sin da subito nonostante fosse creato pe
r l’infanzia,
di cui ne ho, da sempre, visto la portata esecutiva potenzialmente
trasformabile in metal song. Ritmo sostenuto e coralità epica del cantato
piratesco, lo stesso evocato dai cori dei Sabaton qui presenti. Ciò dà appunto
l’idea di uno stile musicale dai connotati giovanili. Provare ad ascoltare per
credere. Un vocione ormai familiare con
la erre che Joakim Broden calca alla tedesca. Velocizzazione solitamente cadenzata;
solo una ballata e non molto ben riuscita (“The ballad of bull”). Globalmente un disco che non ha velleità
artistiche particolari, ma che riesce a centrare l’obbiettivo sparando a
pallettoni. Va segnalata “Hearts of iron” che come assolo ha la famosa Aria in
Sol di J.Sebastian Bach. L’opera dal punto di vista dei contenuti lirici si
occupa dei personaggi storici delle situazioni belliche della seconda guerra
mondiale, considerati eroi, anche se solitamente non famosi. Si va
geograficamente dal Belgio alla Polonia, all’Unione Sovietica, a raccontare
empaticamente le vicissitudini umane di singoli combattenti, anche statunitensi
o tedeschi, senza volerne avallare ragioni o ammantarli di ideologia. E’ un
entrare nello stato d’animo di questi uomini per provarne le emozioni forti.
Ottavo album che non è super per alcune
cadute di tono, ma che comunque è un sacco divertente e perspicace. Ormai la
band ha il diritto di prendere il posto dei Manowar (anche se essi sono
inarrivabili nelle loro cose migliori) perché questi ultimi ormai difettano in
energia e freschezza. Se lo stereotipo metal epico va utilizzato, la maniera
alla Sabaton è attualmente la più efficace.
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Dal pozzo senza fondo di Tobias Sammett è
uscito l’ennesimo Power Album album doc. Di certo Tobias è da annoverare tra i
personaggi metal più caratteristici. Il suo asso nella manica è stato il
progetto Avantasia, ma ora tra la sua band di origine Edguy e quella parallela
non c’è più tanta differenza, che la cifra stilistica è ormai univoca. Soltanto
che agli Edguy non viene data la spolverata sinfonica presente dall’altra
parte. Certo, l’ultimo degli Avantasia dello scorso anno, “The Mystery of time”
è un disco superiore di molti punti, anche per riciclare meno passaggi già
sentiti, cosa che invece qua compaiono tra un passaggio e l’altro piuttosto
frequentemente. Non c’è alcunché di rivoluzionario nella musica di Tobias
Sammett, che siano gli aAvantasia o gli Edguy, quanto troviamo invece infusione
di energica passione che i brani migliori qui sotto elencati testimoniano a
dovere: “SABRE & TORCH” è un Power
Metal riffato duramente con l’adrenalina a mille. Canto evocativo di ampia
atmosfera e orecchiabilità corale. Al centro un ponte ritmico più oscuro. Un
pezzo diretto e senza tanti fronzoli ma non semplicistico; con esso si apre
l’album senza introduzioni preparatorie: colpo diretto al petto. “DEFENDERS OF
THE CROWN” presenta invece il lato più epico del disco. Un episodio che spazia
in quella attitudine che proviene dall’esperienza Avantasia, più aperta ed
elaborata. C’è tono ma anche ariosità, sia nella parte cantata che in quella
solista. “THE ETERNAL WAYFARER” propone invece un middle-time che Rainbow o
Deep Purple hanno inventato decenni fa. Eppure il gusto con cui ci si cimenta
alza il livello di parecchio. Una song intensa con una tastiera sinuosa avvolta
da riff morbidi, e da un pathos pieno di emozionale feeling. Qui si vive di
sonorità che non escono mai da territori conosciuti. La band ci ha abituato ad
una molteplicità di generi Heavy metal tradizionali sempre tutti inclusi in un
unico album. Non c’è originalità ma forte personalità. Si cavalca l’Heavy Metal
a cavallo tra settanta e ottanta senza mai far calare la tensione. Si
aggiungono commercialità che apparirebbero AoR (“Love tyger”); PopMetal (“Space
police”) o Metal melodico (“The realms of baba-Yaga”) se non fosse per l’attenzione
alla grinta dell’arrangiamento. Senza contare la pastosità degli assoli che si
impongono come uno degli elementi più importanti della struttura musicale di
questo combo. Solo non riesco a capire la scelta di coverizzare così male il
brano “Rock me Amadeus” di Falco che negli anni ’80 mi faceva schifo e mi fa
schifo ancora adesso. Un passo falso forse dettato da nostalgiche quanto oscure
motivazioni. E inoltre non eccezionale la softsong “Alone in myself”. Gli Edguy
sono comunque uno di quei gruppi che mantiene alto il valore di una musica che
viene dal passato ma passato non è. Questo loro decimo album non indietreggia
d’un passo, si impone con innata classe. Al disco è allegato un cd bonus poco
significativo, anche se c’è il pezzo inedito “England” che inneggia a Beatles e
Steve Harris degli Iron Maiden; purtroppo però un po’ troppo melenso. C’è
inoltre una canzone commerciale “Aychim in hysteria”, che all’ascolto fa
credere di aver sbagliato disco, sembrano infatti perfettamente i Def Leppard,
la produzione possiede la stessa sonorità, ma è quei tipo di song che a me non
ha mai fatto morire. Il resto di questo cd è una riproposizione diversa dei
brani dell’album.
Sky Robertace
Latini
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